In via accidentale, vi è stata l’occasione di leggere nota redatta da una regione, in cui, tra le altre considerazioni, si legge: “ … La disciplina sulla cremazione e sulla dispersione delle ceneri rientra nel più generale ambito di polizia mortuaria che, a sua volta, rappresenta una componente specifica della materia della tutela della salute, che l’art. 117 della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni.
Ciò comporta che spetta a queste ultime la potestà legislativa in tale materia, da esercitarsi entro i limiti dei principi fondamentali definiti dallo Stato.” …”. Non si entra nel merito del secondo periodo qui citato, che sembra risentire di una qualche memoria dell’art. 117 Cost. prima delle modifiche che l’hanno interessato con la L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
Interessa maggiormente la formulazione per cui la polizia mortuaria rientrerebbe nella materia della tutela della salute, in particolare citando la pratica funeraria della cremazione e, a valle di questa, della dispersione delle ceneri (ma, forse, si dovrebbe estendere alle ulteriori possibili destinazioni delle ceneri). Si tratta di una formulazione che è – contemporaneamente – “vera” e “falsa”, cosa che ricorda, in tutt’altri contesti, la duplica natura della luce (quale onda e/o particella).
La cremazione, così come le altre pratiche funerarie (inumazione, tumulazione), presenta fattori che sono, o possono essere, ricondotti alla materia della tutela della salute.
Cosa che non si pone in discussione, ma sussistono anche fattori che se ne discostano e costituiscono elementi di “materie” lontane da quelle dell’art. 117, comma 3 Cost.
Dal momento che le pratiche funerarie (tutte e tre) assolvono alla funzione di assicurare al corpo dei defunti un trattamento di una certa natura, si pone la questione della scelta, costituente un vero e proprio diritto soggettivo della persona, tra le pratiche funerarie.
Ricordando, per inciso, che una sola può prescindere da una scelta, operando per default, se non vi sia scelta di sorta (a prescindere dai possibili motivi di questa mancanza).
Questa scelta spetta in primis alla persona defunta (da effettuare in vita) o, in difetto, alle persone che hanno titolo a disporre delle “spoglie mortali”. Dato che questa scelta, quando fatta, può produrre effetti di vario ordine, essa viene a collocarsi nel quadro degli atti di disposizione del corpo (art. 5 C. C.) e, quindi, della materia dell’ordinamento civile.
Se la scelta va a favore della pratica funeraria della tumulazione vengono coinvolti altri fattori, che si collocano a cavallo tra diritto pubblico e, in parte, diritto privato, sul sorgere ed esercitare i diritti di sepolcro.
A certe condizioni (art. 90, comma 2 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), ciò può aversi anche per la pratica dell’inumazione, con fattori che pureattengono alla materia dell’”ordinamento civile”.
Per la cremazione (e se ci si riferisce anche agli impianti non andrebbe trascurata la componente “ambientale”, che porta a richiamare la materia considerata dall’art. 117, comma 2, lett. s) Cost.) vanno affrontate sia le questioni dell’accesso alla specifica pratica funeraria.
Così come quelle, conseguenti, delle (plurime) “destinazioni” delle ceneri, che possono essere le dispersioni delle stesse (nelle differenti fattispecie) o, in alternativa, della tumulazione, dell’interramento o dell’affidamento delle urne ai familiari.
Si tratta di aspetti ciascuno dei quali (separatamente) attiene, ancora una volta, alla materia dell’”ordinamento civile” e talora anche altri aspetti.
Per non richiamare l’”ordinamento penale”, che porta a ricordare i Delitti contro la pietà dei defunti quali risultanti nel C.P.
Che si tratti di questioni caratterizzate da elementi di complessità e pluralità può provarsi richiamando (e.g.) quanto dispone l’art. 91 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m..
Questo atto, avente funzioni di pre-condizione di legittimità, individua le diverse destinazioni delle aree cimiteriali risultanti eccedenti quelle proprie del fabbisogno (art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).
Le diverse destinazioni funzionali infatti non impattano minimamente sulla materia della tutela della salute e sulle condizioni per assicurare una corretta gestione dei cimiteri.
Altrettanto dicasi per i provvedimenti concernenti il sistema tariffario, sia in termini di criteri generali, sia in termini di definizioni particolari volte a garantire congrue entrate dal diritto d’uso che, temporaneamente, sia attribuito a terzi, il recupero delle spese gestionali cimiteriali e l’osservanza sostanziale dei principi fissati dall’art. 26 D. Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201.
Quest’ultimo accenno normativo, porta a richiamare anche l’art. 5 Cost. che “riconosce” (quasi che ne fosse pre-esistente – e lo è) l’autonomia delle Autonomie Locali.
Ciò, dato che le possibili scelte tra le forme di gestione dei servizi pubblici locali non possono che essere oggetto di regolazione nei termini dell’art. 117, comma 2, lett. l) e p) Cost.
Aggiungiamo che i ripetuti richiami all’art. 117 Cost. vanno considerati in una visione sull’interessa di questa disposizione, anzi sull’interezza del testo costituzionale.
Da quanto precede, non può che darsi atto come quell’insieme di funzioni che si collocano all’interno della definizione di “polizia mortuaria” non costituiscono una qualche “sub-materia” integralmente inclusa nella “materia” della “tutela della salute” (come non vi hanno pertinenza le materie considerate dall’art. 117, comma 2, lett. e) Cost.).
Esso costituisce tuttavia un insieme plurale, spesso non agevolmente discernibile, di funzioni, cioè un “oggetto” pieno di “sfaccettature” molte delle quali (tutte?) fanno riferimento a “materie” che si collocano, ciascuna distintamente, in ambiti di competenza differenziati per soggetti costituenti la Repubblica (livelli di governo; art. 114 Cost.).
Per cui sarebbero necessari sforzi per prevenire che si scivoli su asserzioni ed impostazioni che, con qualche superficialità, non tengano del tutto conto di differenti “sfaccettature”.
Da esse originano anche differenti titolarità di competenze (legislative, oppure regolamentari, oppure amministrative), cercando un quadro maggiormente rispondente all’adeguatezza, ma anche al coordinamento e al rispetto – reciproco – tra i diversi livelli di governo.
Fattori che, oltretutto, costituiscono una modalità per assicurare la qualità della funzione in ciascuna singola materia e, quindi, anche un’adeguata qualificazione della materia della tutela della salute, sollevata da “sconfinamento” impropri.
Quanti abbiano una specializzazione danno il meglio di sé quando assolvano alle funzioni cui sono qualificati.
Si conclude rinviando al sopravvenuto (rispetto alla nota citata inizialmente) parere del Consiglio di Stato, Sez. I, 5 agosto 2025, n. 855.
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