Il dibattito tra le Federazioni a Tanexpo

Riportiamo, pur con possibili omissioni di cui ci scusiamo preventivamente, la sintesi degli interventi dei 4 relatori Scolaro, Ferrari, Caciolli, Miazzolo, al convegno sul futuro della funeraria in Italia, svoltosi il 28 marzo 2008 a Bologna, in occasione della Fiera TANEXPO.

Scolaro (SEFIT): In una regione priva di una propria normativa specifica spesso ci si chiede quali strumenti occorrano per risolvere i problemi della polizia mortuaria, dovuti anche all’adeguamento con la regolamentazione di regioni magari contigue; a volte, però, ci si sofferma troppo sulla tecnica legislativa da adottare (con quale provvedimento introdurre le nuove regole?), mentre non si considera le ricadute che queste decisioni politiche determineranno sul mercato, ossia su quel luogo figurato, simbolico ed astratto dove s’incontrano operatori ed utenti dei servizi funerari e si formano i prezzi delle relative prestazioni erogate Nella polizia mortuaria interagiscono sostanzialmente tre attori: le istituzioni, i soggetti commerciali (le imprese) ed il cittadino. Bisogna costruire in percorso di scelte coerenti e consapevoli il cui centro sia rappresentato dal consumatore, e per valorizzare la scelta del cittadino parallelamente deve emergere la figura dell’imprenditore.

I comuni nella gestione della polizia mortuaria hanno maturato un’esperienza secolare, almeno nell’esperienza postunitaria, se escudiamo l’Editto Napoleonico di Saint Cloud, le regioni, in questa materia sono, per così dire, novizie, e spesso incorrono in peccati di gioventù, quando, ad esempio, sconfinano dall’alveo costituzionale delle proprie competenze. Le regioni “scoprono la polizia mortuaria, formalmente dopo la riforma del Titolo V Cost, di fatto per il combinato disposto tra questi fattori:

  • Pressioni da parte del fronte cremazionista per attuare la Legge n. 130/2001
  • “Demedicalizzazione” della polizia mortuaria con conseguente disimpegno delle AASSLL
  • Azione lobbistica da parte della grande impresa privata per aprire proprie case funerarie

Se viviamo in questa situazione di stallo è anche a causa del perverso giuoco delle interdizioni reciproche le quali ci hanno condotto alla paralisi, con il solito conflitto che si sviluppa su assi ormai logori, invece di consentirci una certa libertà di movimento entro un quadro di punti fermi e condivisi. Una sorta di “tavolo delle regole” tra le quattro principali associazioni del settore, senza dimenticare la Federazione Italiana della Cremazione diventa una fase di alta politica di settore capace di farsi “stato” e momento costituente. Uno dei grandi temi collaterali a questo dibattito, almeno per le imprese pubbliche è il riordino dei servizi pubblici locali, anche nell’ottica di una livellazione dei prezzi, perché laddove operi un soggetto pubblico i costi risultano in qualche modo calmierati ipso facto e senza pretese di dirigismo.

Un servizio integrato (non limitato quindi al solo disbrigo pratiche, fornitura cofano ed addobbi e trasporto funebre) in cui si intersechino le diverse articolazioni dell’evento funerale dichiede però un know how notevole da maturare attraverso un profondo trasferimento di conoscenze (la figura del formatore non s’improvvisa) e l’evoluzione della semplice agenzia funebre in un’impresa vera e propria dotata di mezzi e risorse, non solo finanziarie. La dimensione assieme ad una vera mentalità imprenditoriale diventa allora il discrimen, un volume di circa 100 funerali all’anno non consente di mantenere questi impianti invero molto onerosi sotto il profilo della manutenzione.

Ferrari (ASSOCOFANI): noi “falegnami”, cioè costruttori di cofani funebri siamo molto interessati all’aspetto tecnico della normativa. Avvertiamo l’esigenza enorme di darci delle regole per razionalizzare davvero tutte le procedure. Le leggi regionali hanno introdotto per noi elementi di instabilità ed incertezza. Requisiti a livello locale troppo precisi e meticolosi oppure norme oscure ed a “clausole aperte” (ad libitum) complicano tantissimo il nostro lavoro, la moderna produzione industriale richiede standards precisi per sfruttare le economie di scala. Le metodologie di costruzione sono destinate a cambiare moltissimo ed…in peggio, il paradosso si spiega così: norme sempre più stringenti per tutelare l’ambiente attraverso l’impiego di cofani ecologici ci porteranno a realizzare casse più “brutte” e “grezze”, perché un cofano trattato con vernici sintetiche è inevitabilmente molto più attraente. Si cercheranno dei compromessi tra le esigenze di ordine pubblico e le legittime aspettative dei dolenti, ma serve davvero un cambio di filosofia nel rapporto a tre fra produttore, impresa che vende il cofano e famigliare del defunto, perché nella nostra cultura la cassa è pur sempre uno status symbol e, almeno quando è chiusa, costituisce l’elemento principe del funerale. Offrire una cassa di bassa qualità per un imprenditore è un controsenso, perché non è nella nostra mentalità peggiorare le cose e vendere manufatti di cattiva fattura, l’unico rimedio, allora, è assumere un provvedimento vincolante e stringente verso noi tutti. L’ideale sarebbe una norma UNI, così da definire un sistema di produzione omogeneo ed omologato. Un’eccessiva libertà o difformità (abusi???) in questo campo creerebbe solo distorcimenti e discrasie del mercato sul versante dei costi per le imprese produttrici. Dobbiamo arrivare ad una “schedatura”dei cofani, ossia ad una classificazione degli stessi in base a prestabiliti canoni dettati in rapporto al loro uso e destinazione ultima (cremazione, tumulazione, inumazione, trasporti internazionali o, comunque, sulla lunga distanza)

In questo modo si otterrebbe una vera concorrenza tra le imprese del settore consentendo a tutte di muovere dai medesimi presupposti, senza più motivi (o pretesti) per una concorrenza sleale.

Caciolli (FEDERCOFIT): Il dibattito di questi ultimi dieci anni non si trascina de tutto infruttuoso, perché ha smosso coscienze ed indotto a nuove consapevolezze, l’impianto della polizia Mortuaria (Regio Decreto n.1265/1934 e relativo DPR 285/1990) è ed era troppo vetusto, non reggeva più alla fine degli anni ’90 figuriamoci ora!

Noi soffriamo un notevole divario di competitività dovuto a regole inadeguate, perché concepite nel ‘900 e non nel XXI Secolo. L’andamento “carsico” della legislazione regionale in rapporto al DPR 285/1990 fa sorgere domande spontanee: per esempio come deve muoversi un’impresa la cui regione non abbia legiferato in merito, soprattutto quando sussistano rapporti di extraterritorialità?

Il solo parlare del riassetto del comparto funebre italiano ha risvegliato dinamiche prima sopite (o del tutto assenti), e le leggi regionali sono il portato storico di questo “rinascimento”, in cui tutto il settore ha riscoperto la propria vocazione sociale di servizio alla cittadinanza. Certo, la persistente mancanza di una legge statale complica la vita a tutti noi, perché la singola regione, in quanto ente territoriale, e, di conseguenza limitato nelle proprie potestà, non può avere una visione d’insieme del fenomeno funerario dalle Alpi al Mediterraneo, e, così le soluzioni univoche diventano più difficili e sfumate, poi si è instaurata una sorta di competizione a chi più legifera (bene o male poco importa), diretta emanazione del nostro antico vizio bizantino dell’ipertrofia legislativa, con evidenti asimmetrie. Allora diventa indispensabile la ripresa di un percorso, di un’iniziativa condivisa, per elaborare una piattaforma comune, un minimo comun denominatore (sfrondato, quindi, dai particolarismi) da sottoporre al potere legislativo, teniamo poi conto delle inevitabili difficoltà in cui finirà con l’incappare la prossima legislatura.

Già, pur se faticosamente e con molte incongruenze, le leggi regionali paiono delineare alcuni principi da cui sarà difficile prescindere, come, ad esempio, l’eterna dicotomia, quasi metafisica, tra imprese pubbliche e private o la stessa affermazione dell’imprenditorialità per esser protagonisti nella nostra categoria. La strategia vincente, dunque, è perseguire un accordo di sistema, seppur di massima. Il nostro obiettivo debbono esser le prospettive di sviluppo del settore. Queste vituperate leggi regionali, poi, hanno l’innegabile merito di dedicare ampio spazio all’aspetto relazionale, siccome nel circuito della polizia mortuaria s’incontrano, in buona sostanza tre attori: le istituzioni, le imprese e le famiglie colpite da eventi luttuosi. Siamo come sempre un Paese a due velocità, dove la linea di tensione è, come sempre sulla direttrice Nord/Sud, nelle regioni settentrionali si è ovviato alle carenze del DPR n. 285/1990, in Meridione, invece, regna ancora l’inerzia. C’è poi una seconda considerazione di ordine “metagiuridico” (o…pre-giuridico???) tutto questo sommovimento, anche se caotico, quasi disordinato, sembra esser sotteso da una voglia di crescita e riqualificazione da parte delle imprese italiane per imparare a gestire la complessità delle relazioni con la clientela. La chiave di svolta per il futuro non è una generica liberalizzazione ideologizzata (tra l’altro antieconomica in un mercato anelastico) ma la capacità di offrire un servizio completo, magari sintetizzabile nei termini della casa funeraria (sala o struttura del commiato) la quale certo non nasce per rompere gli equilibri tra pubblico e privato o governanti e governati. Lo stesso dibattito sulle dimensioni delle aziende sembra ormai superato ed ozioso, la capacità di stare sul mercato e “fare”impresa funebre consisterà sempre più nelle disponibilità di grandi investimenti volti alla modernizzazione, perché le strutture del commiato, con i loro servizi corollari, richiedono ingenti capitali. Per uscire da questo impasse dobbiamo moderare il tasso di conflittualità tra noi rappresentanti del settore.

A nostro avviso se i diversi passaggi del funerale debbono subire un processo di condensazione (anche per evidenti ragioni economiche) non è illogico pensare di abbinare alla case funerarie gli impianti di cremazione, evitando così l’inutile transito in cimitero. Limitare la casa funeraria a solo deposito di osservazione è troppo riduttivo e minimalista. Ovviamente questo progetto è alternativo ed antitetico alla casa funeraria realizzata entro il perimetro cimiteriale, perché, essendo il cimitero demanio comunale solo l’ente locale avrebbe questa opportunità. La grandezza dell’impresa (in senso meramente dimensionale) non deve inficiare la professionalità degli operatori, oggi anche una piccola impresa può statte correttamente sul mercato se ha necrofori efficienti e tecnicamente preparati.

Miazzolo (FENIOF): Tutti ci siamo battuti per una revisione della polizia mortuaria di portata nazionale, le norme regionali, però, hanno accolto gran parte delle nostre istanze, come la qualificazione delle aziende volta a realizzare una rete di ditte strutturate e con una certa “massa critica” per affrontare il mercato. L’orizzonte attuale e contingente in cui agire è, però, l’ambito regionale, ma il nostro obiettivo resta una norma statale. Noi come Feniof ribadiamo fortemente il nostro schierarci aperto verso un modello di forte imprenditoria funebre privata il cui naturale sbocco è la casa funeraria, ossia un deposito d’osservazione/camera ardente che si sostituisca alle fatiscenti camere mortuarie ospedaliere.

Altra grande questione è la gestione e la proprietà di cimiteri ed impianti di cremazione, ormai non dobbiamo vedere più il nostro lavoro come una rigida ripartizione tra ambito necroscopico, quello propriamente funebre e cimiteriale, c’è continuità semantica ed operativa tra questi tre campi. Non siamo disposti ad accettare compromessi in cui la controparte pubblica risulta avvantaggiata, pertanto non ci presteremo mai a sottoscrivere documento alcuno nel quale questo nostro principio non sia esplicitamente sancito.

Poi si può sempre ragionare sulla base di qualche documento o protocollo d’intesa, pur nella chiarezza delle rispettive posizioni.

Nuovi profili professionali, come il cerimoniere, il tecnico preparatore di salme con un’importante ricaduta anche sull’occupazione, potranno nascere ed attecchire solo quando le imprese potranno dotarsi di idonei ambienti e strutture.

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