Attività di culto in locali con altra destinazione d’uso. Interventi giurisprudenziali e ministeriali. Conclusioni – 2/2

In conclusione, i principi che se ne ricavano sono:

a) ai fini della individuazione dell’oggetto sociale dell’ente, non si configura come attività di culto una celebrazione occasionale, mentre possono essere considerate tali le celebrazioni ricorrenti e sistematiche;

b) le attività di culto sono “altro” rispetto a quelle disciplinate dal d.lgs. n. 117/2017 (CTS) all’art. 5, e non sembrano sussumibili nella categoria delle attività diverse di cui all’articolo 6;

c) come stabilito dall’art. 4, co. 3 del CTS [1], agli enti religiosi civilmente riconosciuti, ossia quelli che devono svolgere in via esclusiva o principale un’attività di religione o culto[2], le norme codicistiche si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5, e delle eventuali attività diverse di cui all’articolo 6 in presenza di determinate condizioni (un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore) [3];

d) l’attività di culto non può di per sé essere intesa come attività di promozione sociale;

e) sull’art. 71 co. 1 del CTS, in via generale, si evidenzia che la disposizione si applica agli enti del terzo settore (art. 4 del CTS) e prevede che, in considerazione della meritevolezza delle finalità perseguite, i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali non di tipo produttivo sono localizzabili in tutte le parti del territorio urbano, essendo compatibile con ogni destinazione d’uso urbanistico, a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio che risulta dal permesso di costruire [4];

f) sulla possibilità di beneficiare, con riferimento ai locali in cui viene esercitata l’attività di culto, della misura di favore di cui all’articolo 71 del CTS la risposta è negativa per i motivi di cui sopra alle lettere b), d) ed e). Ne consegue che l’uso di locali per lo svolgimento delle attività di culto deve avvenire in assenza di deroghe rispetto alla ordinaria normativa urbanistica in materia di destinazione d’uso [5]. Il diritto al culto infatti non legittima la pratica di utilizzare costruzioni per attività diverse da quelle per le quali sono state realizzate;

g) non sono ammesse deroghe alla sussistenza dei requisiti di agibilità e alle misure minime di sicurezza.

Si segnala, da ultimo, la Nota n. 17314 del 17 novembre 2022 del Ministero del lavoro in risposta ad una richiesta di chiarimenti in merito alla corretta applicabilità dell’art. 71, comma 1 CTS. Ai nostri fini, è interessante la ricostruzione dell’ambito di applicazione della norma sotto il profilo soggettivo e oggettivo.

Sotto il primo profilo si afferma che “il comma in parola può essere applicato solamente agli enti qualificati come Enti del Terzo Settore secondo la definizione dettata dall’art. 4 comma 1 CTS”; sotto il secondo profilo, partendo dalla ratio legis della legge delega per la riforma del terzo settore [6] di promuovere e favorire le associazioni private che svolgono attività di interesse generale, “si evince che la finalità perseguita dall’art. 71 comma 1 CTS non è quella di disciplinare l’uso del territorio in quanto tale, ma di prevedere un trattamento speciale in favore di certe categorie di soggetti (Consiglio di Stato, sez. V, n. 1737 del 1° marzo 2021). Pertanto, il comma in parola si qualifica come una norma di natura derogatoria e non come una norma con natura urbanistica vera e propria”.
Altrettanto interessante, da un punto di vista potenziale di fattispecie verificabili, è l’affermazione per cui non appare condivisibile (per i profili soggettivo ed oggettivo sopra visti) l’interpretazione estensiva della disposizione in esame in base alla quale “l’applicazione del comma 1 avrebbe l’effetto di determinare un cambio di destinazione d’uso dei locali, avente carattere permanente, ovvero in grado di spiegare effetto anche successivamente, ad esempio nei confronti di successivi utilizzatori dei locali e delle strutture, privi della qualificazione di ETS”.

 


[1]
Art. 4 (Enti del Terzo settore) d.lgs. n. 117/2017
1. Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore.
2. Non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonchè gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti, ad esclusione dei soggetti operanti nel settore della protezione civile alla cui disciplina si provvede ai sensi dell’articolo 32, comma 4. Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente comma i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d’Aosta. Sono altresì escluse dall’ambito di applicazione del presente comma le associazioni o fondazioni di diritto privato ex Ipab derivanti dai processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza o beneficenza, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 1990, e del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207, in quanto la nomina da parte della pubblica amministrazione degli amministratori di tali enti si configura come mera designazione, intesa come espressione della rappresentanza della cittadinanza, e non si configura quindi mandato fiduciario con rappresentanza, sicchè è sempre esclusa qualsiasi forma di controllo da parte di quest’ultima.
3. Agli enti religiosi civilmente riconosciuti e alle fabbricerie di cui all’articolo 72 della legge 20 maggio 1985, n. 222, le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all’articolo 5, nonchè delle eventuali attività diverse di cui all’articolo 6 a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato edevono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all’articolo 13. I beni che compongono il patrimonio destinato sono indicati nel regolamento, anche con atto distinto ad esso allegato. Per le obbligazioni contratte in relazione alle attività di cui agli articoli 5 e 6, gli enti religiosi civilmente riconosciuti e le fabbricerie di cui all’articolo 72 della legge n. 222 del 1985 rispondono nei limiti del patrimonio destinato. Gli altri creditori dell’ente religioso civilmente riconosciuto o della fabbriceria non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo svolgimento delle attività di cui ai citati articoli 5 e 6.

[2]
Si veda l’art. 2 della legge n. 222 del 20 maggio 1985 Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”.

[3]
Si indicano due approfondimenti dottrinali, che considerano alcune ultime novità legislative che potrebbero essere di interesse: RUNTS ed enti religiosiGli enti religiosi civilmente riconosciuti e le ultime novità in tema di patrimonio del ramo ETS

[4]
Tale orientamento, già affermato dalla giurisprudenza amministrativa di merito (TAR Lombardia, Milano, n. 1269 del 1° luglio 2020 e TAR Abruzzo, n. 519 del 25 ottobre 2019), è stato successivamente confermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. VI, n. 3803 del 15 giugno 2020).

[5]
Si segnala in dottrina l’articolo di Sergio De Santis, L’uso improprio dei locali dell’ente del terzo settore, in Cooperative e enti non profit, n. 1/2020. In particolare, al paragrafo I casi particolari, l’autore, richiamando l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, afferma che “(…) l’uso del bene come luogo di culto e di preghiera è un comportamento comunque urbanisticamente rilevante, che presuppone pertanto il rilascio di un apposito permesso di costruire, con riferimento alle opere di trasformazione necessarie; solo per tal verso è possibile difatti per l’ente locale verificare da un lato i presupposti allegati dal richiedente circa la riconducibilità della situazione proprio al paradigma del citato art. 32 (ora art. 71 del Codice) e l’eventuale maggiore incidenza sotto il profilo urbanistico-edilizio del nuovo uso, ai fini del calcolo della differenza dei relativi oneri, dall’altro che siano state rispettate tutte le prescrizioni sia di natura edilizia che urbanistica che rendano idoneo l’immobile in relazione al nuovo utilizzo (Cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 3 aprile 2017, n. 772; e 27 agosto 2018, n. 2018; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 24 maggio 2016, n. 2635; e Sez. VIII, 19 gennaio 2016, n. 246; altresì, TAR Puglia, Bari, Sez. III, 20 maggio 2016, n. 691)”.

[6]
Legge 6 giugno 2016, n. 106 Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”: all’art. 1 si esplicita che il legislatore, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118 u.c. Costituzione), intende promuovere e favorire le associazioni private “che realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.

Written by:

Valeria leotta

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