Tumulazione di feti, nati morti e prodotti abortivi o del concepimento: ipotesi e soluzioni a confronto

L’inumazione per cadaveri, parti anatomiche riconoscibili, esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo conservativo, nati morti e prodotti abortivi o del concepimento è la tecnica istituzionale di sepoltura procedibile d’ufficio, perché è, da sempre, un’esigenza di ordine e salute pubblica la rimozione dei morti dalle terre dei vivi e la neutralizzazione delle loro ammorbanti percolazioni.
La tumulazione, invece, presuppone SEMPRE un atto di disposizione che si estrinseca come l’esercizio del diritto personalissimo di DAR SEPOLTURA (ed a titolo oneroso) in termini di pietas e suffragio per i defunti e nella fattispecie in esame l’art. 7 comma 3 D.P.R. 285/90 allude proprio ad un gesto d’amore da parte dei genitori per il prodotto da concepimento di età inferiore alle 20 settimane che si risolve proprio in un atto di disposizione.
Sul piano più della filosofia e della teoria generale del diritto, per chi non sia mai – detto molto tecnicamente – nato vi sarebbe, secondo alcuni studiosi della materia funeraria, che si attestano su posizioni più rigorose ed intransigenti, un difetto assoluto di capacità giuridica, quindi carenza di jus sepulchri, per manifesta impossibilità a divenirne titolari da vivi di un diritto, da esercitarsi…postumo in proiezione del proprio post mortem.
Si potrebbe a ragione sollevare questa obiezione di legittimità (formale o…sostanziale?), tuttavia le Leggi speciali per il settore funerario, si premurano pur sempre, anche nella loro asettica crudezza di preservare e tutelare i sentimenti di cordoglio e lutto espressi dai dolenti, anche nella scelta della forma di sepoltura, in fondo come recita un antico broccardo latino…neminem laedere, soprattutto dinanzi alla tragica sacralità della morte.

Si è presentato un problema piuttosto interessante per i cultori della polizia mortuaria: un’impresa di O.F. ci informa che una donna ha espulso due feti dopo 23 settimane di gestazione (come da certificato del sanitario dell’Ospedale) ed i familiari vorrebbero tumularli insieme alle salme dei nonni: uno per ciascun loculo. Mi chiedo se ciò sia possibile?
Invero non è disponibile molta letteratura scientifica su questo aspetto così particolare, scabro ed estremo della polizia mortuaria. La normativa nazionale di riferimento è, comunque, l’art. 7 del D.P.R. 285/90.
Il “nato morto” è considerato sotto tutti gli aspetti come cadavere, quindi deve esser racchiuso in una bara con le caratteristiche degli artt. 30 o 75 del regolamento nazionale di polizia mortuaria e sepolto o in tumulo avente le caratteristiche dell’art. 76 D.P.R. 285/90 o inumato in fosse di cui all’art. 73 D.P.R. 285/90.
Come rilevato in dottrina il rilascio del certificato di necroscopia ai termini dell’art. 8 comma 2 D.P.R. 403/1998 (su cui a sua volta è intervenuto il D.M. 11 aprile 2008) modifica sostanzialmente il sopraccitato art. 7 comma 1 D.P.R. 285/90 (Dr. Daniele Cafini, “La medicina necroscopica”, corso di formazione per operatori della polizia mortuaria, anno 2000; edizioni Euroact).
Per “nato morto” si intende il prodotto del concepimento di 28 settimane o più, completamente espulso o estratto dalla madre, che non mostri alcun segno di vitalità, come respiro spontaneo o dopo stimolazioni, pulsazioni cardiache o del cordone ombelicale, o quando l’autopsia non metta in evidenza aria nei polmoni” : la nati mortalità è quindi identificabile con la mortalità fetale tardiva.
Per la legislazione italiana il limite tra nato ed aborto è posto a 180 gg di amenorrea (25 sett. + 5 gg).
A ben vedere il “nato morto” dovrebbe tecnicamente esser ritenuto come un prodotto abortivo o un feto, distinguendosi da quest’ultimi solo per il grado di maturità intrauterina raggiunto (Sereno Scolaro, La Polizia Mortuaria, Maggioli Editore.).

Sulla sottile e spesso fuorviante differenza linguistica tra feti e prodotti abortivi si potrà proficuamente consultare l’articolo a firma del Dr. Andrea Poggiali intitolato: “Tracce di polvere nel prossimo regolamento di polizia mortuaria” pubblicato su I Servizi Funerari n. 4/2000.
I prodotti abortivi, invece, sono pur sempre costituiti da materiale biologico umano e la legge italiana li distingue in base ad un criterio cronologico.
Se l’età di gestazione è compresa tra le 20 e le 28 settimane o ancora se si sono compiute le 28 settimane di età intrauterina il prodotto abortivo è assimilabile ad un piccolo “cadavere” oggetto di pietà e va smaltito (mi si perdoni la brutalità, quasi empia, del termine) in cimitero attraverso l’inumazione, solitamente.
Detto in termini più letterari ed aulici, in questa circostanza si più rilevare il momento genetico del diritto di sepoltura in cimitero, inteso come titolo di accoglimento.
Per l’individuazione del cimitero territorialmente competente si applica l’art. 50 del D.P.R. 285/90. In una sola buca possono esser interrati anche più “feretrini” contenenti prodotti da concepimento, secondo un altro filone della dottrina, invece, la fossa distinta dalla altre deve obbligatoriamente essere presente nel caso di presenza di autorizzazione di sepoltura, cioè nell’evenienza di cui al comma 1 dell’art. 7, e del comma 2 dell’art. 7 (in sostanza per tutti i casi di nati morti e feti dalle 20 alle 28 settimane).
C’è, però una piccola contraddizione, infatti se non c’è autorizzazione alla sepoltura in cimitero su attivazione dell’A.USL, questa volta non sussisterebbe alcun titolo di accettazione.

A richiesta dei soli genitori (questa potestà non si estende agli altri congiunti secondo jure sanguinis e principio di poziorità), però, per ovvie ragioni morali ed etiche possono esser ricevuti in cimitero anche prodotti da concepimento di età inferiore alle 20 settimane.
Prodotti abortivi di età inferiore alle 20 settimane se non richiesti dai genitori sono equiparati, invece, a rifiuti speciali ospedalieri al pari delle parti anatomiche non riconoscibili ai sensi del D.M. 26 giugno 2000 n. 219 ora abrogato dal più recente D.P.R. 254/2003 e vanno avviati alla termodistruzione.
Le relative autorizzazioni a sepoltura e trasporto sono rilasciate dall’A.USL competente per distretto geografico.
Sarà l’A.USL ad individuare il veicolo idoneo per il trasporto e le modalità di esecuzione dello stesso, anche per evitare durante la movimentazione dei contenitori eventuali percolazioni.
Dunque anche un feto di sole 23 settimane di gestazione può esser sepolto in cimitero ed il D.P.R. 285/90 parla genericamente in termini di sepoltura senza specificarne il tipo, ossia se la sepoltura debba essere a sistema di inumazione o di tumulazione.

La tumulazione dei feti pone, però, un problema di ordine tecnico, ossia i requisiti costruttivi delle casse, essi dovrebbero esser calcolati sull’effettiva quantità di materia organica da racchiudere entro queste piccole bare.
Nel silenzio del legislatore si useranno le comuni bare da tumulazione per neonati anche se certe misure igienico sanitarie (spessore del legno e dello zinco, valvola depuratrice, materassino assorbente) sembrano francamente un po’ eccessive ed ultronee.
Il feto confezionato entro bara da tumulazione è a tutti gli effetti un feretro da tumulazione ed ai sensi dell’art. 76 comma 1 D.P.R. 285/90 e del paragrafo 13.2 Circ. Min. 24/1003 in un loculo può esser murato un solo feretro, pertanto non è ammissibile la richiesta di tumulare i due feti negli stessi loculi dei nonni.
Questa norma è molto (e forse troppo restrittiva) perché, in verità, una bara per neonato non è comparabile per massa e dimensioni, alla cassa per un adulto.
La Lombardia, con l’art. 15 comma 10 del suo regolamento regionale 6/2004 è intervenuta in questo senso permettendo, in deroga al principio generale della sepoltura unitaria, di tumulare madre e figlio entrambi morti durante il parto nella stessa bara superando l’imperfezione dell’art. 74 D.P.R. 285/90 in forza del quale madre e neonato avrebbero solo potuto essere chiusi nella stessa cassa e sepolti nella stessa fossa purché la loro destinazione fosse stata l’inumazione.

Sarebbe, comunque, interessante consultare l’ASL, anche perché è proprio l’Autorità Sanitaria a dover predisporre tutte le autorizzazioni.
I due feti avendo acquisito lo status di “corpi umani da tumulare“ ex art. 7 comma 2 D.P.R. 285/90.

Per il trasporto nei casi di cui all’art. 32 D.P.R. 285/90 se si segue la lettera della Legge dovrebbe esser praticata addirittura la siringazione cavitaria, magari riducendo la quantità di formalina in rapporto alla reale massa del corpo da trattare.
L’art. 77 del D.P.R. 285/90 parla genericamente di “salme” destinate alla tumulazione, prescrivendo l’uso di una bara stagna di cui agli artt. 30 e 31.

Proprio in forza difficilmente potrebbero anche esser raccolti nella stessa bara, per il principio implicito nel nostro ordinamento di polizia mortuaria desumibile, per converso proprio dall’art. 74 D.P.R. 285/90, secondo cui occorre sempre un cofano per ciascun cadavere.
È importante evidenziare sempre il doppio binario tra inumazione e tumulazione.

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