TAR Lazio, Sez. II, 15 luglio 2009, n. 3560

Norme correlate:  

Massima

Testo

Norme correlate:
Capo 10 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990
Art 824 Regio Decreto n. 262/1942

Riferimenti: Cass., SS.UU., 7/10/1994, n. 8197; Cons. Stato, Sez. V, 14/6/2000, n. 3313

Testo completo:
TAR Lazio, Sez. II, 15 luglio 2009, n. 3560
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda
composto dai Signori:
Luigi TOSTI, Presidente
Silvestro Maria RUSSO, Componente;
Stefano TOSCHEI, Estensore;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. R.g. 5126 del 2004 proposto da
D’ANGELO Maurizia, STANZIANI Licia e D’ANGELO Paola (quest’ultima in proprio e quale procuratrice speciale di D’ANGELO Franca e D’ANGELO Vittoria), tutte rappresentate e difese dagli avv.ti Saverio Mussari e Paolo Pittori ed elettivamente domiciliate presso lo studio del primo dei suindicati difensori in Roma, Lungotevere Mellini n. 24;
contro
il COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Brigato e Nicola Sabato dell’Avvocatura comunale, presso la cui sede in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21, è elettivamente domiciliato;
l’AMA S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Ludovica Poltronieri, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Via Enrico Tazzoli n. 2;
per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione dell’iscrizione-annotazione pregiudizievole apposta in data 19 novembre 2003 sulla concessione cimiteriale n. 2364 del 24 ottobre 1952 (relativa ad un loculo speciale di otto posti, n. 19, riquadro 81, I fila su strada al Campo Verano) rilasciata dal Comune ai danti causa delle ricorrenti;
del diniego verbalmente opposto dall’AMA alla tumulazione delle ossa di Francesco Schiavone nella tomba della famiglia D’Angelo;
di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale tra cui, occorrendo, del regolamento comunale di polizia cimiteriale ove in contrasto con la disciplina regolante le concessioni perpetue, R.D. n. 880/41 e successive modificazioni ed integrazioni;
nonché per l’annullamento, per effetto di motivi aggiunti della delibera 15 luglio 1996 n. 146 del onsiglio comunale di Roma di revoca delle concessioni cimiteriali perpetue; di ogni altro connesso, presupposto, consequenziale ed applicativo ove emanato.
Visti il ricorso originario e quello contenente motivi aggiunti con i relativi allegati;
Viste le costituzioni in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata e della Società AMA nonchéi documenti prodotti;
Esaminate tutte le ulteriori memorie con le nuove allegazioni documentali;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla Camera di consiglio del 2 aprile 2008 il dott. Stefano Toschei;
presente per la parte ricorrente l’avv. Pittori, per la società AMA l’avv. Poltronieri, nonché, per la parte resistente, l’avv. Sabato;
Rilevato in fatto e ritenuto in diritto.
FATTO E DIRITTO
1. – Con il ricorso originario meglio indicato in epigrafe, le Signore Maurizia D’Angelo, Licia Stanziani e Paola D’Angelo (quest’ultima in proprio e quale procuratrice speciale delle Signore Franca D’Angelo e Vittoria D’Angelo) premettevano di essere titolari, iure successionis, della concessione perpetua n. 2364 rilasciata dal Comune di Roma il 24 ottobre 1952 ai coniugi (entrambi in seconde nozze) Pasquale D’Angelo e Fernanda Scipioni. Riferivano che in quell’epoca, posto che la concessione era rilasciata per otto posti in favore degli stessi concessionari e delle loro famiglie, vi vennero inumate le salme dei defunti Lucia Masoero, suocera del Signor D’Angelo, Paola Schiavone, prima moglie del Signor D’Angelo e Amedeo Cuccurullo, primo marito della Signora
Scipioni).
Le ricorrenti chiarivano che gli originari concessionari ottennero di modificare, nel 1953, le norme regolanti la concessione sepolcrale, limitando l’inumazione (ulteriore) alle proprie salme, come avvenne effettivamente alla loro morte e ciò, verosimilmente, per evitare controversie tra gli eredi.
Successivamente il figlio della Signora Fernanda Scipioni, Signor Norberto Cuccurullo, ottenuta dal Comune di Roma la concessione 17 giugno 1967 n. 4107 per l’edificazione della tomba di famiglia nel nuovo cimitero di Prima Porta, ottenne il consenso degli eredi del Signor D’Angelo a traslare le spoglie del padre e della madre presso la suddetta tomba di famiglia. Conseguentemente, dal 1967, rimasero nella tomba del cimitero monumentale del Verano le salme di tre defunti: Lucia Masoero, Pasquale D’Angelo e Paola Schiavone; nel contempo gli eredi della Signora Scipioni (nonché del marito Signor Amedeo Cuccurullo) con tre distinti atti rinunciarono ad ogni diritto in relazione ai posti della tomba del Verano.
Riferiscono ancora le odierne ricorrenti che, con atto del 12 aprile 1992 il Signor Guido D’Angelo, in proprio e quale rappresentante delle sorelle Vittoria e Franca, proponeva istanza affinchè venuto meno l’unico presupposto del divieto espresso dai concessionari alla tumulazione degli appartenenti alla famiglia, la direzione del cimitero monumentale del Verano li autorizzasse, quali eredi, ad usufruire dei cinque posti rimasti liberi nella tomba in questione. L’Amministrazione accolse l’istanza annotando sulla scheda, con provvedimento prot. n. 14187/90 del 25 maggio 1990 il seguente addendum: “Vista l’istanza prodotta dagli eredi D’Angelo; Vista la rinuncia da parte degli eredi Scipioni, successivamente alla traslazione delle salme dei propri genitori;
Considerato che è venuto meno il presupposto del divieto espresso a suo tempo dai concessionari … si autorizzano gli eredi D’Angelo Guido, Vittoria e Franca ad usufruire dei posti disponibili” (così nel testo come riportato a pag. 4 del ricorso introduttivo del presente giudizio).
Soggiungono ancora le ricorrenti che nel 2003 decedeva Guido D’Angelo e la salma veniva inumata nella tomba in questione; di talché il diritto soggettivo perfetto all’uso dei quattro posti rimanenti nella tomba del cimitero del Verano, derivante dalla originaria concessione, doveva ritenersi da quel momento pervenuto iure successionis, oltre che in capo alle sorelle superstiti (Vittoria e Franca), alla moglie ed alle figlie del deceduto Guido D’Angelo, vale a dire alle odierne ricorrenti (rispettivamente) Paola e Maurizia D’Angelo e Licia Stanziani.
Accadeva tuttavia che, una volta chiesto ed ottenuto dall’AMA il trasferimento della cassetta-ossario dei resti del Signor Francesco Schiavone (ascendente delle odierne ricorrenti) morto a Torino nel 1931 dal cimitero dove era tumulato alla tomba del cimitero del Verano, l’operazione non si concludeva positivamente in quanto l’Amministrazione riteneva che fosse di ostacolo alla tumulazione l’esistenza di un vincolo apposto all’atto di concessione che non la permetterebbe. Solo in occasione di tale episodio e della successiva richiesta ostensiva, le odierne ricorrenti venivano a conoscenza che – (asseritamente) ad insaputa delle stesse interessate – all’epoca della tumulazione del Signor Guido D’Angelo nell’atto di concessione era stata inserita la seguente annotazione “eventuali ulteriori tumulazioni potranno essere autorizzate solo attraverso la modifica delle norme di concessione, tramite revoca della concessione”.
Lamentano le ricorrenti che detto vincolo osterebbe non solo alla tumulazione della suindicata cassetta-ossario ma anche delle successive tumulazioni, attualmente possibili fino alla concorrenza degli otto posti oggetto della concessione e ciò anche secondo quanto verbalmente dichiarato da funzionari dell’AMA.
2. – Così chiarite le vicende che hanno condotto alla proposizione del ricorso (originario), le ricorrenti sostengono l’illegittimità della suindicata annotazione e, conseguentemente, del diniego opposto dall’Amministrazione alla tumulazione della cassetta-ossario nonché alla (eventuale) utilizzazione dei posti rimanenti fino alla concorrenza degli otto per come previsto nella concessione dopo l’annotazione del 25 maggio 1990, quest’ultima riespansiva del pieno utilizzo della tomba rispetto all’annotazione voluta dagli originari concessionari nel 1953.
In particolare esse sostengono che:
in forza del pacifico orientamento dottrinale e giurisprudenziale in materia, le concessioni funerarie sono perpetue (almeno quelle rilasciate precedentemente al 1975) e quindi sono impermeabili a qualsiasi intervento pubblicistico peggiorativo “non sopportando i diritti spettanti al concessionario di essere in alcun modo affievoliti né attraverso l’esercizio di poteri regolamentari né, a maggior ragione, con provvedimenti uti singuli” (così a pag. 7 del ricorso introduttivo). Conseguentemente è del “tutto fallace e illegittima, poi, la pretesa di subordinare le future autorizzazioni alla revoca della concessione” e quindi, visto che” tale tipo di concessioni dà diritto iure sanguinis alla sepoltura dei familiari dei primigenei concessionari (…) e sino alla concorrenza dei posti originariamente concessi (…) l’iscrizione pregiudizievole (…) apposta il 19 novembre 2003, non solo è illegittima, ma è viziata da carenza in concreto di potere, non essendo riconosciuto, neppure in astratto, all’amministrazione di modificare la disciplina concessoria” (così a pag. 9 del ricorso introduttivo);
pregiudicando in modo sensibile i diritti delle ricorrenti, l’Amministrazione prima di apporre l’iscrizione avrebbe dovuto coinvolgere le parti interessante onde conceder loro di interloquire e di contribuire a determinare una adeguata istruttoria.
In ragione di tali censure le ricorrenti chiedevano l’annullamento della contestata iscrizione.
3. – Si costituivano in giudizio l’Amministrazione comunale depositando documenti e la Società AMA (legittimata passiva in quanto con numerose deliberazioni del 1997 e del 1998 il Consiglio comunale del Comune di Roma ha provveduto all’accorpamento dei Servizi funebri e cimiteriali nell’Azienda speciale AMA, poi trasformata in AMA S.p.a., a decorrere dal 1° ottobre 1998) che eccepiva preliminarmente l’inammissibilità del ricorso non costituendo l’iscrizione un provvedimento amministrativo ma solo un atto interno, inserito sulla scheda operativa e, come tale, privo di efficacia dispositiva e quindi inoppugnabile.
La difesa dell’AMA eccepiva comunque l’improcedibilità del ricorso siccome proposto avendo provveduto la Società ad annullare l’iscrizione con atto del 31 maggio 2004.
4. – Alla Camera di consiglio del 9 giugno 2004 la resistente AMA depositava la delibera del Consiglio comunale del Comune di Roma n. 146 del 15 luglio 1996 nella quale il Comune stabilisce che a cura dei competenti Uffici siano revocate le concessioni cimiteriali perpetue, disponendosi la novazione in concessioni a tempo determinato, con applicazione di un nuovo canone concessorio. Nel corso della stessa Camera di consiglio la medesima resistente depositava la nota con la quale si era dato luogo alla cancellazione della iscrizione impugnata dalle ricorrenti.
Queste ultime, ritenendo la delibera consiliare, della quale venivano a conoscenza in occasione della produzione giudiziale, pregiudizievole della loro posizione di eredi dei diritti concessori acquisiti dai loro avi, proponevano ricorso contenente un apposito motivo aggiunto ritenendo illegittima l’operazione avviata dal Comune di Roma nel 1996, da un lato ribadendo la sostanziale “impermeabilità” delle concessioni cimiteriali perpetue a qualsivoglia intervento dell’Amministrazione concedente e, sotto altro versante, puntualizzando che l’Amministrazione deve considerarsi priva di “un qualche potere di imporre, in qualsiasi modo, attraverso atti di natura regolamentare e/o provvedi mentali, forme diverse e più restrittive d’utilizzazione, che, invece, attengono direttamente ai proprietari concessionari” (cos’ a pag. 5 del ricorso contenente motivi aggiunti). Da qui l’ulteriore domanda volta all’annullamento della delibera n. 146, sussistendo l’interesse attuale e concreto, almeno di una delle ricorrenti gravemente malata e che aveva espresso il desiderio, alla morte, di essere sepolta nella tomba del Verano (vedasi sul punto la relazione clinica allegata all’istanza di prelievo depositata dalla difesa delle ricorrenti) ad evitare l’applicazione della impugnata delibera e quindi il verificarsi di nuovi ostacoli frapposti alle successive tumulazioni. Anche con riferimento ai motivi aggiunti proposti dalle ricorrenti resisteva la Società AMA eccependo preliminarmente la tardività del gravame e comunque l’inammissibilità per carenza di attualità dell’interesse all’annullamento della delibera consiliare in difetto di atti pregiudizievole, in particolare dopo che l’urna contenente i resti dell’avo delle ricorrenti (Francesco Schiavone) era stata tumulata nel luglio del 2004.
Successivamente, in sede di memoria conclusiva, le ricorrenti ribadivano le contestazioni già svolte nel ricorso originario ed in quello contenente motivi aggiunti e tra queste chiarivano (per come già affermato nel ricorso di ampliamento del thema decidendum della controversia) che, pur essendo stata effettuata la tumulazione della cassetta-ossario contenente i resti del Signor Francesco Schiavone (ascendente delle odierne ricorrenti), in data 10 luglio 2004, l’AMA aveva preteso di assegnare un nuovo numero di concessione all’urna (il n. 14854/2002 piuttosto che l’originario n. 2364/1952), asserendo che si trattava “di un posto in più” rispetto all’originaria concessione e pretendendo anche la corresponsione della somma di € 155,00 per i diritti di nuova concessione, dimenticando tuttavia che proprio il Signor Francesco Schiavone era un diretto beneficiario del diritto concessorio. Rilevano, dunque, le ricorrenti che, proprio in virtù di tale episodio, si appalesava la circostanza che l’AMA, per effetto della delibera consiliare n. 146 del 1996, considerava ormai esaurita la concessione funeraria, facendo dunque applicazione del nuovo regime. In ragione di quanto sopra ribadivano le già rassegnate conclusioni.
In vista dell’udienza di merito il Comune depositava ulteriore documentazione mentre l’AMA, tenendo ferme tutte le già precisate controdeduzioni, rinunciava alla sola eccezione di tardività sollevata nei confronti dell’impugnazione della delibera consiliare n. 146 del 1996.
5. – L’esigenza di svolgere un puntuale excursus in ordine alle vicende che hanno caratterizzato la controversia qui in esame è ritenuto dal Collegio momento centrale dello sviluppo delle osservazioni necessario per procedere alla decisione della controversia medesima.
Appare anzitutto evidente che lo scrutinio giudiziale deve appuntarsi esclusivamente sul ricorso contenente motivi aggiunti, avendo le ricorrenti ottenuto quanto preteso con il ricorso originale, seppur successivamente alla sua proposizione e non essendo stata manifestata alcuna proposizione risarcitoria di eventuali posizioni soggettive violate (pur ammettendo – in thesi – che vi fossero posizioni effettivamente risarcibili secondo i noti canoni fatti propri, in questo momento storico, dalla giurisprudenza amministrativa); di talché il ricorso originario va dichiarato improcedibile.
6. – Quanto al ricorso contente motivi aggiunti che, lo si rammenta, ha ad oggetto la legittimità della delibera consiliare n. 146 del 1996, deve anzitutto stimarsi la sussistenza dell’interesse, sotto il profilo dell’attualità, da parte delle ricorrenti all’impugnazione della delibera surricordata e soprattutto al suo (eventuale) annullamento.
Le ricorrenti ribadiscono la sussistenza del presupposto dell’azione giudiziaria in quanto già in occasione della tumulazione dell’urna contenente i resti del Signor Francesco Schiavone l’AMA avrebbe considerato esaurita la concessione. Del resto la ricostruzione delle ricorrenti coincide perfettamente con quanto sostenuto nella nota n. 10655 del 4 giugno 2004, trasmessa dall’AMA all’Avvocatura del Comune di Roma e da quest’ultima depositata a ridosso dell’udienza di merito, nella quale si legge, a proposito della iscrizione-annotazione sulla scheda della concessione (apposta nel 2003, impugnata dai ricorrenti con il ricorso originario e cancellata nel 2004), che “la stessa va considerata come soluzione al problema posto dal diniego, in quanto applicando l’istituto previsto dalla deliberazione del Consiglio Comunale n. 146/96 (…) si ha la nascita di una nuova concessione e, quindi, la possibilità attraverso il dettato di nuove norme di concessione di superare il vincolo di cui trattasi” (così alla seconda pagina della citata nota). Il Collegio ritiene che, anche in ragione della particolare materia oggetto del contendere, che merita un assetto definito prima che si verifichi il singolo episodio cruciale, onde evitare (altresì) che la naturale tempistica giudiziale impedisca la pronta tumulazione di una nuova salma, come è giusto che avvenga anche in ragione di sentimenti di pietas verso i defunti, che debbono comunque trovare pronta e piena salvaguardia costituendo la tutela del soggetto al momento del trapasso dalla vita alla morte una proiezione dei diritti della personalità dell’individuo costituzionalmente ritenuti degni di considerazione dall’art. 2 Cost., l’interesse al ricorso nella specie sussista, costituendo la delibera consiliare impugnata una potenziale “spada di Damocle” pendente sulla testa di coloro che sono titolari di un diritto derivante dal rilascio – direttamente nei loro confronti o acquisito iure successionis – di una concessione sepolcrale.
7. – Può passarsi, quindi, all’esame del merito dell’impugnazione proposta con motivi aggiunti e che si radica nella prospettazione della naturale impermeabilità delle concessioni perpetue, quanto meno fino al loro naturale esaurimento: nel caso di specie, fino al raggiungimento degli otto posti stabiliti nell’atto di concessione originario nonché sull’ulteriore circostanza che nessun atto regolamentare comunale può contenere disposizioni in contrasto con norme di legge.
Deve anzitutto muoversi dalla distinzione tra sepolcro gentilizio o familiare e sepolcro ereditario.
Nel caso del sepolcro ereditario, la identificazione dei soggetti titolari del diritto primario di sepolcro o ius sepulchri, inteso nella sua accezione di diritto alla tumulazione in un determinato luogo (con la conseguenza che le salme ivi tumulate non possono esserne rimosse e che i congiunti più prossimi o gli eredi delle persone ivi sepolte possono accedere alla tomba – in forza del diritto secondario di sepolcro loro spettante – per compiervi gli atti di pietà consentiti dalla religione o dall’uso), va fatta in base alle norme che regolano la successione mortis causa o i trasferimenti in genere dall’originario titolare, trattandosi di un diritto che si trasferisce nei modi stessi di ogni altro bene, che può persino essere alienato in tutto o in parte e può essere lasciato, anche in legato, a persone non facenti parte dalla famiglia.
Invece, nel sepolcro gentilizio o familiare (carattere questo da presumersi nel caso di silenzio o anche di solo dubbio al riguardo), la identificazione è fatta in base alla volontà del fondatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari del sepolcro eretto: il diritto del singolo si acquisterà iure proprio sin dal momento della nascita, non potrà essere trasmesso né per atto tra vivi né per successione mortis causa, non si perde per prescrizione o rinunzia, e inoltre dà luogo a una particolare forma di comunione tra i contitolari, che non va confusa con la comunione di proprietà o di altro diritto reale del bene (cfr., sul punto, Cass., Sez. II, 29 maggio 1990 n. 5015).
8. – Giova poi ricordare in materia di ius sepulchri che la giurisprudenza, tenendo conto della differenza tra sepolcro gentilizio (eretto dal fondatore) e sepolcro già costruito (verosimilmente dall’Amministrazione) risulta consolidata sui seguenti principi:
– lo ius sepulchri, inteso quale diritto reale ad essere inumati o tumulati nel sepolcro gentilizio, si acquista per il solo fatto di trovarsi in quel determinato rapporto di parentela col fondatore, previsto nell’atto di fondazione; in ogni caso esso si trasmette iure sanguinis e non iure successionis ed è tutelabile con l’azione negatoria ex art. 949 c.c (cfr. Cass., 30 maggio 1984 n. 3311); nel nostro ordinamento, il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione da parte dell’Autorità amministrativa di un’area di terreno (o di una porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea, a sua volta, nel privato concessionario, un diritto soggettivo perfetto di natura reale e perciò opponibile, iure privatorum, agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che si affievolisce, degradando ad interesse legittimo, nei confronti dell’Amministrazione, nei casi in cui esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongono o consigliano alla P.A. di esercitare il potere di revoca della concessione (cfr. Cass., SS.UU., 7 ottobre 1994 n. 8197);
– lo ius sepulchri, ossia il diritto ad essere tumulato nel sepolcro, laddove concerne un manufatto costruito su terreno demaniale costituisce, nei confronti della P.A. concedente, un diritto affievolito in senso stretto e dalla demanialità del bene discende, infatti, l’intrinseca cedevolezza del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14 giugno 2000 n. 3313).
Come già riferito, nel nostro ordinamento il diritto di sepolcro si fonda su una concessione da parte dell’Autorità amministrativa di un’area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale in forza dell’art. 824 c.c. e tale concessione, in quanto si riferisce all’uso specifico cui l’area stessa è permanentemente destinata, crea, a sua volta, nel privato concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale, nei confronti degli altri privati come tale alienabile, prescrivibile ed espropriabile, salvo le particolari limitazioni che siano previste dai regolamenti comunali, in base ai quali la concessione è stata fatta, o di essi modificativi. Sicché: siffatto diritto di natura reale (superficie), iure privato è tutelabile con esperimento dinanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria di ogni azione che il particolare caso richieda, ivi compresa la revindica; iure publico è destinato ad affievolirsi nei confronti della P.A. concedente e a degradare in diritto condizionato od affievolito, qualora lo richiedano esigenze di pubblico interesse per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero.
Pertanto una volta costituita, legittimamente, la concessione di uso (ius sepulchri), la relativa facoltà gode di una protezione piena ed assoluta nei confronti dei privati, ma nel rapporto con l’Amministrazione, l’acquisto della relativa facoltà resta sempre subordinato all’adozione di un apposito provvedimento di trasferimento.
La permeabilità della concessione cimiteriale rispetto all’esercizio – corretto e secundum legem- della potestà autoritativa fino all’estremo della revoca riguarda, tuttavia e per quanto si dirà appresso, esclusivamente le concessioni rilasciate dopo il 1990 e non quelle rilasciate in epoca precedente e definite “perpetue”.
9. – Così ricostruito lo ius sepulchri, inteso quale diritto reale ad essere inumati o tumulati nel sepolcro gentilizio ovvero in quello ereditario (cioè già costruito e fatto oggetto di concessione), appare evidente che, nel caso in esame, si verte nell’ambito della seconda delle due tipologie suindicate.
Deve quindi passarsi all’esame della normativa applicabile in materia tenendo conto dell’ulteriore distinzione tra concessioni perpetue e concessioni a tempo determinato (normalmente per 99 anni) e quindi tra concessioni rilasciate prima e dopo il 1990.
In materia l’art. 92 del D.P.R. 10 settembre 1990 n 285 (recante l’approvazione del regolamento di polizia mortuaria) stabilisce che le concessioni cimiteriali successive al 1990 debbano essere ricondotte a due tipologie (esclusivamente) a tempo determinato; di conseguenza, non possono essere più rilasciate concessioni per l’uso perpetuo di aree cimiteriali.
Nessuna norma, invece, prevede che le concessioni perpetue preesistenti debbano trasformarsi o essere ricondotte ad una delle tipologie previste dal decreto presidenziale citato.
L’art. 92 citato, dunque, recita:
“1. Le concessioni previste dall’art. 90 sono a tempo determinato e di durata non superiore a 99 anni, salvo rinnovo.
2. Le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803, possono essere revocate, quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Tutte le concessioni si estinguono con la soppressione del cimitero, salvo quando disposto nell’art. 98.
3. Con l’atto della concessione il comune può importare ai concessionari determinati obblighi, tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato pena la decadenza della concessione.
4. Non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione.”.

Quindi le concessioni perpetue non rientrano tra quelle disciplinate dal primo periodo del comma 2 dell’art. 92 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, che riguarda esclusivamente le concessioni cimiteriali a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni; le concessioni perpetue sono richiamate dall’art. 98, comma 1, dello stesso D.P.R. che prevede, solamente in caso di soppressione del cimitero, l’unica modalità di trasformazione delle concessioni perpetue in concessioni a tempo determinato della durata di 99 anni.
Deriva da quanto sopra che le concessioni perpetue rilasciate in data anteriore a quella di entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, si trovano in situazione di diritti acquisiti e non sono soggette a revoca. Dette concessioni mantengono il carattere di perpetuità, mentre si estingue la potestà di esercitare il diritto di sepoltura una volta esaurita la capienza del sepolcro: in questo caso, infatti, qualora il titolare della concessione intendesse successivamente procedere a nuove tumulazioni nello stesso sepolcro, si dovrebbe procedere all’estumulazione di una delle salme presenti nel sepolcro, per le quali dovrebbe essere richiesta una nuova concessione, integrativa della precedente, di durata non superiore a 99 anni.
A sostegno di quanto suindicato il Consiglio di Stato, con decisione della Quinta sezione, 8 ottobre 2002 n. 5316 ha affermato che: “una concessione cimiteriale perpetua non può essere revocata e la sua cessazione può darsi unicamente nell’eventualità di estinzione per effetto della soppressione del cimitero”.
A completamento di quanto sopra espresso, va ancora precisato che l’art. 92 del citato decreto presidenziale del 1990 consente la revoca delle concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni (e qui si ribadisce che non rientrano in questa fattispecie le concessioni perpetue) purché siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di un nuovo cimitero.
Oltre a ciò non risulta documentalmente provato che, nel caso in esame, la fattispecie possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 63 dello stesso decreto presidenziale, consentendo tale norma di dichiarare decaduta la concessione qualora il sepolcro si trovi in stato di abbandono o in caso di estinzione della famiglia o di irreperibilità degli eredi.
10. – Può quindi affermarsi, conclusivamente ed in ragione di quanto si è sopra osservato, che:
le concessioni cimiteriali perpetue sono quelle rilasciate (come tali e comunque) precedentemente al 1990;
nei loro confronti, in via generale, non trovano applicazione le disposizioni dettate dal D.P.R. n. 285 del 1990 e quindi rimangono assoggettate al regime giuridico vigente al momento del loro rilascio potendo essere modificate solo da espressa disposizione di legge, da novazioni consensuali o dal concretarsi dei casi di estinzione quali ad esempio la soppressione del cimitero ovvero le altre ipotesi sopra descritte; oltretutto, nel caso di specie non sussisterebbero neanche le condizioni applicative di cui all’art. 92 del D.P.R. 285 del 1990 per poter ricorrere alla revoca della concessione anche se questa fosse ritenuta a tempo determinato (50 anni di non tumulazione, insufficienza del cimitero ed impossibilità di provvedere tempestivamente all’ampliamento);
11. – A questo punto può scrutinarsi la legittimità della delibera consiliare n. 146 del 1996 osservandosi, in via generale, che la normativa regolamentare comunale di polizia mortuaria e sui cimiteri in tanto è legittima in quanto non viene a porsi in contrasto con la normativa regolamentare adottata dal Governo, in virtù di quanto previsto dall’art. 4 delle disposizioni preliminari al codice civile e tenuto comunque conto che la delibera consiliare è stata adottata in epoca antecedente la modifica del Titolo V della Costituzione, di talché non è neppure ipotizzabile una eventuale applicazione dell’art. 117, comma sesto, della Costituzione nella versione novellata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3.
Ciò premesso, nel caso in esame la normativa comunale che autorizza espressamente, peraltro senza adeguata motivazione e senza neppure esprimere alcuna valutazione circa la ponderazione dell’interesse pubblico (immaginabile come prevalente) rispetto a quello dei privati concessionari travolto dalle decisioni di ritiro adottate dagli organi comunali, “il Dirigente Superiore preposto ai Servizi Funebri e Cimiteriali a revocare, con propria determinazione dirigenziale, le concessioni cimiteriali perpetue e a rilasciare nuove concessioni a tempo determinato” per i casi e secondo i criteri indicati nella stessa delibera consiliare , si pone in aperto contrasto con le disposizioni del D.P.R. n. 285 del 1990 e soprattutto con la normativa precedente, non avendo il decreto presidenziale del 1990 ritenuto di intervenire sulla validità delle concessioni cimiteriali perpetue.
Più in particolare, quindi, la disposizione consiliare viene a trovarsi in contrasto con la previsione di cui all’art. 93 del regolamento governativo approvato con D.P.R. n.803 del 1975 (il cui contenuto è stato poi ripetuto nell’art. 92 del D.P.R. 10.9.1990 n.285). Detta disposizione statale, dopo aver precisato che le concessioni cimiteriali rilasciate dopo l’entrata in vigore del regolamento, non possono avere una durata superiore ai 99 anni, salvo rinnovo, prevede per quelle anteriori, di durata superiore ai 99 anni, la facoltà di revoca da parte del Comune quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma e si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Consente poi al Comune, con l’atto di concessione, di imporre al concessionario determinati obblighi tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato, pena la decadenza della concessione. Con la conseguenza che nella normativa statale, per le concessioni di durata superiore ai 99 anni rilasciate anteriormente al D.P.R. n. 803 del 1975, l’esercizio del potere discrezionale di revoca nell’interesse pubblico viene ancorato a due precisi presupposti (superamento di 50 anni dall’ultima tumulazione e grave insufficienza del cimitero), che debbono concorrere entrambi per la legittimità del provvedimento di revoca, mentre la decadenza viene consentita rispetto all’inosservanza di determinati obblighi a carico del concessionario da precisare con l’atto di concessione (o con la convenzione che sovente l’accompagna).

Per cui, il Comune di Roma e per esso gli Uffici competenti ad adottare i provvedimenti conseguenti (oggi, verosimilmente, la Società
AMA), relativi all’applicazione della delibera consiliare n. 146 del 1996, non possono assumere provvedimenti interdittivi o impeditivi all’utilizzo della concessione cimiteriale qui in esame ed i cui diritti sono pervenuti ereditariamente in capo alle ricorrenti, neppure per effetto del decisum dell’organo consiliare del 1996 di cui sopra, trattandosi di concessione di durata almeno superiore ai 99 anni (in quanto nella convenzione del 1952 non risulta documentalmente che sia stato posto alcun termine alla relativa concessione). In altri termini il Comune di Roma o chi per esso, neppure dopo la delibera consiliare n. 146 del 1996 hanno assunto il potere di imporre sulla base della propria normativa regolamentare altri adempimenti, ai quali ricollegare la decadenza della concessione, potendo fare ciò solo con l’atto di concessione o con le modifiche successive (il che non era avvenuto nella specie).
12. – In ragione di tutte le suesposte osservazioni e tenuto conto dell’improcedibilità del ricorso originale per i motivi più sopra rammentati, tenendo altresì conto delle conferme documentali acquisite in merito, il gravame contenete motivi aggiunti va accolto per le ragioni sopra analiticamente evidenziate e nei limiti delle stesse, di talché il contenuto del regolamento comunale per la revoca delle concessioni cimiteriali perpetue approvato con deliberazione consiliare n. 146 del 15 luglio 1996 deve considerarsi illegittimo e quindi, in accoglimento del ridetto gravame, annullato.
In virtù delle complesse questioni qui scrutinate, il Collegio stima che sussistano giusti motivi per disporre la compensazione integrale
delle spese di giudizio tra le parti controvertenti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, in parte lo dichiara
improcedibile e, in parte, lo accoglie con annullamento dell’atto impugnato.
Spese compensate.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 2 aprile 2008.
Il Presidente Il relatore ed estensore
Luigi Tosti Stefano Toschei

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 15/07/2009