Esposto al sole, privo di umidità, caldo d’inverno e fresco d’estate: no, non è un bell’appartamento ma… un loculo. A quanto pare a Forlì considerano la tomba una sorta di “seconda casa”, con tutte le conseguenze che inevitabilmente ne derivano. Le richieste di comfort da associare a loculi o cappelle solleticano infatti l’estro (o l’eccentricità) dei familiari che, per il caro defunto, sono pronti anche a far cose che, a prima vista, potrebbero essere considerate ridicole, come preoccuparsi della temperatura interna del loculo. Non è raro infatti incontrare nei cimiteri del Forlivese vedove che, convinte che il marito sia costretto a soffrire il freddo nell’aldilà, decidono di far rivestire di legno intere cappelle. Bizzarro ma interessante per ridurre le escursioni termiche e favorire i processi di scheletrizzazione, direbbe qualche esperto cimiteriale. Questo è soltanto uno dei tanti casi che contraddistinguono quello che può essere definito un vero e proprio fenomeno socioculturale, con ripercussioni sulla gestione stessa dei cimiteri. Sottoterra no. Sempre più spesso, infatti, capita che i familiari del defunto preferiscano le tumulazioni in loculi o tombe in muratura piuttosto che le inumazioni in campo comune: l’idea di “vedere” sottoterra un proprio caro, anche se da morto, sembra non essere considerata molto favorevolmente. Cremazione, un tabù. Un discorso a parte, poi, merita la pratica della cremazione. A Forlì nel 2000 si sono registrati soltanto 34 casi: fatto, questo, determinato non tanto dalla mancanza di un impianto di cremazione a Forlì (quello più vicino si trova a Faenza ed è dunque facilmente raggiungibile), quanto da una sorta di “timore” nei confronti dell’intera operazione.
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