Infanzia: la morte negata; esequie da inventare

L?esposizione estetica dei cadaveri è parte integrante di molte tradizioni culturali ed etniche. Molti esperti di tanatologia ritengono che render visita ai morti aiuti il processo di emancipazione dalla figura dell?estinto, aiutando l?animo a riconoscere la realtà della morte. Non è, invece, opportuno introdurre anche i bimbi nella camera ardente, perché potrebbero impressionarsi troppo oppure non capire la tragicità del momento. Considerazioni diverse meritano invece gli adolescenti: in questo caso i teen-agers hanno una personalità più forte e vedere i morti è pur sempre un segno di crescita, perché si entra nel mondo degli adulti e nella drammatica consapevolezza che lo fonda. Vegliare un cadavere è, dunque, pratica da non demonizzare, purché il ragazzino mostri apertamente questa volontà e ne sia cosciente, senza forzature o indebite pressioni. Secondo un altro filone della dottrina, parimenti legittimato dalla letteratura medica, ad un’ età molto tenera, i bambini avrebbero già maturato la consapevolezza della morte e cercano seppur in modo elementare una risposta a questa tragica condizione. Anche ai bimbi allora dovrebbero essere data la possibilità di entrare nella camera ardente ed assistere ed all?officio funebre. In America, ad esempio, Il direttore dell?impresa con la sua discreta presenza è sempre disponibile per un immediato sostegno psicologico ad un minore sconvolto della vista di una salma, può poi, su richiesta della famiglia, offrire il proprio contributo su come aiutare i bambini durante un funerale e può fornire sempre utilissime informazioni assieme ad una ricca bibliografia di testi su cui documentarsi. Per costruire una solida cultura funeraria ed un futuro per le stesse imprese d?estreme onoranze bisognerebbe, in ogni caso, lavorare sui bimbi, con un intervento didattico di grande respiro, ispirato all’oggetto ricordo, alla storia dell’antenato. Questa catalogazione letteraria del proprio passato dovrebbe coinvolgere anche gli adulti che, sempre con maggior disagio, affrontano con i figli il problema della morte. I nostri bambini, invece, vengono invasi ed assillati dalle immagini di una televisione drogata di luci e suoni assolutamente illusorie, così la morte, nel tubo catodico, si risolve in un evento finto e romanzato, diventa solo una banale recita. Di morte non si parla quasi mai, salvo quando succede la disgrazia e l’angelo nero entra di prepotenza nella nostra vita, strappandoci una persona cara. I bambini, invece, andrebbero, in qualche modo, educati alla fine della vita ma questo crescita della loro coscienza non può certo avvenire nel momento in cui il dolore per un lutto è massimo. Il cimitero, in quest’ottica, dovrebbe esser vissuto come una città dei ricordi in cui una comunità riscopre le proprie origini e la storia di ognuno. Il camposanto, allora, non deve esser degradato ad un luogo maledetto infestato da fetidi miasmi e paure infernali, dove si va solo a soffrire, dobbiamo saper proporre ai nostri bambini un nuovo codice di valori, un linguaggio trasversale con cui poter parlare liberamente anche della morte.

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