Ri-tumulazione ed aspetti tecnici: rifascio o…”sogliole”?

Premessa

In tema di nuova tumulazione per resti mortali, oggi espressamente prevista dall’Art. 3 D.P.R. n. 254/2003, questo fu pure l’orientamento della Regione Lombardia con l’Art. 20 comma 5 del suo vecchio ed ormai superato regolamento regionale n. 6/2004 in materia di polizia mortuaria.
Gli Artt. 86, 87, 88 e 89 del D.P.R. n. 285/1990 disciplinano, in via generale, l’estumulazione, lasciando comunque al Sindaco, quale autorità sanitaria locale che sovrintende, ex Art. 51 D.P.R. n.285/1990, alle funzioni di polizia cimiteriale, la responsabilità di ordinare le operazioni stesse (oppure se si ritiene opportuno, attraverso apposita norma sul regolamento di polizia mortuaria comunale).
In pratica, con ordinanza del Sindaco, si forniscono le norme attuative e di dettaglio e si attribuiscono le competenze.

Non dobbiamo, mai dimenticare, tuttavia, come in forza della emanazione del D.P.R. 15 luglio 2003 n. 254, suffragato anche dalla nota di p.n. 400.VIII/9Q/3886 del Ministero della Salute, i cadaveri estumulati e rinvenuti ancora integri possano direttamente esser cremati senza dover per forza permanere almeno 5 anni in campo di terra.
Questa possibilità (occorre ex Art. 3 comma 1 Lett. g) Legge n.130/2001 almeno l’assenso degli aventi titolo a pronunciarsi ed il disinteresse manifesto e protratto per un congruo tempo vale come tale) molto conveniente e “drasticamente risolutiva” diraderebbe ogni dubbio ermeneutico sull’opportunità della “ri-tumulazione”.
Ai tempi del controllo sanitario sulle estumulazioni, vi furono A.Usl (al tempo si chiamavano ancora così) capaci di assumere atteggiamenti più rigidi e severi, sconsigliando caldamente questa pratica funebre, esse tuttavia agivano sul loro versante (parere medico-legale) pur sempre di interfaccia tecnico-strumentale rispetto a quella potestà regolamentativa dell’attività cimiteriale che è propria ed esclusiva del Comune.

Il corretto confezionamento del feretro dipende da come si presenta il resto mortale: il rifascio con cassone di metallo è di rigore solo se si ravvisi il pericolo di percolazione dovuta ai liquami cadaverici (paragrafo 3 Circolare Ministeriale n.10/1998), altrimenti basterebbe pure la sola cassa di legno; altri chiosatori si spingono oltre considerando legittimo tumulare i resti mortali racchiusi nei contenitori di cui alla Risoluzione del Ministero della Salute n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23.03.2004.
Ci si discosta da questa pur autorevole opinione, rinviando a questo link chi interessato ad approfondire per le sue successive personali osservazioni.
Le c.d. “sogliole “, tuttavia, solamente quando e se ammesse, possono costituire forse l’unico rimedio davvero esperibile, se non si vuole accedere all’istituto della cremazione resto mortale, per recuperare indubbiamente prezioso spazio (pochi cm in più a disposizione nel loculo alle volta costituiscono una ricchezza, ma non rappresentano certo una soluzione definitiva.
Anzi la sogliola (ed il ricorso spesso abusato a tale fattispecie molto, molto di prassi e poco di diritto) è già segno evidente di una saturazione cimiteriale ormai prossima.
Le casse funebri a sogliola per resti mortali, alla fine, costituiscono un sistema tecnicamente più sicuro (sono pur sempre saldate) per tumulare resti mortali in cui dovessero presentarsi ancora parti molli, con il rischio concreto di residue percolazioni ed esalazioni cadaveriche.
Meglio, quindi, una “bara” almeno di metallo e sigillata invece di un semplice cofano di materiale light e facilmente biodegradabile o combustibile.

Analizziamo, adesso, i problemi, anche inerenti allo smaltimento dei rifiuti prodotti da attività cimiteriale ex D.P.R n. 254/2003 intrinsecamente legati a questa consuetudine praeter legem ed ora finalmente regolarizzata, in modo definitivo, dal DPR n. 254/2003.
I familiari, richiedono l’estumulazione della bara e la successiva apertura, ex Art. 75 comma 2 D.P.R. n. 285/1990, solo per accertare lo stato di mineralizzazione della salma, non essendo minimamente intenzionati né ad inumarla, giusta l’Art. 86 comma 2 D.P.R. n.285/1990, né a trasportarla in altra sepoltura ex Art. 88 D.P.R. n.285/990, nella pia illusione di guadagnare spazio per la futura tumulazione di un nuovo feretro.
Se la salma è mineralizzata, si procede alla raccolta delle ossa ai sensi dell’Art. 86 comma 5 D.P.R. n.285/1990, liberando, così, effettivamente un posto, mentre, se non è ancora scheletrizzata, (i tempi sono lunghissimi!) si procede ad avvolgimento con un cassone esterno di lamiera e ri-tumulazione nello stesso loculo.
Queste operazioni, a parte il risvolto imbarazzante di sfasciare brutalmente casse, non di rado, quasi intatte, presentano degli inconvenienti.
Può accadere, infatti, che utenti dei servizi cimiteriali sprovveduti o mal consigliati richiedano tale ricognizione sull’avvenuta decomposizione del cadavere anche quando la possibilità di riduzione della salma sia remota: in tal caso il tutto si risolve in uno spreco di soldi per i familiari e di tempo (e fatica!) per necrofori ed affossatori.

Lo sperpero di energie e risorse può anche essere notevole. Molte tombe antiche, infatti, non sono a norma, e non presentano un vestibolo esterno libero, ex Art. 76 comma 3 D.P.R n. 285/1990, per il diretto accesso al feretro in ogni loculo.
Può rendersi, così, necessario estrarre numerosi cofani per raggiungere quella oggetto della domanda di ispezione sul feretro.
Se poi queste casse risultassero deteriorate (ad es. a causa di infiltrazioni di acqua), sarebbe necessario rifasciarle con cassone esterno di zinco prima di ricollocarle nel loro loculo, con i conseguenti problemi di spese ed anche di ingombri in volumi tombali già colmi, tali da dover, poi, ricorrere al complesso degli adempimenti di “deroga” dell’Art. 106 D.P.R n. 285/1990 con relativo allegato tecnico di cui al paragrafo 14 della Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24; anzi una simile istanza di estumulazione, secondo alcuni commentatori, potrebbe, addirittura, produrre la dichiarazione di decadenza.
Non va, inoltre, sottovalutato il rischio a cui sono esposti i necrofori. Certo, smurature e faticosa movimentazione dei feretri sono parte del loro ingrato mestiere, ma non è questo un motivo valido per autorizzare qualunque tipo di lavori cimiteriali (certa gente è davvero incontentabile e poi…come dicevano gli Antichi Romani “appetitus oboediant rationi”!).
È per le ragioni sullodate che, nel territorio di diverse ASL, in passato, non si accettavano più da anni domande di “verifica feretro”.
Esse, però, si sono puntualmente ripresentate a seguito della circ. Min. Sanità n. 10/1998.

Sussiste qualche dubbio anche sull’interpretazione del penultimo capoverso, laddove il rifascio della cassa è obbligatorio solo se vi è constatazione di parti molli della salma, con pericolo di fenomeni percolativi.
Significa forse che una salma corificata può essere ri-tumulata lasciando la cassa squarciata?
Ma, se la tumulazione avvenisse in altra sede, come provvedere per il trasporto?
A di là di queste – forse – pertinenti osservazioni, occorre valutare quali metodologie e tipologia di sepoltura adottare, o esperire, per risolvere i problemi di carenza di tombe nei cimiteri e di alta incidenza di inconsunti dopo periodi di tumulazione anche rilevanti (30-40 anni). La circolare, visto l’art. 86/2 (inumazione per non meno di 5 anni di rigore ed inderogabile, se non per gravi motivi di ordine pubblico, come ad esempio la saturazione del cimitero), prima dell’avvento del D.P.R. n.254/2003 e, dunque, della reale facoltà di cremare subito gli indecomposti estumulati, individuava una seria alternativa recependo ed adattando quanto, nei fatti, era e viene praticato tutt’oggi in molti cimiteri d’Italia (definito anche con la perifrasi di ” ispezione feretro”).

Dopo 20 anni di tumulazione siamo in presenza di resti mortali (anche tumulati) e quindi si agisce su questi con sostanze biodegradanti. Il risultato è apprezzabile: anziché occupare terra per 5 anni, si usa il tumulo per altri 2 anni.
Sembra quindi soluzione, tutto sommato, ragionevole.
La questione del rifascio solo in caso di presenza di parti molli è una conseguenza dei motivi che stanno alla base della constatazione delle perfetta tenuta o sistemazione del feretro (art. 88).
In effetti, i motivi della tenuta o impermeabilità del feretro sono finalizzati a:
1) preservare da miasmi e contagio (nei primi tempi dopo il decesso)
2) a racchiudere il defunto (sia per favorirne la traslazione, sia per nascondere alla vista dei frequentatori del cimitero il cadavere stesso).

Se non si hanno “parti molli” le uniche funzioni occorrenti sono quelle dette, cioè di pura ritenuta.
Laddove il feretro richieda solo caratteristiche di semplice contenimento meccanico (e quindi di occultamento del cadavere) è superfluo il rifascio di zinco.
Se invece sussistono pericoli per la salute (sia dei necrofori sia del pubblico) l’ASL che sovrintende alla salubrità dei campisanti, determina le cautele da assumere.
L’ordinanza del sindaco (Autorità Sanitaria Locale tenuta ad applicare le disposizioni che il Ministero della Sanità dirama anche con circolare) è lo strumento principe con cui regolare questo complesso di situazioni, pure piuttosto scabrose.
Essa è perfettamente secundum legem e prevista dal regolamento di polizia mortuaria nazionale (Art. 86 comma 1 D.P.R. n. 285/1990) ed è, quasi, auspicabile formalizzare il nuovo comportamento introdotto dalla circolare proprio con l’ordinanza del sindaco.
È comunque chiaro che l’ordinanza è indispensabile solo se deve modificare un comportamento difforme stabilito da precedente ordinanza e cambiato per via di circolare, altrimenti sarebbe sufficiente un semplice ordine di servizio, qualora, invece, si debba incidere, con apposita modifica, sul regolamento comunale di polizia mortuaria si richiama, per pura accademia l’Art. 345 Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265 per la oramai non più obbligatoria omologazione.

Written by:

Carlo Ballotta

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