Resti Mortali: il problema irrisolto dei feretri a “sogliola”

Cara Redazione,

 

Vorrei sapere dai colleghi che si occupano di polizia mortuaria com’è disciplinata la “sogliola”.
Per chi non lo sapesse, si tratta di una cassa di zinco di medie dimensioni (più sottile della cassa normale ma più grande della cassettina per ceneri o resti) in cui, dopo un certo numero di anni, si possono porre le salme non ancora completamente decomposte. Lo scopo è quello di recuperare un posto-salma, poichè nello stesso loculo possono stare una cassa grande ed una “sogliola”.
Nel mio Comune la sogliola non è accettata, perchè “il regolamento non lo prevede”, ma nessuno si cura di verificare i riferimenti normativi e io non riesco a trovare nessuna legge in merito (anche perchè non conosco il vero nome della sogliola!).
In particolare non riesco a capire se detta sogliola sia valida in via generale, salva la possibilità per il Comune di vietarla nel proprio Regolamento, oppure se si può ricorrere ad essa solo dove c’è un Regolamento che lo preveda espressamente. Grazie mille a che saprà darmi una risposta!

 

Lettera firmata

*********

Focalizziamo, adesso, l’attenzione sulle cosiddette “sogliole” nei cimiteri. Siamo a conoscenza di questo fatto: alcuni Comuni con ordinanza del Sindaco ex Art. 86 comma 1 DPR n. 285/1990, forse anche dopo imgaver sentito la locale ASL, autorizzano, a seguito di estumulazione di salme, alla scadenza delle concessioni cimiteriali, risultate indecomposte, le cosiddette “sogliole” (salme non mineralizzate inserite in casse di zinco della lunghezza delle casse normali ma molto più basse di spessore ed altezza laterale) che vengono inserite come se fossero delle cassettine ossario nei loculi con la salma di parente prossimo ivi già tumulato, fino all’estinguersi del rapporto concessorio, magari pure rinnovabile e, permettono, così di dilatare ed ottimizzare la capacità ricettiva degli avelli di cui all’Art. 93 comma 1 II Periodo D.P.R. n.285/1990, oltre la quale si esaurisce lo stesso Jus Sepulchri.

Ciò è motivato dalle problematiche sempre più urgenti relative all’insufficiente mineralizzazione dei defunti provenienti soprattutto dai loculi all’esaurirsi del rapporto concessorio ( dopo 40 e a volte anche 50 anni), dalla scarsità degli spazi a terra ove effettuare le re-inumazioni di salme inconsunte per arrivare alla loro completa mineralizzazione e anche dalla difficoltà con cui, ancora oggi, prende piede nei comuni di dimensione medio-piccola la cremazione dei resti mortali (salme inconsunte), considerato il costo delle suddette operazioni; tutte, ovviamente, a titolo oneroso. Siccome questo modus operandi non è espressamente previsto dal Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria, sorge il quesito se la procedura delle “sogliole” sia conforme alla legge, anche perché con essa i sovverte il principio del cosiddetto “rifascio” eliminando in toto la cassa di legno, e se eventualmente, all’occorrenza, si possa seguire l’esempio dei comuni che l’hanno autorizzata.

Già sulle pagine de “I Servizi Funerari”, nel n.4/2007, si parlava (è inelegante auto citarsi!) di questa metodologia di confezionamento dei resti mortali come di “Una tecnica di tumulazione “spuria” non contemplata da nessuna norma positiva”, ma solo nella prassi, per altro contra legem, siccome ex Art. 77 D.P.R. n.285/1990 la tumulazione di cadavere richiede sempre la duplice cassa di cui all’Art. 30 D.P.R. n.285/1990, mentre per la ri-tumulazione del resto mortale precedentemente estumulato è necessario il “rifascio” della bara con cassone zincato ex Art. 88 D.P.R. n.285/1990 solo quando l’esito da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo presenti ancora parti molli, con conseguente percolazione di liquidi post mortali ai sensi del paragrafo 3, III Periodo Circ.Min. 31 luglio 1998 n. 10.

ist3[1]Sui feretri “sogliola” cioè casse di solo metallo, a tenuta stagna, in cui racchiudere i cadaveri indecomposti (rinvenuti allo scadere o della concessione, quando ex Art. 86 comma 1 DPR n.285/1990 si effettua l’estumulazione, oppure dopo il periodo legale di sepoltura pari a 20 anni ex Art. 3 comma 2 lettera b) DPR n.254/2003) si potrebbe persino esser più possibilisti; in questo senso:

La circostanza segnalata è diffusa in diverse realtà territoriali laddove la mancanza di adeguati spazi nei campi di terra non permetta l’ulteriore inumazione al fine di completare il processo di mineralizzazione delle salme, o meglio, dei resti mortali ordinariamente estumulati. Alla mancanza di aree da adibire ad inumazione degli indecomposti – che con una buona programmazione non dovrebbe verificarsi (si vedano a tal proposito gli Artt. 58 comma 2, 59 e 91 D.P.R. n.285/1990) – si aggiunge spesso la farragginosità procedurale e la lentezza dei (pochi) forni crematori funzionanti i quali, spesso, posticipano la cremazione dei resti mortali, finanche per diversi mesi, inficiando, così, l’iter semplificato, per cremare i resti mortali da estumulazione, introdotto con il D.P.R. n.254/2003.

Ad ogni modo, condividendo le corrette considerazioni critiche che conseguono ad una mancata regolamentazione dell’atipica disciplina dei cosiddetti feretri “sogliola” si ritiene opportuno suggerire di limitare tale confezionamento degli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo solo agli effettivi casi di mancanza aree da adibire a campo indecomposti, previa approvazione, possibilmente, di una regolamentazione organica ad hoc, in sede di novella del regolamento comunale di polizia mortuaria, tale da uscire finalmente dall’emergenza e, così, da subordinare l’effettivo impiego di casse di lamiera ribassate solo all’adozione di specifica ordinanza sindacale ex Art. 86 comma 1 D.P.R. n.285/1990. Infine si condivide l’opportunità di acquisire, prima dell’approvazione delle norme formali di diritto positivo (ordinanza o regolamento), il relativo parere igienico-sanitario della competente ASL,

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Carlo Ballotta

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5 thoughts on “Resti Mortali: il problema irrisolto dei feretri a “sogliola”

  1. X Paolino,

    Il corretto confezionamento del feretro dipende da come si presenti il resto mortale all’atto della ricognizione sullo stesso, quando, cioè, si apre materialmente la bara: il rifascio con cassone di metallo è di rigore solo se si ravvisi il pericolo di percolazione dovuta ai liquami cadaverici (paragrafo 3 Circolare Ministeriale n.10/1998), altrimenti basterebbe pure la sola cassa di legno, altri chiosatori si spingono oltre considerando legittimo tumulare i resti mortali racchiusi nei contenitori di cui alla Risoluzione del Ministero della Salute n. DGPREV-IV/6885/P/I.4.c.d.3 del 23.03.2004, si tratta, in ultima analisi di una bara light e grezza, realizzata in materiale “leggero, rispetto al legno massello richiesto per i normali cofani.

    In effetti, i motivi della tenuta o impermeabilità del feretro sono finalizzati a:

    1) preservare da miasmi e contagio (nei primi tempi dopo il decesso)

    2) a racchiudere il defunto (sia per favorirne l’eventuale traslazione, sia per nascondere alla vista dei frequentatori del cimitero il cadavere stesso).

    Se non si hanno “parti molli” le uniche funzioni occorrenti sono quelle dette, cioè di pura ritenuta. Laddove il feretro richieda solo caratteristiche di semplice contenimento meccanico (e quindi di occultamento del cadavere) è superfluo il rifascio di zinco. Se invece sussistono pericoli per la salute (sia dei necrofori sia del pubblico) l’ASL che sovrintende alla salubrità dei campisanti, determina le cautele da assumere.

    Il ricorso alle “sogliole” è motivato dai problemi sempre più urgenti relativi all’insufficiente mineralizzazione dei defunti provenienti soprattutto dai loculi all’esaurirsi del rapporto concessorio ( dopo 40 e a volte anche 50 anni), dalla scarsità degli spazi a terra ove effettuare le re-inumazioni di salme inconsunte per arrivare alla loro completa mineralizzazione e anche dalla difficoltà con cui, ancora oggi, prende piede nei comuni di dimensione medio-piccola la cremazione dei resti mortali (salme inconsunte), considerato il costo delle suddette operazioni; tutte, ovviamente, a titolo oneroso. Siccome questo modus operandi non è espressamente previsto dal Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria, sorge, allora, il quesito se la procedura delle “sogliole” sia conforme alla legge, anche perché con essa i sovverte il principio del cosiddetto “rifascio” eliminando in toto la cassa di legno, e se eventualmente, all’occorrenza, si possa seguire l’esempio dei comuni che l’hanno autorizzata.

    Certo, trattasi di una tecnica di confezionamento “spuria” ossia dettata più dall’esperienza operativa dei necrofori-affossatori, che da una formale fonte del diritto…dopo tutto error communis facit jus, come dicevano gli antichi giuristi latini, e pure le norme regionali, sembrano legittimare questa pratica, senza, però, spingersi nel dettaglio: molti regolamenti regionali di polizia mortuaria (esempio: Lombardia, ed Emilia-Romagna) estendono lo Jus Sepulchri anche ai contenitori per resti mortali, sia o meno già presente un feretro all’interno dello stesso loculo, al fine di dilatarne la capacità ricettiva, oltre la quale (Art. 93 comma 1 II Periodo DPR n. 285/1990) lo stesso diritto alla tumulazione spira “ex se”, divenendo non più esercitabile, per la mancanza di spazio fisico, in cui immettere stabilmente le spoglie mortali.

  2. Nel procedere con l’estumulazione a scopo di tumulazione di una seconda salma, nel medesimo loculo, in quale nuovo contenitore va confezionata l’originaria salma non mineralizzata? E poi: dove riporla?

  3. X Daniele,

    qui, dal mio natio borgo selvaggio di leopardiana memoria (Io sono modenese!) risponderei così:

    Si segue, innanzi, tutto l’ordinanza sindacale (o anche dirigenziale, nei comuni di maggiori dimensioni) con cui sono disciplinate le operazioni cimiteriali ex Artt. 82 comma 4 e 86 comma 1 DPR n. 285/1990. Tutto, infatti, dipende dalla destinazione ultima verso cui avviare i 2 contenitori (feretro intero + feretrino sogliola). Per valutare l’effettivo stato di mineralizzazione dei corpi tumulati ai sensi del combinato disposto tra gli Artt. 86 comma 2 e 75 comma 2 bisognerà procedere obbligatoriamente all’apertura della cassa metallica. Non è più richiesta la presenza di personale sanitario, ai sensi della Legge Regionale 29 luglio 2004 n. 19.

    Premetto questo: Sui feretri “sogliola” cioè casse di solo metallo, a tenuta stagna, in cui racchiudere i cadaveri indecomposti (rinvenuti allo scadere o della concessione, quando ex Art. 86 comma 1 DPR n.285/1990 si effettua l’estumulazione, oppure dopo il periodo legale di sepoltura pari a 20 anni ex Art. 3 comma 2 lettera b) DPR n.254/2003) si potrebbe persino esser più possibilisti; in questo senso:
    La circostanza segnalata è diffusa in diverse realtà territoriali laddove la mancanza di adeguati spazi nei campi di terra non permetta l’ulteriore inumazione al fine di completare il processo di mineralizzazione delle salme, o meglio, dei resti mortali ordinariamente estumulati. Alla mancanza di aree da adibire ad inumazione degli indecomposti – che con una buona programmazione non dovrebbe verificarsi (si vedano a tal proposito gli Artt. 58 comma 2, 59 e 91 D.P.R. n.285/1990) – si aggiunge spesso la farragginosità procedurale e la lentezza dei (pochi) forni crematori funzionanti i quali, spesso, posticipano la cremazione dei resti mortali, finanche per diversi mesi, inficiando, così, l’iter semplificato, per cremare i resti mortali da estumulazione, introdotto con il D.P.R. n.254/2003.
    Ad ogni modo, condividendo le corrette considerazioni critiche che conseguono ad una mancata regolamentazione dell’atipica disciplina dei cosiddetti feretri “sogliola” si ritiene opportuno suggerire di limitare tale confezionamento degli esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo solo agli effettivi casi di mancanza aree da adibire a campo indecomposti, previa approvazione, possibilmente, di una regolamentazione organica ad hoc, in sede di novella del regolamento comunale di polizia mortuaria, tale da uscire finalmente dall’emergenza e, così, da subordinare l’effettivo impiego di casse di lamiera ribassate solo all’adozione di specifica ordinanza sindacale ex Art. 86 comma 1 D.P.R. n.285/1990. Infine si condivide l’opportunità di acquisire, prima dell’approvazione delle norme formali di diritto positivo (ordinanza o regolamento), il relativo parere igienico-sanitario della competente ASL, soprattutto oggi, quando, per effetto di Leggi, o provvedimenti regionali, viene omessa l’obbligatorietà di presenza del personale sanitario durante le operazioni cimiteriali.

    Se l’estumulazione è dovuta alla scadenza naturale (o anche per causa patologica) della concessione e non si procede al suo rinnovo, con conseguente RI-TUMULAZIONE degli stessi (vuoi perché vietato dal regolamento comunale di polizia mortuaria, vuoi per disinteresse del concessionario o dei suoi aventi causa) i resti mortali (esiti da fenomeno cadaverico di tipo trasformativo-conservativo) rinvenuti debbono esser “smaltiti” (chiedo scusa per la brutalità del vocabolo, empio, ma molto efficace!) attraverso le tecniche dettate dalla Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10, integrata dall’Art. 3 DPR n.254/2003, cioè: inumazione in campo indecomposti di cui all’Art. 58 comma 2 DPR n.285/1990) o diretta cremazione, oggi possibile senza un turno supplementare d’interro (come originariamente previsto dall’Art. 86 comma 2 DPR n. 285/1990) proprio in forza dell’Art. 3 commi 5 e 6 DPR n.254/2003. Ogni altro trattamento non consentito integra la fattispecie di cui all’Art. 87 DPR n. 285/1990 con naturale rinvio all’Art. 410 Cod. Penale (vilipendio di cadavere).

  4. Nell’ipotesi di procedere ad una Estumulazione di un loculo, e trovando all’interno sia il feretro sia la sogliola con i resti mummificati,come occorrerebbe procedere?
    Sempre Emilia Romagna…

  5. Secondo autorevolissima dottrina il problema dei feretri “a sogliola” da impiegare nel caso di un’estumulazione che non abbia sortito gli effetti sperati (= riduzione dell’ossame rinvenuto in apposita cassetta di zinco ex Art. 36 DPR n. 285/1990) presenta queste criticità di ordine legale:

    risultando non sussistente la completa scheletrizzazione del corpo (art. 86, comma 5 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285), il feretro non può che essere inumato (art. 86, commi 2 e ss. d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, tenendosi altresì presenti i trattamenti considerati, nei casi di estumulazione, dalla circolare del Ministero della sanità n. 10 del 31 luglio 1998, oppure (essendo avvenuta l’estumulazione dopo l’entrata in vigore del d.P.R. 15 luglio 2003, n. 254) cremato, in impianto di cremazione tecnicamente idoneo a cremare feretro costituiti da duplice cassa (legno e zinco), operazioni tutti, inclusa quella dell’estumulazione, a totrale ed integrale carico dei familiari.
    Il riferimento ad una cassa di zinco modello “sogliola”, sembrerebbe lasciar intendere che vi sia chi tenti forzatamente di utilizzare una cassa di tali dimensioni ridotte, ipotesi nella quale il responsabile del servizio di custodia ha l’obbligo dell’immediata denuncia all’autorità giudiziaria, nonché al sindaco, in relazione al reato di cui all’art. 410 C.P. (e se così non si provvede si incorre nel reato considerato dall’art. 361 C.P.).

    In altre parole, il responsabile del servizio di custodia del cimitero non ha solo il vincolo giuridico di impedire ogni operazione (o…profanazione???) di tal fatta, ma ha, altresì, (art. 87 d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) quello di provvedere, immediatamente, alla denuncia sia all’autorità giudiziaria, sia al sindaco (in tal caso nella duplice veste di autorità locale sanitaria e di autorità locale di P.S.).

    L’impresa funebre la quale suggerisce, magari pre particità ed economicità dell’intervento, l’adozione di “feretrini a sogliola” forse, sarebbe bene fosse più cauta e ligia alla Legge, in quanto, presumibilmente, spesso è proprio questa a proporre una cassa metallica di dimensioni innaturalmente compatte, ragion per cui una mancata attuazione delle norme non è certamente imputabile al responsabile del servizio di custodia del cimitero, quanto, semmai, a questa stessa ditta, oltretutto considerando la fattispecie (quanto meno tentata) di cui all’art. 410 C.P.

    Sulla definizione di “resto mortale”, non credo occorrano pareri di sorta, dato che essa è oggi definita dall’art. 3, comma 1, lett. b) d.P.R. 15 luglio 2003, n. 254, come sono presenti due componenti, quella di ordine cronologico (tumulazione di durata superiore a 20 anni) e quella della presenza, evidenza di fenomeni cadaverici trasformativi conservati (o, in altre parole, che non sia avvenuta la completa scheletrizzazione del corpo). Tuttavia, la questione non sembra proprio ruotare attorno a tale definizione, quanto ai comportamenti, a rilevanza penale, posti in essere da soggetti diversi dal responsabile del servizio di custodia del cimitero cui, comunque compete ex Art. 331 Cod. Proc. Penale, quale incaricato di pubblico servizio, il dovere della segnalazione all’Autorità Giudiziaria.

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