A Ceglie Messapica un impresario funebre chiede aiuto per combattere la malavita organizzata

Si appella ai cittadini e alle istituzioni di Ceglie Messapica Francesco Aldo Chinni, l’impresario funebre che ha subito un ennesimo atto di intimidazione (un nuovo attentato incendiario).
Stavolta i malviventi hanno preso di mira la Citroen C3 intestata alla moglie.
Lo scorso gennaio venne spento sul nascere, grazie al tempestivo intervento dei carabinieri, il rogo appiccato a un furgoncino.
Nel gennaio del 2014, invece, fu data alle fiamme un’altra auto, una Seat Altea, sempre intestata alla consorte.
Oltre agli incendi, Chinni ha subito anche una lunga serie di atti intimidatori che hanno colpito i suoi interessi nel cimitero di Ceglie Messapica, il cui custode, la notte fra il 19 e il 20 novembre, ha a sua volta subito un raid incendiario (ignoti hanno dato fuoco alla sua auto parcheggiata).
“Opero nel settore delle onoranze funebri – ha dichiarato ad una emittente locale l’imprenditore  – da 40 anni. Per anni ho lavorato al Nord. Diciotto anni fa mi sono trasferito a Ceglie con mia moglie. Solo nel’ultimo lustro le mie attività si sono focalizzate qui a Ceglie, dove gestisco un’impresa di pompe funebri attiva anche nel settore degli addobbi cimiteriali. I miei prezzi sono più bassi rispetto alla media. Ho portato una nuova mentalità nel settore delle onoranze investendo anche in pubblicità. Credo di essere stato il primo in questo territorio a pubblicizzare la propria impresa funebre attraverso annunci sui giornali e manifesti affissi per le vie del paese”.
All’inizio, Chinni non incontra nessuno ostacolo.
“I problemi – dichiara l’imprenditore – sono iniziati negli ultimi due anni. Gli incendi sono stati gli episodi più eclatanti. Ma ne ho subite di tutti i colori. All’inizio si limitavano a sporcare i piccoli monumenti (i così detti cassettoni) che la mia impresa ha realizzato nel cimitero. Poi hanno cominciato a rompermi le lapidi, gli addobbi e qualche accessorio (perlopiù portafiori e lampade). Non ricordo neanche più quante denunce ho sporto ai carabinieri”.
Ci ho rimesso tanti soldi. C’è stato un periodo in cui si era instaurata una sorta di psicosi fra i cittadini. La gente non si rivolgeva più a me perché, consapevole di quello che accadeva alle mie lapidi e ai miei monumenti, aveva paura. Quello che ho subito io è un vero racket: una estorsione lavorativa. Non mi chiedono i soldi ma mi chiedono di chiudere”.
“Spero che i cittadini e le istituzioni – conclude Chinni – stiano dalla mia parte. La gente mi aiuti. Non voglio essere lasciato da solo”.

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