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Corte di Cassazione, Sez. V Pen., 23 luglio 2024, n. 30322
Costituisce reato di falsità ideologica posta in essere da pubblico ufficiale in atti pubblici l'avere redatto, nella qualità di dirigente medico, una serie di certificati necroscopici falsi, in quanto attestanti l'avvenuto svolgimento della visita necroscopica e l'avvenuto decesso, nonché il compimento delle altre attività specificamente indicate nei singoli certificati, senza avervi effettivamente provveduto. Orbene da tempo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, con un condivisibile arresto, che l`atto di constatazione dell'avvenuto decesso e dell'identificazione delle relative cause, compilato dal medico necroscopo in adempimento del precetto fissato dall'art. 141 R.d. 9 luglio 1939 n. 1238 ("ordinamento dello stato civile") è atto pubblico, poiché esso non ha una funzione meramente narrativa, ma dà vita ad una situazione giuridica caratterizzata dall'attestazione del pubblico ufficiale di avere compiuto una precisa attività (cfr. Sez. 5, n. 8496 del O6/O7/1983, Rv. 160732), costituendo atto pubblico la scheda mortuaria redatta dal medico addetto alla direzione di un ospedale (cfr. Sez. 5, n. 1382 del 11/12/1967, RV. 106509). Principi ribaditi in un recente arresto, in cui, nel confermare la condanna per il reato di cui agli artt. 476 e 479, c.p., la Suprema Corte ha evidenziato che la certificazione demandata al medico necroscopo ha una funzione diversa dalla certificazione del decesso stilata dal medico curante: mentre quest'ultimo può limitarsi a constatare l'avvenuto decesso, il medico necroscopo deve verificare se la morte possa dipendere dalla commissione di un reato o da una causa violenta, ipotesi queste che osterebbero al successivo rilascio dell'autorizzazione alla sepoltura. Di conseguenza, poiché la visita deve essere diretta ad accertare l'esistenza di simili ipotesi ostative alla sepoltura, occorre una vera e propria visita idonea ad escludere la ricorrenza di dette ipotesi (cfr. Sez. 5, n. 22089 del 27.1.2022, non massimata), nel caso che ci occupa pacificamente non effettuata. Ciò posto non è revocabile in dubbio la natura di pubblico ufficiale in quanto in servizio presso una struttura pubblica e incaricato della redazione di atti pubblici, a nulla rilevando la circostanza che egli fosse stato assegnato di fatto all'esercizio delle funzioni di medico necroscopo, al di fuori di un formale provvedimento di assegnazione adottato dalla competente autorità amministrativa. Sul punto, infatti, non può che richiamarsi il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, secondo cui la locuzione "nell'esercizio delle funzioni", contenuta nell'art. 476, c.p., non va intesa in senso specifico, ma generico, ossia come "ambito delle funzioni". Conseguentemente, risponde del reato previsto dalla suddetta norma incriminatrice, e non da quella di cui all'art. 482, c.p., il pubblico ufficiale investito della competenza funzionale in relazione agli atti contraffatti o alterati, o che alteri quelli di cui pervnga in possesso per ragioni d'ufficio, ancorché formati da un pubblico ufficiale appartenente ad un ufficio diverso (cfr. Sez. 5, n. 5652 del 30/04/1996, Rv. 205132; Sez. 5, n. 4679 del 11/01/2000, Rv. 215981). Nell'ambito di competenza funzionale richiamato dall'espressione "esercizio delle sue funzioni", di cui all'art. 476, c.p., rientrano le attività poste in essere dal dipendente della pubblica amministrazione anche nelle vesti di funzionario di fatto (cfr. Sez. 5, n. 47508 del 10/06/2016, Rv. 268428), nozione, quella di pubblico ufficiale, che, come chiarito in altro condivisibile arresto, non viene meno, per un soggetto chiamato a svolgere le relative funzioni, quando sussistano irregolarità nel procedimento o nell'atto di conferimento dell'ufficio, dato che in proposito assume rilievo il mero esercizio dei poteri autoritativi con il consenso dell'amministrazione interessata. (In motivazione la Corte ha distinto il caso delle irregolarità nell'investitura da quello del cosiddetto "funzionario di fatto", ove l'investitura diviene oggetto di una declaratoria di invalidità, la quale per altro non esclude, a sua volta, la validità degli atti compiuti e la qualifica soggettiva dell'agente: cfr. Sez. 6, n. 12175 del 21/O1/2005, Rv. 231481).
TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 4 d.P.R. 10/9/1990, n. 285
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TAR Puglia, Bari, Sez. III, 19 luglio 2024, n. 878
Non è ammissibile un rifiuto dell’Amministrazione comunale ad attivarsi nell'esplicazione dei propri poteri di polizia mortuaria, demaniale e di autotutela esecutiva, che impongono di vigilare sull’uso delle cappelle private o di famiglia e di reprimere eventuali utilizzi difformi dalle concessioni dallo stesso rilasciate, a fronte di segnalazione o di denunce di privati. In particolare, quando sia prodotta una “scrittura privata pro-forma”, che – sempre in toto estraneo rimanendo il Comune concedente – ad opera di soggetti privati “concede” al controinteressato, quale altro soggetto privato, l’uso non motivato di alcuni posti della cappella di famiglia, da utilizzarsi per tumulare congiunti ed affini di quest’ultimo; soggetti che tabulas estranei o in alcun modo legati per benemerenza al concessionario e, a fortiori, ai suoi eredi. Una tale scrittura privata, parimenti prodotta in sola fotocopia, invero, palesa un potenziale reiterato utilizzo della cappella in discussione contrario all’atto di concessione risalente al 1956 e tutt’ora vigente. Un tal atto privato, qualificato “scrittura privata pro-forma”, rispetto al quale il Comune è in toto estraneo, prodotto nell’odierno processo, sottolinea vieppiù la necessità che l’Ente territoriale conduca ogni opportuno accertamento, al fine di scongiurare usi contrari alla concessione della cappella cimiteriale.
TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 93 d.P.R. 10/09/1990, n. 285
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TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 11 luglio 2024, n. 2202
Deve escludersi che la dichiarazione di pubblico interesse della proposta di un progetto di finanza attribuisca all'interessato una posizione giuridica definitiva, la cui revoca dia luogo all'indennizzo di cui all'art. 21-quinquies> L: 7 agosto 1990, n. 241. L'indennizzo è previsto nel caso di revoca di atti autorizzativi o attributivi di vantaggi economici ad efficacia durevole, che comporti pregiudizio in danno di soggetti direttamente interessati: sotto tale profilo, la dichiarazione di pubblico interesse del progetto di finanza pubblica non è un atto attributivo di vantaggi economici, attesa la mera astratta possibilità di dar luogo all'esito dell'apposito procedimento all'affidamento della concessione, ben potendo l'amministrazione rinviare o non dare corso affatto alla proposta che pure abbia ritenuto di pubblico interesse (v. Consiglio di Stato, sez. V, 24/08/2023, n. 7927 e T.A.R. Roma, sez. IV, 14/11/2023, n.16995).
TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 21-quinquies L. 7/8/1990, n. 241
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TAR Veneto, Sez. I, 9 luglio 2024, n. 1803
Non è ammissibile l’interpretazione restrittiva la non applicabilità nelle aree esterne al Cimitero Militare di altro Stato, con cui viga specifico trattato in proposito, a favore del diverso regime tracciato dalle norme nazionali che escludono la configurabilità delle fasce di rispetto con riguardo ai cimiteri di guerra qualificabili come sacrari, a seguito del decorso del termine decennale dall’inumazione dell’ultima salma.
TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 274 D. Lgs. 15 marzo 2010, n. 274
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Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 luglio 2024, n. 5825
Copiosa giurisprudenza (anche riassunta in Cons. Stato sez. VI, n. 1164 del 2018; sez. IV, n. 5873 del 2017) ha affermato che: a) il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità
ex lege e integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, tale da configurare in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici; b) il vincolo ha carattere assoluto e non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, il mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale; c) il vincolo, d’indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica, esso si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti. Pure numerose sono le pronunce intervenute a individuare portata e limiti delle modifiche apportate all’art. 338 cit. dalla novella del 2002, rispetto a richieste di privati (Cons. Stato sez. IV n. 4656 del 2017; sez. VI, n. 3667 del 2015; nn. 3410 e 1317 del 2014). Si è affermato che: a) la situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo è suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell'art. 338, quinto comma, essendo norma eccezionale e di stretta interpretazione non posta a presidio di interessi privati; con la conseguenza che la procedura di riduzione della fascia inedificabile resta attivabile nel solo interesse pubblico, come valutato dal legislatore nell’elencazione delle opere ammissibili; b) il procedimento attivabile dai singoli proprietari all'interno della zona di rispetto è soltanto quello finalizzato agli interventi di cui al settimo comma dell’art. 338, (recupero o cambio di destinazione d'uso di edificazioni preesistenti). TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 338 R. D. 27/7/1934, n. 1265
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Corte di Cassazione, Sez. II Civ., 24 giugno 2024, n. 17357
[ I ] Va ha distinta la cessione del diritto di uso dei loculi del sepolcro, assimilabile a quella di un diritto reale di superficie, essendo demaniale solo l'area di sedime della cappella, ha ritenuto che l'art. 71 del D.P.R. n. 1880/1942, vigente all'epoca della vendita dei quattro loculi effettuata da ( … ) a favore dei danti causa degli originari attori (1.7.1973) - abrogato solo nel 1975 dal D.P.R. n. 803/1975 -, consentisse la cessione totale o parziale del diritto di uso delle sepolture private a terzi per atto tra vivi, o di ultima volontà da parte del concessionario, salvo che la stessa fosse incompatibile col carattere del sepolcro secondo il diritto civile, e sempre che i regolamenti comunali e l'atto di concessione non disponessero altrimenti. [ II ] Tradizionalmente si distingue tra diritto primario al sepolcro, ossia il diritto di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro, e che taluno ritiene avere natura reale, tale altro personale, diritto che si trasmette solo iure sanguinis o al coniuge del fondatore (Cass. 17.4.2009 n. 9331), ed il diritto di sepolcro secondario, questo però di natura personalissima ed intrasmissibile, che spetta a chiunque sia congiunto di una persona, che riposa in un sepolcro, di accedervi e di opporsi ad ogni trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella spoglia. Questo diritto secondario è senz'altro, come si è detto, un diritto di natura personale, difettando il potere sulla cosa caratteristico del diritto di sepolcro primario, e consistendo esso piuttosto che nella tutela del godimento o dell'uso di un sepolcro, nella tutela del sentimento del parente verso il defunto (Cass. 10.1.2023 n. 370).
TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 90 d.P.R. 10/9/1990, n. 285
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Corte di Cassazione. Sez. Un. Civ., 20 giugno 2024, n. 170478
[I] Un eventuale contrasto delle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con il diritto europeo non integra, di per sé, l'eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi dell'art. 111, ottavo comma, Cost., atteso che pure la violazione delle norme dell'Unione europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità, sia pure particolarmente qualificata, che si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di cassazione, né può essere attribuita rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio, essendo tale valutazione, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriera di incertezze, in quanto affidata a valutazioni contingenti e soggettive (v. Cass. Sez. U. 11/11/2019, n. 29085; Id. 06/03/2020, n. 6460). [II] Cica un ritento eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, va ulteriormente rammentato che, secondo altrettanto costante orientamento della giurisprudenza di queste Sezioni Unite, un siffatto vizio è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete. Ipotesi che però non ricorre quando il Consiglio di Stato - come nella specie - si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela. Tale operazione ermeneutica porta all'insussistenza di un denunciato vizio, posto che il Consiglio di Stato ha ritenuto ricavabile direttamente dall'art. 6, comma 2, l. n. 130 del 2001 e dal (con essa) mutato regime giuridico della gestione dei crematori l'effetto estintivo della concessione del ... e di tale operazione ermeneutica ha argomentatamente dato conto nella motivazione della sentenza impugnata.
TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 6 L. 30/3/2001, n. 130
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Corte di Cassazione, Sez. III Pen., 19 giugno 2024, n. 24271
[ I ] Il bene tutelato dalle fattispecie delittuose racchiuse nel Capo II del Titolo IV del Libro II del codice penale - ove è collocato l'art. 408 cod. pen. - va individuato, come chiaramente emerge dalla stessa intitolazione della rubrica, nella "pietà dei defunti", da intendersi nel senso di pietas: locuzione che designa quel diffuso e sentimento, individuale e collettivo, il quale si manifesta nel rispetto tributato ai defunti ed alle cose destinate al loro culto nei cimiteri e nei luoghi di sepoltura. La pietas per i defunti, in particolare, è un sentimento che attiene all'essere umano in quanto tale anche quando ha cessato di vivere, come proiezione ultra-esistenziale della persona, e ciò indipendentemente dall'adesione a un particolare credo religioso, come, del resto, lascia chiaramente intendere la suddivisione dei Capi contenuti in questo Titolo, che distingue, appunto, i "Delitti contro le confessioni religiose" - rubrica introdotta dall'art. 10, comma 2, I. 24 febbraio 2006, n. 85, che ha sostituto la precedente "Delitti contro la religione dello Stato e dei culti ammessi" - dai "Delitti contro la pietà dei defunti". [ II ] il reato di vilipendio delle tombe di cui all'art. 408 cod. pen. è punito a titolo di dolo generico, sicché basta la coscienza e volontà del vilipendio stesso insieme con la consapevolezza del particolare carattere del luogo richiesto dalla norma, quale cimitero o altro luogo di sepoltura, essendo pertanto irrilevante il movente dell'azione, né essendo necessaria l'intenzione di offendere la memoria di un determinato defunto (Sez. 3, n. 43093 del 30/09/2021, Albertario, Rv. 282298-02), e la circostanza che la condotta sia avvenuta non per arrecare offesa al defunto, ma alla persona che aveva fatto sistemare la tomba per onorarlo e ricordarlo (Sez. 3 n. 4038, del 29/03/1985, Moraschi, cit.).
TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 408 C. P:
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Consiglio di Stato, Sez. VII, 17 giugno 2024, n. 5378
Gli artt. 93 d.P.R. 803/1975 e 92 d.P.R. 285/1990, cioè le norme presenti negli ultimi due regolamenti di polizia mortuaria si limitano ad affermare che le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente all'entrata in vigore del presente regolamento, possono essere revocate, quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell'ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza dei cimitero rispetto al fabbisogno del comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all'ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Ma il fatto che non affrontino il tema delle concessioni perpetue non vuol dire che esse siano immodificabili perché sul punto esistono pronunciamenti giurisprudenziali. L'Amministrazione ha il potere di revocare le concessioni, anche perpetue, su aree demaniali cimiteriali, a fronte di motivate ragioni, e ciò in quanto lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un 'diritto affievolito in senso stretto, soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico e conseguentemente non preclude l'esercizio dei poteri autoritativi da parte della p.a. concedente, sicché sono configurabili interessi legittimi quando sono emanati atti di autotutela, atteso che dalla demanialità del bene discende l'intrinseca cedevolezza del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su un bene pubblico. (Consiglio di Stato sez. V, 26 settembre 2022, n.8248).
TAG: Attività funebre | casa funeraria /// Norme correlate: Art. 92 d.PR. 10/09/1990, n. 285
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TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 17 giugno 2024, n. 2238
[ I ] La disposizione di cui all'art. 71 del Regio Decreto n. 1880/1942, che consentiva la possibilità di cessione del diritto d’uso delle sepolture private a terzi, è stata abrogata dal primo regolamento di polizia mortuaria nazionale, adottato con d.P.R. n. 803/1975, poi sostituito dal successivo d.P.R. n. 285/1990. Il primo regolamento di cui trattasi, in particolare, all’art. 94 prevedeva, a differenza di quanto prescritto dal precedente Regio Decreto succitato, che il diritto d’uso nelle sepolture private fosse riservato alla persona del concessionario e a quelle della propria famiglia ovvero alle persone regolarmente iscritte all’ente concessionario, fino a completamento della capienza del sepolcro. Da ultimo, il vigente regolamento di polizia mortuaria nazionale, che ha sostituito il precedente risalente al 1975 (d.P.R. n. 285/1990), all’art. 93 ha circoscritto ulteriormente il diritto d’uso nelle sepolture private, prevedendo come esso debba essere riservato alle (sole) persone dei concessionari e dei loro familiari, consentendo, su richiesta dei primi, la possibilità di tumulazione di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché di salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei loro confronti, secondo i criteri stabiliti nei regolamenti. in altri termini, la possibilità di cedere a terzi il diritto di uso in sepolture private risultava essere stata già bandita dall’ordinamento giuridico al momento della cessione dei diritti d’uso sui loculi di cui trattasi, tenuto conto sia delle specifiche disposizioni introdotte dai nuovi regolamenti nazionali di polizia mortuaria e sia della natura pacificamente demaniale dell’area cimiteriale stabilita, in maniera inequivoca, già dal codice civile entrato in vigore nel 1942. [ II ] La distinzione tra "sepolcro di famiglia (o gentilizio)" e £sepolcro ereditario" è stata più volte messa in luce dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass., Sez. Un., 28 giugno 2018, n. 17122) che ha avuto modo di precisare come nel sepolcro ereditario lo ius sepulchri si trasmetta nei modi ordinari, per atto inter vivos o mortis causa, come qualsiasi altro diritto, dal titolare anche a persone anche non facenti parte della famiglia, mentre nel sepolcro gentilizio o familiare - tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio - lo ius sepulchri è attribuito, in base alla volontà del fondatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistando il singolo familiare, iure proprio e sin dalla nascita, detta situazione giuridica soggettiva di vantaggio per il solo fatto di trovarsi, rispetto al fondatore, in un rapporti di parentela iure sanguinis ovvero iure coniugis, e non iure successionis, determinandosi così una peculiare forma di comunione fra contitolari di tale diritto, caratterizzata dalla sua non trasmissibilità, per atto tra vivi o mortis causa, oltre che dalla sua imprescrittibilità e irrinunciabilità. Il summenzionato diritto di sepolcro subisce una trasformazione, mutando titolo da “familiare o gentilizio” ad “ereditario” soltanto con la sola morte dell'ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l'ulteriore trasferimento e solo a partire da quel momento, alle ordinarie regole della successione mortis causa.
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