Massima
Testo
Norme correlate:
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990
Riferimenti: Cass. civ., sez. II, 24/01/2003, n. 1134; Cass. civ., sez. II, 29/01/2007, n. 1789; Cass. civ., sez. II, 29/09/2000, n. 12957
Massima:
TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 29 gennaio 2009, n. 243
In tema di tomba gentilizia, ossia del manufatto funerario destinato dal suo fondatore/concessionario alla sepoltura propria e dei propri familiari o congiunti, questi ultimi vantano un diritto alla sepoltura solo in virtù del fatto della consanguineità o del rapporto di coniuge, mentre occorre un preciso atto di disposizione del fondatore per creare in soggetti estranei eventuali diritti sulla tomba.
Nel sepolcro c.d. familiare o gentilizio, destinato dal fondatore familiaeque suae, hanno diritto di inumazione soltanto il fondatore, il proprio coniuge, i suoi ascendenti, i suoi discendenti ed, i coniugi di questi ultimi.
In materia di concessione cimiteriale e di ius sepulchri, il diritto alla sepoltura si acquista non già per trasmissione iure ereditario, ma iure proprio, ossia per il solo fatto di essere in rapporto di parentela o di coniugio col de cuius.
Lo ius sepulchri, cioè il diritto alla tumulazione, autonomo e distinto rispetto al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono, deve presumersi di carattere non ereditario, ma familiare, in difetto di specifica diversa volontà del fondatore, e quindi considerarsi sottratto a possibilità di divisione o trasmissione a terzi non legati iure sanguinis al fondatore medesimo.
Occorre distinguere lo “jus sepulchri iure sanguinis” da quello “iure successionis”, distinzione che si correla unicamente sulla volontà del fondatore del sepolcro, essendo indifferenti le successive vicende della proprietà del manufatto funerario nella sua materialità. Accertato che, in difetto di disposizione contraria, la volontà del fondatore è stata quella di destinare il sepolcro “sibi familiaeque suae”, il familiare acquista, “iure proprio”, il diritto al sepolcro, imprescrittibile ed irrinunciabile, fin dal momento della nascita e non può trasmetterlo ad altri, né per atto “inter vivos”, né “mortis causa”.
«Ai sensi dell’art. 93 D.P.R. n. 285/1990 “1. Il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari; di quelle concesse ad enti è riservato alle persone contemplate dal relativo ordinamento e dall’atto di concessione. In ogni caso, tale diritto si esercita fino al completamento della capienza del sepolcro. “2. Può altresì essere consentita, su richiesta di concessionari, la tumulazione di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché di salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei confronti dei concessionari, secondo i criteri stabiliti nei regolamenti comunali”. Tale disposizione si spiega con la particolare nozione (storicamente, culturalmente e giuridicamente qualificata) di “tomba gentilizia”, ossia del manufatto funerario destinato dal suo fondatore/concessionario (un tempo il capostipite della “gens”) alla sepoltura propria e dei propri familiari o congiunti.Questi, infatti, vantano un diritto alla sepoltura solo in virtù del fatto della consanguineità o del rapporto di coniuge, mentre occorre un preciso atto di disposizione del fondatore (negoziale o testamentaria) per creare in soggetti estranei eventuali diritti sulla tomba, intesa questa: sia quale immobile; sia quale luogo in cui si ha il diritto alla tumulazione. Nel sepolcro c.d. familiare o gentilizio, destinato dal fondatore “familiaeque suae”, hanno quindi diritto di inumazione soltanto il fondatore, il proprio coniuge, i suoi ascendenti, i suoi discendenti ed, i coniugi di questi ultimi. Contrariamente a quanto si assume in ricorso, il diritto alla sepoltura si acquista non già per trasmissione “iure ereditario”, ma “iure proprio”, ossia per il solo fatto di essere in rapporto di parentela o di coniugio col de cuius. Inoltre, per testuale locuzione utilizzata dall’art. 93 D.P.R. n. 285/1990, il diritto di far tumulare estranei nella tomba di famiglia si appartiene al solo “concessionario”, di guisa che i suoi discendenti hanno un mero diritto alla sepoltura che è indisponibile verso gli estranei (sulla specificità della posizione giuridico-amministrativa del concessionario rispetto agli altri familiari, cfr. Cassazione civile, sez. II, 24 gennaio 2003, n. 1134), salvi i diritti di natura puramente dominicale gravanti sul manufatto funerario in forza di specifiche ed espresse diposizioni testamentarie del fondatore. Anzi, come più restrittivamente ritenuto dalla Corte di Cassazione (sez. II, civ., 29 gennaio 2007, n. 1789), lo “ius sepulchri”, cioè il diritto alla tumulazione (autonomo e distinto rispetto al diritto reale sul manufatto funerario o sui materiali che lo compongono), deve presumersi di carattere non ereditario, ma familiare, in difetto di specifica diversa volontà del fondatore, e quindi considerarsi sottratto a possibilità di divisione o trasmissione a terzi non legati “iure sanguinis” al fondatore medesimo, restando addirittura “irrilevante la eventuale cedibilità prevista nel regolamento o nell’atto di concessione comunale”. In sostanza, sulla base dei predetti principi occorre distinguere lo “jus sepulchri iure sanguinis” da quello “iure successionis”. Distinzione che si correla unicamente sulla volontà del fondatore del sepolcro, essendo indifferenti le successive vicende della proprietà del manufatto funerario nella sua materialità. Sicché, accertato che, in difetto di disposizione contraria, la volontà del fondatore è stata quella di destinare il sepolcro “sibi familaeque suae” (il che è da ritenersi nella specie in esame), il familiare acquista, “iure proprio”, il diritto al sepolcro, imprescrittibile ed irrinunciabile, fin dal momento della nascita e non può trasmetterlo ad altri, né per atto “inter vivos”, né “mortis causa” (creandosi tra i contitolari una particolare forma di comunione, destinata a durare sino al venir meno degli aventi diritto, dopo di che lo “jus sepulchri” si trasforma da familiare in ereditario; cfr. Cass. civ. sez. II, 29 settembre 2000, n. 12957).»