Consiglio di Stato, Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 683

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Consiglio di Stato, Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 683

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7799 del 2005, proposto da:
Comune di Gonzaga, in persona del Sindaco pro tempore,rappresentato e difeso dagli avvocati Orlando Gianolio, Orlando Sivieri,con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, piazza della Libertà, n. 13;
contro
Zanfrognini Umberto, rappresentato e difeso dall’avvocato Marinella Aseglio Gianinet, con domicilio eletto presso Chiara Sciola in Roma, Via Statilio Ottato, n. 33;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – SEZ. STACCATA DI BRESCIA, n. 406/2005, resa tra le parti, concernente diniego traslazione di salma.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Zanfrognini Umberto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Orlando Sivieri, Marinella Aseglio Gianinet,;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, l’odierno appellato invocava l’annullamento della lettera n°7460 di prot. del 15 maggio 2001 del Sindaco e del responsabile settore amministrativo e affari generali del Comune di Gonzaga, della lettera n°2780 di prot. del 15 febbraio 2002 e della nota di risposta n°16763 di prot. del 5 novembre 2002, entrambe del responsabile settore amministrativo e affari generali del Comune di Gonzaga, con le quali si denegava al ricorrente la traslazione di una salma in un loculo cimiteriale, e degli atti presupposti, connessi e consequenziali.
2. Il TAR adito accoglieva la suddetta iniziativa giurisdizionale, ritenendo che il diritto di uso dei colombari nel cimitero di Gonzaga distinti con i progressivi n° 51 e 52 per durata illimitata sino a quando rimarrà in esercizio il cimitero stesso che li ospita, come da atto di concessione stipulato con il Comune di Gonzaga il 23 dicembre 1925, non potesse essere inciso dall’art. 65, comma 2, del vigente regolamento comunale di Polizia mortuaria, secondo il quale: “le concessioni perpetue si estinguono… a seguito di estumulazione della salma dalla sepoltura in cui è stata tumulata e alla quale era destinata”, che, al contrario, veniva disapplicato, perché non ritenuto conforme a quanto disposto dall’art 92, d.P.R. 10 settembre 1990 n° 285, né in concreto applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 11 comma 1 disp. prel. al c.c.
3. L’amministrazione comunale propone appello avverso la sentenza indicata in epigrafe, denunciandone l’erroneità per i seguenti motivi: a) la norma comunale sarebbe stata applicata non in via retroattiva, ma a seguito della domanda di estumulazione avanzata dall’originario ricorrente, atteso che le concessioni a differenza delle autorizzazioni non sono autonomamente volturabili, ma richiederebbero una valutazione dell’amministrazione, in relazione alla possibilità di conferire al privato subentrante le stesse facoltà concesse al precedente concessionario. Pertanto, la domanda di estumulazione dei resti di Zanfrognini Ettore avrebbe imposto una voltura dell’originaria concessione rilasciata a Benatti Ettore a favore del ricorrente, quindi una nuova concessione che non avrebbe potuto avere carattere perpetuo; b) in sede di istanza il ricorrente non avrebbe presentato domanda di voltura, né avrebbe comprovato di essere l’unico erede del sig. Benatti Ettore, e, quindi, l’unico legittimato a disporne.
4. Costituitosi in giudizio l’originario ricorrente chiede venga confermata la sentenza di primo grado e sottolinea che l’appellante non terrebbe conto della natura contrattuale dell’accordo. Eccepisce l’inammissibilità dell’appello che non si sarebbe soffermato sull’impossibilità per le norme regolamentari di prevedere in via retroattiva una causa di estinzione del diritto non prevista dall’originario titolo contrattuale, atteso che solo una norma avente forza di legge avrebbe potuto estinguere il diritto. Oppone di non essere obbligato a presentare alcuna richiesta di voltura, e che il motivo relativo alla mancanza di prova di essere l’unico erede sarebbe un motivo nuovo.
5. Nelle difese successive l’appellante ribadisce le proprie argomentazioni, sottolineando, inoltre, che la natura demaniale dei cimiteri contrasterebbe con la perpetuità delle concessioni.
6. Da parte sua l’appellato pone in luce che l’art. 92, d.p.r. 285/1990, stabilirebbe il divieto di rilasciare concessioni perpetue, mentre non prevedrebbe di trasformare a tempo determinato le concessioni preesistenti.
7. L’appello è fondato nei termini seguenti e merita di esser accolto, premesso che la censura in ordine alla non corretta individuazione della disciplina ratione temporis applicabile non risulta inammissibile per genericità come opposto dall’appellato.
Occorre chiarire che il diritto di uso dell’originario ricorrente sorge all’interno di un rapporto concessorio tra l’antenato di quest’ultimo e l’amministrazione. Sicché deve distinguersi tra la disciplina delle situazioni soggettive originariamente costituite che resta sottoposta alla normativa vigente all’epoca nella quale le stesse sono sorte, rispetto alle vicende ulteriori che interessano il rapporto concessorio. La giurisprudenza di questo Consiglio con indirizzo pienamente condivisibile (Cons. St., Sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608) ha, infatti avuto modo di affermare che lo ius sepulchri soggiace all’applicazione della normativa sopravvenuta che regoli il rapporto concessorio in senso modificativo rispetto all’assetto operante all’atto dell’originario titolo concessorio. Non è pertinente, quindi, il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, in modo intangibile, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti.
Pertanto, non può essere confuso il carattere perpetuo della concessione che deriva dalla normativa applicabile ratione temporis al tempo in cui la stessa fu rilasciata, con le vicende successive derivanti dalla richiesta di estumuluazione avanzata dall’odierno appellato, che restano disciplinate dalla normativa vigente al momento di presentazione della suddetta richiesta.
8. Per altro verso, non appare condivisibile nel delimitare la normativa applicabile la scelta del primo giudice di disapplicare l’art. 65, comma 2, del regolamento di polizia mortuaria. Ed, infatti, non si ravvisa un sicuro contrasto tra la norma citata e la disciplina contenuta nell’art. 92, comma 2, d.P.R. n. 285/1990. Occorre, infatti, rilevare che la norma da ultimo citata non è contraddetta da quella contenuta nel regolamento comunale. La prima, infatti, si limita a disciplinate l’ipotesi della revoca delle concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 1975, n. 803, ma nulla dispone circa il diverso caso delle conseguenze derivanti dall’estumulazione, rispetto alla quale proprio l’art. 86, d.P.R. n. 285/1990, introduce un principio di corrispondenza tra estinzione della concessione ed estumulazione. Secondo il comma 1 del citato art. 86, infatti: “Le estumulazioni, quando non si tratti di salme tumulate in sepolture private a concessione perpetua, si eseguono allo scadere del periodo della concessione e sono regolate dal sindaco”. Si tratta, quindi, di normative che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice non risultano porsi tra di loro in modo asimmetrico, sì da imporre la disapplicazione della norma regolamentare comunale di rango inferiore.
9. L’appello in esame può, quindi, essere accolto, restando assorbita l’altra questione relativa al paventato difetto di legittimazione dell’odierno appellato. Nella particolarità della controversia si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)