Consiglio di Stato, Sez. II, 25 maggio 2020, n. 3317

Consiglio di Stato, Sez. II, 25 maggio 2020, n. 3317

MASSIMA
Consiglio di Stato, Sez. II, 25 maggio 2020, n. 3317

La condizione di inedificabilità assoluta del suolo destinato a fascia di rispetto cimiteriale, la quale discende dall’esistenza stessa del vincolo sancito dalla legge, risulta chiaramente dal disposto normativo ed è stata in numerose occasioni confermata dalla giurisprudenza, che ne ha ribadito la natura conformativa e l’efficacia diretta, indipendente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, inidonei, per loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti (per tutti, con ampiezza di riferimenti, C.d.S., sez. II, 26 agosto 2019, n. 5862, anche per il raffronto tra la disciplina applicabile, anche se antecedente alle modifiche introdotte con la legge 1° agosto 2002, n. 166, e quella successiva a quest’ultima legge, nonché per il rilievo che neppure con quest’ultima vi è stato mutamento della natura intrinsecamente e indefettibilmente assoluta del vincolo). La circostanza che si tratti della realizzazione di manufatti pertinenziali ad un preesistente fabbricato adibito a civile abitazione realizzato nella fascia di rispetto non muta i termini della questione (a prescindere dalla condizione di legittimità edilizia del fabbricato in questione, specie quando non sia nota l’epoca di realizzazione, e dunque dall’applicabilità del principio per cui l’esistenza di altri manufatti, in violazione della disciplina della zona, non può essere strumento di validazione di ulteriori provvedimenti abilitativi illegittimi: C.d.S., sez. IV, 23 novembre 2017, n. 5451), poiché gli unici interventi edilizi consentiti ai singoli proprietari all’interno della fascia di rispetto cimiteriale sono quelli – ora – permessi da una disciplina sopravvenuta rispetto a quella vigente sia al momento della proposizione della domanda di condono che alla sua definizione (comma 7 dell’art. 338 del R.D. n. 1265/34, come sostituito con la legge n. 166/02 cit.) e, pertanto, inapplicabile al caso di specie (C.d.S., sez. II, n. 5862/19 cit.).

NORME CORRELATE

Art. 338 R.D. 27/7/1934, n. 1265

Pubblicato il 25/05/2020
N. 03317/2020REG.PROV.COLL.
N. 02411/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2411 del 2011, proposto dalla sig.ra C. Pasqualina, rappresentata e difesa dall’avv. Luca Casagni Lippi ed elettivamente domiciliata presso l’avv. Lucilla Cossari, LS LEXJUS SINACTA ROMA, in Roma, Via Panama n. 52
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesca De Santis, Andrea Sansoni, Annalisa Minucci e Maria Athena Lorizio ed elettivamente domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 2446 del 12 luglio 2010, resa tra le parti sui ricorsi riuniti r.g. 581/96 e 2757/00, proposti per l’annullamento, quanto al ricorso n. 581/96, del provvedimento in data 2 dicembre 1995 prot. n. 51799 con il quale l’Assessore all’Urbanistica ed all’Edilizia Privata del Comune di Firenze ha comunicato alla ricorrente il diniego di rilascio della concessione edilizia in sanatoria con riferimento a due annessi agricoli ubicati sul fondo condotto in locazione dalla ricorrente e di ogni ulteriore atto comunque connesso se lesivo, in particolare del parere contrario della Commissione Edilizia Integrata n.3155 del 14.9.1995, e, quanto al ricorso n. 2757/00, del provvedimento in data 23 marzo 1996 prot. n. 15640/96 con il quale l’Assessore all’Urbanistica ed all’Edilizia Privata del Comune di Firenze ha comunicato ulteriore diniego di rilascio della concessione edilizia in sanatoria e i ogni ulteriore atto comunque connesso, se lesivo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2020, svoltasi con modalità telematica ai sensi del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, il Cons. Francesco Guarracino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con due distinti ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana la sig.ra Pasqualina C. impugnava, unitamente agli atti presupposti, il provvedimento del 2 dicembre 1995, prot. n. 51799, col quale il Comune di Firenze le aveva negato il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ex l. 724/94, sulla base del parere contrario della Commissione edilizia integrata, per due annessi agricoli ubicati sul fondo condotto in locazione dalla ricorrente (ricorso r.g. 581/96), e l’ulteriore diniego del 23 marzo 1996, prot. n. 15640/96, reso dal Comune in riferimento alla stessa domanda di sanatoria e motivato per contrasto con il vincolo cimiteriale di cui all’art. 338 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265, provvedimento che la ricorrente affermava di aver conosciuto casualmente, in quanto non comunicatole (ricorso r.g. 2757/00).
Con sentenza n. 2446 del 12 luglio 2010 il T.A.R. adito riuniva i ricorsi e li respingeva entrambi.
Avverso la decisione di primo grado la sig.ra C. ha interposto appello, cui ha resistito il Comune di Firenze.
In vista dell’udienza di discussione entrambe le parti hanno prodotto memorie e l’appellante, altresì, repliche ed alla pubblica udienza del 28 aprile 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con la sentenza appellata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana ha riunito e deciso i ricorsi proposti dall’appellante contro due distinti provvedimenti di diniego adottati nel tempo dall’amministrazione comunale di Firenze in relazione alla stessa domanda di condono edilizio, presentata per la sanatoria di due annessi agricoli posti in zona agricola sottoposta a vincolo paesaggistico, in area di rispetto cimiteriale perché situati dentro la fascia di duecento metri dal cimitero di Trespiano.
Il primo diniego, in particolare, era stato assunto sulla base del parere sfavorevole della Commissione edilizia integrata, per cui i materiali e le caratteristiche costruttive dei due manufatti, aventi natura di temporaneità e prive di ogni intento di decoro, sarebbero state incompatibili con la tutela dei valori estetici tradizionali del luogo.
La sua impugnazione (ricorso di primo grado r.g. 581/96) era stata affidata a due motivi, uno per contestare il parere sfavorevole della C.E.I. perché apodittico, privo di prescrizioni tese a conformare il bene alle esigenze di tutela del valore ambientale protetto e, in definitiva, tale da risolversi in un vincolo generalizzato di inedificazione, l’altro per lamentare che l’amministrazione comunale, dopo aver richiesto l’integrazione della documentazione (elaborati grafici quotati, planimetria e nulla osta del settore foreste provinciale ai fini del vincolo idrogeologico), aveva poi respinto l’istanza senza attendere il relativo deposito.
Il secondo diniego, viceversa, era stato adottato per violazione del vincolo cimiteriale di inedificabilità, in ragione della natura di nuova costruzione dei manufatti in questione (una capanna ed una loggia).
Anche il ricorso di primo grado avverso quest’ultimo provvedimento (r.g. 2757/00) era affidato a due motivi di doglianza, l’uno per sostenere il carattere relativo del vincolo cimiteriale e, comunque, la sua inoperatività nella specie, poiché tra i manufatti abusivi ed il cimitero si sarebbe trovata una strada trafficata e rumorosa, l’altro per lamentare di nuovo che l’amministrazione comunale non aveva atteso le integrazioni documentali richieste e per denunciare il difetto di istruttoria anche per la mancata considerazione dell’impossibilità di realizzare in concreto un ampliamento del cimitero.
Il T.A.R. ha motivato il rigetto del primo ricorso affermando che il non aver atteso il riscontro alla richiesta di integrazione documentale non concretava alcuna illegittimità perché, in presenza del parere contrario della Commissione edilizia integrata, alla quale era stata trasmessa la domanda con il relativo corredo fotografico, l’adozione del diniego era vincolato dall’art. 32 della l. n. 47/85, che subordina il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, divenendo irrilevante l’attesa di ulteriore documentazione; che le ragioni della valutazione, di carattere discrezionale, della C.E.I. erano state esternate in termini che, per quanto sintetici, risultavano in concreto chiari e compiuti, senza che si riscontrasse alcun travisamento della situazione di fatto, tenuto conto della documentazione fotografica acclusa alla domanda di sanatoria; che non dovevano essere fornite prescrizioni tese a rendere l’intervento compatibile con i valori tutelati, essendo tale possibilità contemplata dalla normativa esclusivamente per la diversa ipotesi della richiesta di autorizzazione preventiva in relazione a progetti ancora da realizzare, mentre i manufatti già abusivamente esistenti devono essere valutati per come si presentano.
Ha motivato, quindi, il rigetto anche del secondo ricorso aderendo all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la fascia di rispetto cimiteriale comporta un vincolo assoluto d’inedificabilità, indipendentemente dal tipo di fabbricato (anche non abitativo o di natura pertinenziale), che risponde a una pluralità di funzioni (assicurare condizioni di igiene e salubrità, garantire tranquillità e decoro ai luoghi di sepoltura, consentire futuri ampliamenti dell’impianto funerario): perciò il diniego del titolo edilizio, anche in sanatoria, costituiva atto dovuto, senza che sussistesse alcuna possibilità di contemperamento con l’interesse privato o l’esigenza di verificare, di volta in volta, la sussistenza in concreto di esigenze ostative (igienico-sanitarie o di altro tipo) e di motivare il diniego con riferimento a tale concreto aspetto, comparando gli interessi coinvolti, pubblici e privati; il carattere assoluto del vincolo comportava l’irrilevanza delle integrazioni documentali, così come di indagini in ordine alla concreta praticabilità o meno di espansione della cinta cimiteriale ed alla sussistenza o meno di problematiche di natura igienico-sanitaria.
L’appellante critica la decisione di primo grado con cinque motivi d’impugnazione.
I primi due motivi attengono al rigetto del ricorso n. 581/1996.
Col primo di essi l’appellante afferma non essere vero che a fronte del parere negativo della Commissione edilizia integrata l’amministrazione non potesse far altro che disattendere l’istanza di sanatoria, poiché la stessa C.E.I. avrebbe svolto le proprie valutazioni tecniche sulla base di documentazione ancora incompleta ed insufficiente.
Col secondo motivo sostiene poi che il vincolo paesaggistico incombente sull’area sarebbe stato relativo, determinando piuttosto l’onere, per colui che fosse stato interessato all’edificazione, di sottoporre il progetto all’organo preposto al parere e di applicare le prescrizioni e le limitazioni che questo avesse ritenuto di imporre e poiché i due manufatti erano stati realizzati prima della formulazione del parere, si sarebbe dovuto, piuttosto, fornire prescrizioni e consentire alla richiedente di conformare le opere e rimediare all’eventuale loro incompatibilità col vincolo; l’organo preposto al parere non avrebbe debitamente considerato che il richiedente aveva provveduto a presentare l’istanza di condono solo dopo aver consolidato i manufatti con materiali più duraturi; l’affermazione che i materiali e le caratteristiche costruttive delle due opere erano incompatibili con la tutela dei valori estetici tradizionali del luogo sarebbe apodittica; in definitiva, l’atto impugnato in primo grado sarebbe affetto da vizio di motivazione (in quanto l’amministrazione non ha provveduto ad indicare la specie del valori estetici da tutelare e le ragioni della loro incompatibilità con le caratteristiche dei manufatti; ha mancato di suggerire alla richiedente gli accorgimenti utili a conformare le opere ai suddetti valori; gli annessi agricoli sono posti al centro del fondo e non sono assolutamente visibili dai fondi vicini; nelle more del giudizio le opere sono state rafforzate, affinate e modificate al loro interno e sulla sommità è stato realizzato un terrazzo, con conseguente cambio di destinazione d’uso, interventi per i quali è stata rilasciata dal Comune di Firenze concessione edilizia in sanatoria del 16 maggio 2002, prot. n.02/5542/24, per la qual cosa sarebbe incontrovertibile che, a un secondo esame, i manufatti sono stati valutati come compatibili col vincolo, sì da essere, di conseguenza, assentiti).
Entrambi i motivi sono infondati.
Il primo è infondato perché i documenti integrativi richiesti (elaborati grafici quotati, planimetria e nulla osta del settore foreste provinciale ai fini del vincolo idrogeologico) nulla avevano a che fare con l’oggetto del giudizio negativo di compatibilità espresso in concreto dalla Commissione edilizia integrata, incentrato in via esclusiva sui materiali e le caratteristiche costruttive dei due manufatti, rispetto ai quali quegli specifici documenti non avrebbero potuto fornire ulteriori elementi di valutazione (tant’è che l’appellante nulla di specifico osserva nel dettaglio).
Il secondo motivo, a sua volta, è infondato, in tutte le sue articolazioni, per le seguenti ragioni: l’appellante non censura la motivazione addotta dal T.A.R. per escludere che l’amministrazione dovesse indicare modalità di conformazione delle opere, vale a dire che non si trattava di rendere un’autorizzazione preventiva relativa ad opere ancora da realizzare, ma di sanare opere abusive già realizzate (cfr. C.d.S., sez. II, 18 febbraio 2020 n. 1222); vero è che il diniego è stato motivato anche in relazione alla “natura di temporaneità” dei materiali e delle caratteristiche costruttive dei manufatti, ma il T.A.R. ha motivatamente escluso, tenuto conto della documentazione fotografica acclusa alla domanda di sanatoria (prodotta agli atti di causa) che vi fosse stato alcun travisamento della situazione di fatto, mentre ancora in questa sede l’appellante oppone genericamente che le opere erano state consolidate con materiali più duraturi, non meglio specificati; i valori estetici del luogo sono quelli che hanno giustificato l’apposizione del vincolo paesaggistico e la loro lesione è chiaramente motivata col richiamo al fatto che i manufatti, per le loro caratteristiche, erano, secondo la C.E.I., “privi di ogni intento di decoro”, con giudizio che il T.A.R. ha correttamente ritenuto immune da critiche alla luce della documentazione fotografica acclusa alla domanda di sanatoria, che raffigura nella sostanza una baracca e una tettoia (la domanda di condono parla di “capanna contro terra” e di “loggia contro terra”), anche qui in difetto di una sostanziale confutazione in sede d’appello; la visibilità o meno delle opere dai fondi finitimi è irrilevante ai fini del rispetto del vincolo, oltre che oggetto di asserzioni indimostrate in giudizio; le successive vicende edilizie che avrebbero interessato i due manufatti non rilevano ai fini del presente giudizio, sottostando il provvedimento impugnato in primo grado al principio tempus regit actum, né la circostanza che possa essere stato rilasciato nel 2002 un permesso in sanatoria per la realizzazione di un terrazzo con conseguente cambio di destinazione d’uso può incidere retroattivamente sulla vicenda qui in esame, relativa invece agli annessi agricoli, una volta che questi non siano stati, essi stessi, legittimati, determinando una cessazione della materia del contendere a cui l’appellante non ha neppure accennato.
Venendo all’esame dei restanti tre motivi di appello, questi attengono al rigetto del ricorso n. 2757/00.
Col primo di essi (III motivo) l’appellante sostiene che le argomentazioni svolte dal giudice di prima istanza in ordine al carattere assoluto del vincolo cimiteriale stabilito dall’art. 338 del R.D. n. 1265/34 e dall’art. 57 del D.P.R. n. 285/90 sarebbero errate ed apodittiche, perché nella fattispecie considerata non sussisterebbe in concreto alcuna delle ragione di tutela poste a giustificazione dell’osservanza del vincolo cimiteriale.
In particolare, sostiene che non vi sarebbero motivi perché il vincolo cimiteriale operi in modo assoluto anche a fronte di costruzioni aventi natura pertinenziale rispetto ad un fabbricato principale, adibito peraltro a civile abitazione, che già insiste entro la zona di rispetto, vanificando automaticamente tutte le esigenze di tutela degli interessi pubblici sottesi all’osservanza del vincolo cimiteriale in relazione ai due manufatti che ne costituiscono delle mere pertinenze; che il cimitero, dal lato che fronteggia il fondo dell’appellante, non potrebbe mai subire alcun genere di ampliamento, poiché tra il fondo ed il cimitero si interpone una via di comunicazione che non potrebbe essere mai interrotta; che, se il vincolo cimiteriale ha come fondamento anche ragioni igienico-sanitarie, a tutela delle quali può essere impedita la realizzazione di centri abitati nei 200 metri circostanti i cimiteri, l’art. 338 del R.D. n. 1265/34 non porrebbe un vincolo d’inedificabilità assoluta, potendo essere consentite, nella fascia di rispetto, costruzioni diverse da quelle residenziali purché non contrastanti con le esigenze igienico-sanitarie; che, se la fascia di rispetto cimiteriale di duecento metri è imposta anche a tutela della calma e della tranquillità dei luoghi destinati al culto, tuttavia il cimitero in questione, per la sua particolare ubicazione, non può godere della tranquillità che normalmente caratterizza questi luoghi, poiché confina con una strada costantemente trafficata, estremamente ed inevitabilmente rumorosa, sicché sarebbe legittimo ritenere che, già al momento della sua edificazione, l’amministrazione comunale abbia definitivamente rinunciato alla tutela della calma e tranquillità della zona cimiteriale.
Il motivo è infondato.
La condizione di inedificabilità assoluta del suolo destinato a fascia di rispetto cimiteriale, la quale discende dall’esistenza stessa del vincolo sancito dalla legge, risulta chiaramente dal disposto normativo ed è stata in numerose occasioni confermata dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, che ne ha ribadito la natura conformativa e l’efficacia diretta, indipendente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, inidonei, per loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti (per tutti, con ampiezza di riferimenti, C.d.S., sez. II, 26 agosto 2019, n. 5862, anche per il raffronto tra la disciplina applicabile alla fattispecie qui in esame, antecedente alle modifiche introdotte con la legge 1° agosto 2002, n. 166, e quella successiva a quest’ultima legge, nonché per il rilievo che neppure con quest’ultima vi è stato mutamento della natura intrinsecamente e indefettibilmente assoluta del vincolo).
La circostanza che si sia trattato della realizzazione di manufatti pertinenziali ad un preesistente fabbricato adibito a civile abitazione realizzato nella fascia di rispetto non muta i termini della questione (a prescindere dalla condizione di legittimità edilizia del fabbricato in questione, di cui non è nota l’epoca di realizzazione, e dunque dall’applicabilità del principio per cui l’esistenza di altri manufatti, in violazione della disciplina della zona, non può essere strumento di validazione di ulteriori provvedimenti abilitativi illegittimi: C.d.S., sez. IV, 23 novembre 2017, n. 5451), poiché gli unici interventi edilizi consentiti ai singoli proprietari all’interno della fascia di rispetto cimiteriale sono quelli ora permessi da una disciplina sopravvenuta rispetto a quella vigente sia al momento della proposizione della domanda di condono che alla sua definizione (comma 7 dell’art. 338 del R.D. n. 1265/34, come sostituito con la legge n. 166/02 cit.) e, pertanto, inapplicabile al caso di specie (C.d.S., sez. II, n. 5862/19 cit.).
Quanto si è appena detto smentisce anche il connesso motivo di appello (IV motivo) con il quale l’appellante denuncia l’erroneità della decisione di primo grado nella parte in cui fonda sul carattere assoluto del vincolo cimiteriale la conclusione dell’irrilevanza delle integrazioni documentali e di ulteriori indagini.
Le considerazioni sopra svolte dimostrano, infatti, l’infondatezza della sua tesi a monte secondo cui occorreva valutare le condizioni di concreta applicabilità del vincolo cimiteriale alla fattispecie concreta, nel rispetto del principio di leale e reciproca collaborazione tra cittadino e pubblica amministrazione, quando invece la natura del vincolo non lasciava alcuno spazio di valutazione all’amministrazione, rendendone obbligata la risposta.
Con il quinto ed ultimo motivo l’appellante intende riproporre un motivo di censura contenuto nel ricorso n. 2757/00 che sarebbe stato dichiarato assorbito dal T.A.R., sebbene nella sentenza di primo grado non sia fatta menzione né del motivo, né di un assorbimento di censure, per sostenere di essere venuta a conoscenza del secondo provvedimento di diniego solo casualmente, perché comunicato a persona ad essa sconosciuta.
L’appellante ne trae la conseguenza dell’irritualità della notificazione o comunicazione del provvedimento, perciò inidonea ad integrare il requisito della sua effettiva conoscenza.
Poiché, tuttavia, la denunciata circostanza non potrebbe rifluire sulla validità del provvedimento, quanto rilevare, piuttosto, per la tempestività del ricorso di primo grado, va detto che il T.A.R. ha espressamente ritenuto in sentenza di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di tardività sollevata in primo grado dal Comune, la quale non è stata riproposta nel presente grado di appello, dove il Comune si è limitato a ribadire di aver regolarmente notificato il diniego all’interessata.
Per queste ragioni, in conclusione, l’appello dev’essere respinto, mentre tutte le problematiche concernenti la asserita ineseguibilità della ordinanza a cagione di asserite opere (in tesi ex post autorizzate) insistenti sui manufatti oggetto del contendere esulano dall’oggetto dell’odierno giudizio (ex aliis cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 23 novembre 2017 n. 5472).
Le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante alla rifusione delle spese processuali del presente grado del giudizio in favore del Comune di Firenze, che liquida nella somma complessiva di € 4000,00 (quattromila/00) oltre accessori di legge, ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2020, svoltasi in videoconferenza con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Michele Pizzi, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere
Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE (Francesco Guarracino)
IL PRESIDENTE (Fabio Taormina)
IL SEGRETARIO

Written by:

Sereno Scolaro

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