TUMULAZIONE: questioni aperte e problemi irrisolti

Nota dell’autore: per gli argomenti trattati e le immagini proposte questo testo è sconsigliato a persone particolarmente suggestionabili o impressionabili.

L’ordinamento italiano (DPR 10 settembre 1990 n. 285), oltre ai più tradizionali (almeno nella realtà europea) metodi dell’interramento e dell’incenerizione, contempla una terza possibile destinazione per i cadaveri, ormai largamente maggioritaria nel nostro paese: la tumulazione; di essa si può reperire induttivamente una fonte primaria del diritto, ossia nell’Art. 340 del Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265, da tale formulazione si evince come la tumulazione sempre si configuri come una sepoltura privata e dedicata.

Questo sistema consiste nel deporre le salme entro nicchie o celle murarie, in luogo delle comuni fosse e richiede una procedura quanto mai complessa ed articolata.

In effetti, il potenziale pericolo di contagio, che deriverebbe dalla diffusione all’esterno della tomba di materiale putrefattivo ed umori organici, impone il più scrupoloso rispetto delle disposizioni legislative in tema d’igiene pubblica.

Dopo il boom economico degli anni sessanta la tumulazione, però, è divenuta un fenomeno di massa ed ha fortemente contribuito alla selvaggia espansione delle aree cimiteriali, con notevoli problemi di logistica e gestione degli spazi, perché consente la conservazione delle spoglie per lunghissimi periodi ed è nata, tra la fine dell’ottocento ed i primi anni del XX secolo, in corrispondenza alla concessione perpetua delle tombe nei sepolcreti monumentali (Prof.Ivan. Melis).

Il decreto presidenziale n. 285 del 10 settembre 1990, con cui era regolamentata, in modo quasi esaustivo, l’intera attività necroscopica funebre e cimiteriale, prima dell’avvento delle Leggi Regionali, in seguito alla riforma del Titolo V Costituzione, riserva ampio spazio di trattazione per tale pratica, sempre più diffusa anche tra le classi sociali meno abbienti.

Il combinato disposto tra l’art.30 e gli articoli, compresi nel quindicesimo capo del testo, contiene le norme in materia di sepoltura nei loculi, chiusura zincointegrate poi dai paragrafi 9.2 (indicazioni su caratteristiche costruttive per le bare. cautele per i trasporti funebri oltre una certa distanza. valvole o altri dispositivi per fissare o neutralizzare i gas di putrefazione) e 13 (revisione dei criteri costruttivi per i manufatti a sistema di tumulazione) Circolare ministeriale 24 giugno 1993 n. 24 Il DPR 285/90, infatti, per l’estrema delicatezza dell’argomento, esamina la questione sotto diversi profili. I regolamenti attuativi dei comuni, di conseguenza, devono obbligatoriamente conformarsi a questi indirizzi generali, anche perché essi sono pur sempre soggetti ad omologazione ex Art. 345 Regio Decreto 27 Luglio 1934 n. 1265, laddove apposita legge regionale di specifichi diversamente trasferendo tale competenza all’assessorato della Sanità. Sono quindi due le sezioni del Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria dedicate alla tumulazione: nella prima sono elencate le caratteristiche che il feretro idoneo debba necessariamente presentare. Queste proprietà sono analoghe ai requisiti di cui la bara deve essere dotata, nell’evenienza di trasferimento fuori dei confini nazionali o dall’Estero verso l’Italia, ovviamente per i trasporti internazionali disciplinati, invece, dalla Convenzione di Berlino (10 febbraio 1937) si seguiranno le regole dettate dalla Convenzione stessa.

Il DPR 285/90, allora, con l’Articolo 30, centrale e trasversale in tutta la sua architettura normativa, fissa precisi criteri costruttivi in merito alle bare predisposte per:

1) Tumulazione in loculo stagno (Art. 76 e seguenti DPO 285/1990

2) Traduzione di cadaveri da e verso l’Estero (eccetto i casi previsti dalla convenzione di Berlino 10 febbraio 1937)

3) Trasferimenti da comune a comune ed oltre i 100 Km

4) Trasporto e sepoltura di infetti (Artt. 18 e 25 DPR 285/90) a prescindere da come saranno sepolti (inumati, tumulati o cremati)

ovvero per tutti quei feretri confezionali con doppia cassa lignea e metallica, cui si debbono aggiungere particolari dispositivi meccanici, quali reggette, valvola depuratrice a depressione, e chimico-fisici, come strato di torba, segatura o polvere assorbente biodegradabile, da sistemare nell’intercapedine, tra cassa di legno e vasca zincata, per il contenimento di eventuali percolazioni cadaveriche gassose o liquide.

Per tale ragione esso, grazie alla sua poliedricità si applica ecletticamente a più fattispecie prese in esame dal DPR 285/1990.

La seconda parte, invece, tratta delle modalità con cui debbono essere costruiti e tamponati i colombari, così da riuscire impermeabili a gas e liquidi cadaverici.

Il regolamento, ai sensi dell’art.30 di cui sopra, stabilisce in modo inderogabile che il cofano funebre, ove saranno racchiuse le spoglie, debba comporsi di due elementi distinti e sovrapposti. La legge, dunque, prescrive una duplice cassa formata da una normale bara di legno ed una controcassa in metallo inossidabile (zinco o piombo). La vasca zincata, munita di coperchio, sia quando accolga il cofano ligneo o che sia inclusa in quest’ultimo, al momento della chiusura viene in ogni caso sigillata ermeticamente mediante saldatura a fuoco o altro metodo equivalente, (Paragrafo 9.1 Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24) tale da assicurarne, comunque, l’ermeticità.

Invero se il cofano metallico è dotato di valvola depuratrice ai sensi dell’Art. 77 comma 3 DPR 285/90 in sostituzione della cerchiatura con liste di lamiera. di cui all’Art. 30 comma 11 DPR 285/90. non abbiamo più una bara completamente stagna, come originariamente prescritto dal legislatore, bensì una cassa a rilascio controllato dei gas in sovrappressione con un filtro di carboni attivi capaci di “lavare” i miasmi, prima che essi siano liberati verso l’esterno.

Queste valvole sono tarate sul valore di 0,03 atmosfere, ma alcuni studiosi, per maggior sicurezze consiglierebbero di abbassare tale valore a 0,01 atmosfere. Se i gas, infatti, per accumulo raggiungono le 2,5 atmosfere lo scoppio del feretro diviene pressoché inevitabile.

Il vero e proprio ambiente a tenuta stagna è, allora, il loculo; il suo lato più debole risulta essere la tamponatura dell’apertura da cui viene introdotta la bara, ecco perché il legislatore richieda espressamente con l’Art. 76 comma 8 la chiusura con muratura in mattoni pieni a una testa (e non posti di coltello) con relativa intonacatura, questa metodologia può esser sostituita da una lastra di cemento armato o vibrato da assicurare stabilmente alle rimanenti pareti della cella sepolcrale. (si veda l’ l’Articolo di Giorgiò Disarò, “progettare e costruire loculi di qualità, pubblicato su Nuova Antigone, anno 10 n. 1 gennaio/marzo 1998 pagg. 41 e segg. )

 

In teoria l’Art. 31 (impiego di materiali alternativi allo zinco) così come richiamato dall’Art. 77 legittimerebbe anche per i cofani da tumulazione l’uso di casse parimenti stagne, ma non per forza metalliche (fermo restando l’obbligo della cassa lignea). L’industria funeraria, però, non ha mai seriamente esplorato questa avveniristica possibilità, studiando prodotti di minor impatto ambientale (lo zinco è un rifiuto difficile cimiteriale da trattare e smaltire ed anche il suo recupero ex Art. 12 comma 4 DPR 15 luglio 2003 n. 254 risulta particolarmente critico ed oneroso).

Nell’intercapedine tra i due contenitori è poi collocato uno strato di torba, segatura o altro composto atto ad assorbire eventuali percolazioni.

Anche una formulazione così cogente del comando legislativo lascia, però, spazio ad alcune interpretazioni tra loro contrastanti.

L’ordine con cui debbano essere disposte le due casse non è esplicitamente indicato ed è, di fatto, rimesso alla discrezione dell’impresa funebre cassoneretto(paragrafo 3 Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24). Il legislatore non ha volutamente specificato se il cofano in lamiera debba sempre essere interno, come, invece, parrebbe, esaminando la consuetudine invalsa tra gli operatori de settore funerario, anzi con il paragrafo 9.1 del Circ.Min. 24/1993 si sono dichiarato illegittime tutte quelle disposizioni volte ad imporre la cassa di zinco fuori di quella lignea. Nell’esperienza italiana, di solito solo nelle azioni di risanamento di un loculo o nelle traslazioni si ricorre ad una cassa metallica esterna con cui effettuare il rifascio del feretro (art. 88 comma 2 DPR 28571990 e paragrafo 3 Circolare Ministeriale 31 luglio 1998 n. 10). L’avvolgimento di un feretro danneggiato da un improvviso scoppio consiste, appunto, nel deporre il cofano originario, che non assicura più un’efficace tenuta stagna, entro un nuovo involucro di zinco o piombo. Ragioni d’opportunità ed igiene, infatti, sconsigliano di rimuovere il coperchio del feretro da cui si verifichi la fuoriuscita di liquami per ripristinare la saldatura o trasferire direttamente il cadavere in un diverso contenitore. La scelta di mantenere la vasca in lamiera all’interno della bara risponde soprattutto a motivazioni di carattere estetico ed emotivo.

Il legno può essere elegantemente lavorato con intagli e modanature che impreziosiscono senza dubbio la fattura del sarcofago, mentre, al contrario, un manufatto con le pareti di zinco visibili presenterebbe un aspetto piuttosto anonimo e squallido.

Al di là di valutazioni morali e sociologiche il vero imballo con cui trasportare i cadaveri e seppellirli per le sue intrinseche funzioni di contenimento è propriamente la bara di legno, meglio se abbinata a maniglie davvero “portanti”, la lamiera, invece, risulta più insidiosa e tagliente durante la sua movimentazione.

Il legislatore, però, con il paragrafo 9.1 della Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24 legittima ancora entrambe le ipotesi, senza schierarsi con chiarezza per una soluzione precisa. Mostrerebbe infatti, anche se implicitamente, un certo favore per la possibilità secondo cui sia la bara lignea ad esser deposta nella cassa di zinco.

Il passaggio logico-deduttivo è semplice: L’Art. 30 comma 11 stabilisce che il feretro sia sempre cerchiato con nastri di ferro (le cosiddette “reggette” per assicurarne una reale chiusura anche quando la pressione interna aumenti sotto la spinta dei gas putrefattivi.

Quest’operazione, per la verità abbastanza anacronistica, però, è ritenuta superflua quando sia la cassa di zinco, anche non munita di valvola depuratrice, a contenere quella di legno.

Secondo altri studiosi della materia funeraria (Ing. Giorgio Stragliotto, L’Informatore/Feniof n. 1 2001, Pagg. 12 e 13) l’impostazione dell’Art. 75 comma 2 PR 285/1990 e soprattutto di una fonte di diritto internazionale come l’Art. 3 della Convenzione di Berlino (10 febbraio 1937) lascerebbe, invece, pensare ad una preferenza per il metallo dentro alla cassa di legno (altrimenti perché richiedere la temporanea rimozione del coperchio di legno prima di tagliare la lamiera?).

I fenomeni percolativi (1), con la seguente perdita di sostanze liquide o aeriformi dal disgustoso odore, sono dovuti principalmente al cedimento della saldatura sul coperchio di zinco o sul fondo della cassa stessa o sui lati, a causa delle sollecitazioni meccaniche che l’elevata pressione dei miasmi comporta, assieme all’acidità del liquami (2)

La costruzione della cassa zincata in un pezzo unico secondo lo spirito della legge, ribadito anche dal paragrafo 16 della Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24 così da evitare saldature negli angoli e sui lati delle pareti, nonché il rigoroso rispetto degli spessori minimi (0,660 mm per lo zinco oppure 1,5 mm per il piombo) rappresenterebbero tuttavia la soluzione migliore, siccome limiterebbero il ricorso allo stagno solo per la chiusura del coperchio.

 

Una vasca metallica, capace di ospitare al proprio interno l’intero feretro, sarebbe sicuramente di maggiori dimensioni, sempre compatibili, però, con le misure dei colombari, ma difficilmente potrebbe esser realizzata con la tecnica della monoscocca cioè partendo da un unico figlio di lamiera, così da limitarne al massimo giunture e saldature, ossia le zone di contatto più sensibili allo stress meccanico.

Sul fondo, allora, potrebbero essere collocate quantità più consistenti di quei composti enzimatici che neutralizzano i liquami della decomposizione (si veda ad esempio l’allegato tecnico al paragrafo 16 della Circ. Min. 24 giugno 1993 n. 24 per le “tumulazioni in deroga”).

Al di là del maggiore apporto d’aria, l’assenza di un diretto contatto tra i tessuti organici e lo zinco potrebbe favorire anche una forse più rapida e sicura mineralizzazione dei corpi.

Si è, infatti, dimostrato (Corrado Cipolla d’Abruzzo, “La mineralizzazione dei cadaveri”) come questo metallo rilasci nel lungo periodo particelle che rallentano o, addirittura, inibiscono le trasformazioni postmortali.

Nell’eventualità di un risanamento, per altro, il personale del cimitero potrebbe intervenire agevolmente sulla lamiera per controllare la stabilità della saldatura, senza venir mai a contatto ravvicinato con il cadavere in avanzato stato di decomposizione.

Intuitivamente è difficile pensare che lo zinco, all’esterno della bara, potesse perdere le sue proprietà chimiche a causa dell’azione degli agenti atmosferici o del tempo.

Questo metallo notoriamente grazie alla sua ossidazione superficiale (della anche stagionatura), è, infatti, massimamente indicato per il contenimento di liquidi con PH molto aggressivo. La doppia cassa, al momento della tumulazione, viene comunque inserita in una cella muraria chiusa ermeticamente, al riparo da piogge, intemperie o rilevanti variazioni di temperatura.

Tante volte, però, come è stato ampiamente dimostrato da studi scientifici (di Dr.ssa B. Bassi e Prof. Vincenzo Risolo, La nuova Antigone n. 5/1997) la corrosione dello zinco, sino alla sua perforazione avviene a causa di passaggi di corrente elettrica che trovano nel piano d’appoggio del loculo (magari in calcestruzzo) un efficace conduttore.

Le corrosioni verificate, dunque, sono di tipo elettrolitico, con conseguente formazione di micropile a concentrazione. Il fenomeno risulta DSCF0006esponenzialmente accentuato per la presenza di liquido organico (quando la corrosione ha interessato l’intero spessore della parete costituente la cassa di zinco) e nel caso di innalzamento della temperatura, come può succedere in estate, poiché esso abbassa ulteriormente il PH all’interno dei loculi. (di Dr.ssa B. Bassi, Prof. Vincenzo Risolo, La Nuova Antigone n. 7/1997). Ad oggi, però, non risultano esistere dalla letteratura tecnica dati certi sulla velocità di logoramento dello zinco esposto ad ambienti quali gas, vapori e liquami di decomposizione cadaverica. L’unica soluzione empirica potrebbe esser il passaggio al laminato 14 (0,74 mm) proprio come accade per le bare predisposte per la tumulazione in deroga ex Art. 106 DPR 285/90 e paragrafo 16 Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24. La cassa di zinco interna è di certo più efficiente e sicura, nella sua funzione impermeabilizzante, ci sono situazioni, però, in cui essa diventa motivo di notevoli criticità, quando essa, ad esempio deve esser asportata (se il crematorio non è predisposto per filtrare lo zinco) o neutralizzata ai sensi dell’Art. 75 comma 2 DPR 285/1990 così da facilitare la percolazioni delle acque meteoriche e dei liquidi cadaverici. Almeno per quei particolari tipi di feretri in cui necessariamente si dovrà manomettere l’ermeticità della cassa saldata, però, sarebbe molto meglio introdurre, se non la regola, almeno la prassi della bara zincata che fascia esternamente quella di legno. Così si potrebbe comodamente intervenire senza dover mai entrare a diretto contatto con il cadavere.

Ancora più pratica sarebbe l’adozione di quei dispositivi di plastica biodegradabile ex Art. 31 DPR 285/1990 e D.M 7 febbraio 2007 e 28 giugno 2007) e in sostituzione della lastra metallica.

L’unico problema di difficile risoluzione è rappresentato dal comprensibile disagio dei dolenti di fronte ad un feretro di freddo metallo.

L’avvolgimento della bara nel contenitore ermetico, allora, potrebbe ragionevolmente tenersi in un secondo momento, quando il corteo funebre, terminata la cerimonia delle esequie, sia ormai giunto al camposanto.

I costruttori di cofani si dicono fermamente contrari al rifascio generalizzato, quindi, con zinco esterno per tutti feretri da tumulazione perché:

  • La cassa di metallo esterna pesa almeno 8 o 10 KG di più e l’ispessimento, paradossalmente, diminuisce la sua resistenza alla pressione interna. Le violente estroflessioni della lastra possono provocare persino lo scoppio del feretro.
  • Una bara più voluminosa faticherebbe ad entrare nella tomba, soprattutto se pensiamo a nicchie di antica costruzione e magari non a norma con l’Art. 76 DPR 285/1990 (mancanza di vestibolo).
  • ” L’“handling”, durante le operazioni di trasporto ed inserimento nel loculo, diverrebbe molto più difficile per la mancanza di maniglie o punti d’appoggio.
  • ” Non si potrebbero applicare le reggette di cui all’Art. 30 comma 6 DPR 285/1990 senza compromettere con viti o buchi l’ermeticità della cassa stessa.
  • Le reggette stesse perderebbero la loro originaria funzione di controspinta per bilanciare la sovrappressione dei gas putrefattivi, perché solo la bara di zinco andrebbe in pressione rigonfiandosi, con notevole deformazione della lamiera, senza trovare il supporto ed il contenimento della robusta bara lignea (un cofano di legno sul fondo può reggere un peso sino a 4000 o 5000 Kg.

Addirittura, soprattutto in passato, quando non si applicava ancora la valvola depuratrice, come si nota dalla foto qui sopra proposta, si sono verificati casi in cui le assi di legno sono state divelte per la violenta sovrappressione dei gas putrefattivi.

—————————————-

(1) Si veda per maggiori dettagli “Fenomeni percolativi nelle tumulazioni”, L’Informatore-Feniof, n. 11, novembre 2000)

(2)La stessa formalina usata per la siringazione cavitaria di cui all’Art. 32 DPR 10 settembre 1990 risulta particolarmente aggressiva sul nastro metallico.

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Carlo Ballotta

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36 thoughts on “TUMULAZIONE: questioni aperte e problemi irrisolti

  1. Con la presente sono a richiedere se esiste una norma specifica che prevede l’obbligo di dotare le bare di maniglie o altri dispositivi per la movimentazione del feretro.
    Chiedo questo perchè ultimamente ci capita di ricevere casse sprovviste di maniglie e nei giorni scorsi ci siamo trovati in difficoltà nella movimentazione manuale per un’operazione di traslazione.
    Nella Circolare del Ministro della sanità nr. 24 del 24/06/1993, non ho trovato alcun riscontro;
    l’unica annotazione l’ho trovata on-line nella definizione di bara in wikipedia ed è questa:
    “le casse devono essere dotate di idonei dispositivi per la loro movimentazione (le maniglie sono quelli più diffusi e più performanti) atti a tutelare la salute degli operatori addetti al loro trasporto e manipolazione al fine di evitare eventuali infortuni degli stessi.”

    Comune di Cesena – Emilia Romagna

    1. X Matteo,
      innanzi tutto chiedo umilmente perdono per il ritardo con cui rispondo.

      Nello jus positum vigente una qualche vago riferimento all’impiego e dotazione di maniglie per la movimentazione dei carichi manuali è rinvenibile nell’art. 203 del D.Lgs n. 81/2008.
      In realtà la normativa speciale di polizia mortuaria (D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285: artt. 30, 31, e 75) sulla costruzione e l’impiego dei cofani funebri, invero un po’ vetusta, nulla dice a tal proposito, solo la Regione Lombardia con l’allegato 3 al proprio Reg. Reg. 9 novembre 2004 n. 6 pare essersi posta il problema non certo di poco conto, imponendo ai produttori l’obbligo di fornire le casse con maniglie autoportanti, così da facilitarne lo spostamento. MA la norma regionale sconta il limite della territorialità, cioè vale solo entro i confini amministartivi del soggetto istituzionale che l’ha emanata.
      Piccolo consiglio da necroforo impenitente: durante una traslazione di feretro privo di maniglie, invece, di afferrarlo lungo i bordi laterali, con altissimo rischio di schiacciamento di mani o dita (come, purtroppo è già capitato ad un mio caro collega ed amico) cercate, per il possibile di deporre la bara in una vasca/cassone, anche di altezza piuttosto ridotta,munito, però,volta di maniglie o altri dispositivi più sicuri. Insomma è la stessa procedura da applicarsi in caso di feretro interessato da perdite o fenomeni percolativi dovuti alla rottura dello zinco.

      1. Ringrazio per la risposta e nel frattempo avevo cercato di documentarmi ulteriormente trovando un riscontro importante nel disegno di legge del senato nr. 2492 (comunicato alla presidenza il 21/07/2016 – ancora in corso di esame???) il quale all’articolo 14 (caratteristiche dei feretri e confezionamento) comma 1 lettera e cita testualmente:
        “…..Il cofano funebre deve essere dotato di sistemi di impugnatura saldamente fissati sui fianchi dello stesso, portanti, per il sollevamento e la movimentazione, in osservanza del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 18, a tutela della sicurezza degli operatori.”
        Secondo lei è legittimo quantomeno invitare le onoranze funebri al rispetto di queste indicazioni?
        Grazie e buona giornata

        La Direzione Cimiteriale

        1. X Matteo,

          che appartiene al mio adorato feudo funerario dell’Emilia-Romagna (io sono di MODENA…MODENA PARK!).
          Un richiamo al D.Lgs n. 81/2008 non sarebbe sbagliato, se recepito nel regolamento comunale di polizia mortuaria.
          Non è facile, però: poniamo l’ipotesi di un feretro proveniente da fuori Comune, o peggio ancora da altra Regione, come ci si potrebbe comportare: si nega l’accesso al corteo funebre dinanzi ai cancelli del cimitero, perché la cassa è sprovvista di maniglie? Sarebbe il caos.
          Un opera di sensibilizzazione presso le on. fun. attive nel Comune e nei territori limitrofi sarebbe comunque opportuna, anche se priva della cogenza propria di una norma ad hoc.
          Tuttavia il sullodato D.Lgs n. 81/2008 ha pur sempre valenza NAZIONALE.
          La lascio con questo dubbio atroce: come procedere, allora?

  2. DUILIO PER LA SPETT.LE REDAZIONE IN MERITO ALLA CHIUSURA DEL TUMULO IL DPR 285/90 PREVEDE L’UTILIZZO DI MURATURA DI MATTONI PIENI AD UN TESTA E NON IL COLTELLO, IN ALTERNATIVA PANNELLO DI CEMENTO ARMATO VIBROCOMPRESSO E/O MATERIALE IDONEO DI EGUALE RESISTENZA.
    E’ CAPITATO CHE NEL MIO CIMITERO UN AGENZIA DI POMPE FUNEBRI HA CHIUSO IL TUMULO CON UN PANNELLO DI FIBROCEMENTO DELLO SPESSORE DI CM 1,5 FISSANDOLO CON DEL SILICONE CEMENTIZIO.
    LA MIA DOMANDA è CONFORME? DEVO CONTESTARE L’OPERAZIONE INVITANDO LA DITTA A PROVVEDRE DI PROCEDERE CON MATERIALE DIVERSO? GRAZIE PER LA DISPONIBILITA’

    1. X Duilio,

      L’edilizia cimiteriale, oltre ad ottemperare alla “normativa tecnica per le costruzioni”, in ottica antisismica, deve pure rispondere positivamente a specifici requisiti funzionali al fine di contenere qualsiasi inconveniente igienico-sanitario derivante dalla decomposizione in corso delle salme tumulate, specie in caso di “scoppio del feretro” con conseguenti fenomeni percolativi a carico dei loculi.

      Recentemente è apparso una relazione curata dell’Istituto Superiore di Sanità, in cui viene esvolta una disamina dell’evoluzione nel tempo dei materiali e delle norme di realizzazione dei manufatti cimiteriali con una particolare attenzione alla parete di chiusura verticale dei loculi.

      Vengono riportate i principali problemi che possono porsi nella progettazione di una soluzione alternativa al più classico materiale contemplato dal D.P.R. n.285/1990 (muratura intonacata) con uno equivalente, per mezzo dell’analisi di un caso di studio:

      sostituzione del mattone pieno, esplicitamente menzionato dall’art. 76 del D.P.R. n.285/1990, con “calcestruzzo aerato autoclavato” (CAA) per la tamponatura dei loculi nella fase di tumulazione.

      La parete di chiusura del loculi è, infatti, la parte più critica del tumulo per gli inconvenienti igienico-sanitari che possono ingenerarsi (possibili fuoriuscite di reflui liquidi e gassosi generati dal processo di putrefazione in corso, durante il normale periodo di tumulazione della salma; intrusioni/accessi indebiti a feretri tumulati, per fini non contemplati dalla Legge = estumulazioni clandestine) e di estetica per l’aspetto formale verso l’ambiente esterno (lo spazio architettonico cimiteriale).

      La vecchia metodologia, seppur più collaudata e sicura (mattoni pieni uniti da malta cementizia) non è esente da rischi di tenuta ermetica nel tempo ed in più presenta sul versante operativo diverse difficoltà (se si lavora in altezza c’è il concreto rischio di sporcare con l’intonaco i loculi sottostanti o di caduta accidentale dei mattoni, spesso il muro non è perfettamente in linea con il bordo perimetrale del loculo ed accusa delle deformazioni (= è storto), facendo impazzire non poco i marmisti nell’applicazione delle lapidi.

      In diverse esperienze locali la piastra, alternativa alla più tradizionale muratura, viene già fissata con il silicone, prima di contestare la legittimità di questa tecnica così innovativa si consiglia di consultare attentamente la scheda tecnica del prodotto che l’impresa deve produrre agli atti, se vorrà ricorrere anche in futuro a questo sistema di sicuro più pratico ed efficiente, l’art. 76 comma 9 D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, in fondo, garantisce una certa libertà pretendendo unicamente che sia assicurata la perfetta integrità ed impermeabilità della sepoltura a sistema di tumulazione stagna, per tutta la durata della concessione.

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