Il trasporto di feretro in altra sede: norme comuni alle esumazioni e alle estumulazioni – 2/2

In un intervento precedente (Il trasporto del feretro in altra sede – 1/2) sono state affrontate alcune questioni pertinenti all’art. 88 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Dato che alcune volte (ma non sempre, anzi abbastanza raramente) le norme sono come le ciliegie, nel senso che una tira l’altra, non si può evitare di ricordare che il Capo XVII “ Esumazione ed estumulazione.” del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. si conclude con l’art. 89 [1], il quale opera un rinvio al precedente art. 83, cosa che suggerisce un approfondimento che, nella sua sostanza, consente di enucleare quelle che possono essere chiamate quali norme comuni sia per le esumazioni sia per le estumulazioni.

Il comma 1 del citato art. 83 prevede che vi possano essere esumazioni prima del prescritto turno di rotazione (nelle estumulazioni, questo aspetto temporale è riferito alla scadenza della concessione) in alcuni casi:
(a) per ordine dell’autorità giudiziaria per indagini nell’interesse della giustizia, o, previa autorizzazione del “comune”,
(b) per (b.1) trasportarle in altre sepolture o per (b.2) per cremarle.
Si potrà osservare qui una forte analogia con quanto considerato, in altro intervento, a proposito delle estumulazioni, cioè il principio per cui anche nell’inumazione possa esservi, alle condizioni date, una sostanziale movibilità dei feretri.
Vi è, semmai, da segnalare come, quando si preveda il caso del fine del trasporto in altra sepoltura, questa può essere tanto ad inumazione, quanto a tumulazione, con l’avvertenza integrativa che (nel caso di prevista nuova inumazione) dovrà tenersi conto anche dell’art. 30 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., disposizione altrettanto da considerare in caso di prevista tumulazione, alla luce dell’art. 77 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.
Magari, in queste ipotesi provvedendo all’utilizzo della cassa di zinco esterna, anche se possa risultate esteticamente poco gradita, dato che il feretro in legno non può (potrebbe) essere oggetto di apertura.
Il condizionale “potrebbe” trova motivazione nel fatto che ben potrebbe rivenirsi, in sede di esecuzione dell’esumazione, che il feretro sia danneggiato, magari per collasso di alcune sue componenti o per le condizioni del terreno in cui era stata eseguita l’inumazione o, semplicemente, per quei normali processi che interessano il feretro (contenuto incluso) nel corso del tempo in relazione alla specifica pratica funeraria.

Il fatto di poter rinvenire il feretro danneggiato, indipendentemente dalle cause o natura, porta a dover porre in atto operazioni cimiteriali volte a ricostituire il feretro, magari tenendo conto della sua nuova destinazione.
In particolare, nelle ipotesi di destinazione alla cremazione sono già abbastanza largamente praticate prassi, che non sono strettamente vincolate al rispetto di tutte le disposizioni dell’art. 75 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., in particolare allorquando si riscontrino le fattispecie considerate dall’art. 3, comma 1, lett. b) D.P.R. 15 luglio 2003, n. 254.

Altra “norma comune” che emerge dal rinvio all’art. 83 fatto dall’art. 89 è altresì quella del possibile ed eventuale ruolo dell’autorità giudiziaria ai fini di indagini nell’interesse della giustizia, sia essa penale, oppure civile.

Fino a qui la situazione delineata appare abbastanza lineare, inclusa la previsione del comma 2 (operazioni, senza distinguere tra esumazioni ed estumulazioni, ordinate dall’autorità giudiziaria), per cui anche il trasporto in sala autoptica potrebbe essere soggetto al “suggerimento” di particolari modalità da parte della stessa autorità giudiziaria.

Questa linearità risulta intaccata, o resa meno netta, col comma 3 per il quale queste (…. tali ….) operazioni cimiteriali … devono essere eseguite alla presenza del coordinatore sanitario dell’unità sanitaria locale e dell’incaricato del servizio di custodia [2] .
La questione vede due approcci interpretativi, l’uno che si orienta ad attribuire a quel … tali un riferimento sia alle situazioni del comma 1 (disposizioni generali) sia del comma 2 (disposizioni particolari quando vi sia l’ordine dell’autorità giudiziaria), l’altro volto a ritenere che questa disposizione (cioè il comma 3) trovi applicazione unicamente con riferimento alla fattispecie del comma 2.
Ragioni di interpretazione sistematica porterebbero ad aderire al primo indirizzo, mentre ragioni di ordine pratico ed operativo suggeriscono di seguire il secondo, in particolare nelle realtà dove la regione si è orientata a non dare piena attuazione di alcune disposizioni, in quanto ritenute ormai obsolete.
È noto che tali questioni hanno trovato origine nel documento conclusivo elaborato dal Gruppo di lavoro (istituito dal Ministero della salute, con D. M. 13 ottobre 2004 ) per la elaborazione e formulazione di proposte di modifica normativa, in ambito sanitario, non solo in termini di “semplificazione”, ma soprattutto, per l’individuazione di pratiche da qualificare quali inutili, documento che è stato approvato dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome  (http://www.regioni.it/upload/semplificazione_procedure_sanitarie.pdf)  il 9 febbraio 2006.
In tale Documento conclusivo sono considerate numerose delle funzioni elencate in precedenza quali compiti e funzioni delle ASL, che hanno portato ad esiti non sempre coerenti, meno ancora omogenei, nel senso che la natura del Documento conclusivo è semplicemente quella di un elaborato di proposte, che potrebbero, o dovrebbero, essere assunte a base di modifiche legislative, quando interessanti norme di rango primario, oppure di modifiche regolamentari, quanto interessanti norme di rango secondario, con la conseguenza che le regioni, una volta approvatolo, in sede di loro Conferenza (non manca il caso della D.G.R. [Umbria] n. 296 del 22 febbraio 2006 con cui, di seguito all’approvazione in sede di tale Conferenza delle regioni e province autonome, vi è stato un suo “recepimento” sic!), avrebbero dovuto tradurre questa approvazione in adozione di atti normativi, di diverso rango, e, per quanto qui interessa, con l’adozione di norme regolamentari che, nell’ambito della regione, avrebbero prodotto la disapplicazione delle norme del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. con riguardo ai singoli aspetti considerati, venendosi di seguito ad applicare le norme regolamentari regionali adottate conseguentemente.
Non interessa più di tanto la valutazione nel merito delle proposte formulate dal predetto Documento conclusivo, rilevando unicamente come alcune delle “pratiche” considerate esauriscano le proprie funzionalità nell’ambito regionale, spesso del singolo comune, come è nei casi (e.g.) degli accertamenti, e relative certificazioni, sull’idoneità igienico-sanitaria delle rimesse delle auto-funebri, all’assistenza alle operazioni di esumazione od estumulazione, al rilascio di pareri per la costruzione di edicole funerarie e di sepolcri privati, mentre altre “pratiche” non sono così agevolmente affrontabili nell’ambito della singola regione che adotti norme regolamentari di modifica in proposito, come è nel caso del c. d. trattamento antiputrefattivo, degli accertamenti, e relative certificazioni, sull’idoneità igienico-sanitaria delle auto-funebri, delle certificazioni dei medici in caso di richiesta di cremazione, degli accertamenti sulla conformità del feretro, e del suo confezionamento, in relazione alla tipologia, ed epoca, del trasporto, ai mezzi impiegati per il trasporto, alla distanza e durata del trasporto, nonché alla pratica funeraria caso per caso richiesta.
Al di là di ogni valutazione su queste problematiche, non può ignorarsi come questi effetti si siano prodotti.


[1] Per questo motivo è stata mantenuta l’indicazione frazionaria, pur in presenza di differenti titolazioni.
[2] Per l’utilizzo, in precedenza, del termine “comune” e qui per la figura del “coordinatore sanitario”, si fa rinvio al precedente intervento attorno all’art. 88 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.

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Sereno Scolaro

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