L’appartenenza a famiglia bisognosa – 1/2

Introduzione

Come largamente noto (il grado di applicazione è altro, pur se sia decorso più di un ventennio), l’art. 1, comma 7-bis D.-L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito in L. 26 febbraio 2001, n. 26 (in vigore dal 2 marzo 2001) prevede:
Il comma 4 dell’articolo 12 del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 359, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 440, si interpreta nel senso che la gratuità del servizio di cremazione dei cadaveri umani di cui al capo XVI del regolamento di polizia mortuaria, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, nonché del servizio di inumazione in campo comune, è limitata alle operazioni di cremazione, inumazione ed esumazione ordinaria nel caso di salma di persona indigente, o appartenente a famiglia bisognosa o per la quale vi sia disinteresse da parte dei familiari.
I predetti servizi sono a pagamento negli altri casi. L’effettuazione in modo gratuito del servizio di cremazione e del servizio di inumazione non comporta, comunque, la gratuità del trasporto del cadavere o delle ceneri, cui si applica l’articolo 16, comma 1, lettera a), del citato regolamento, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990.
”.
Si tratta di una disposizione che, non solo ha conservato quell’equiparazione tra inumazione (in campo comune) (ed esumazione ordinaria dal campo comune) e cremazione, che era stata introdotta dalla norma citatavi quali servizi pubblici, ma – soprattutto – ha delimitato i soli casi di gratuità che in questo ambito sono legittimamente ammessi.
Come forse noto, la disposizione è stata a suo tempo introdotta per affrontare una questione che talora veniva sollevata, quella per cui la gratuità della cremazione sembrava non tenere conto del fatto che frequentemente la cremazione non poteva eseguirsi nel comune di decesso (o, di residenza in vita della persona defunta) dal momento che gli impianti di cremazione costituiscono strutture operanti in termini di bacino territoriale più esteso rispetto alle singole circoscrizioni territoriali dei comuni, con ciò determinando l’esigenza di un trasporto del feretro al luogo di cremazione (e, ritorno; Cfr.: art. 26, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.), laddove alcune interpretazioni ipotizzavano, con qualche fantasia, che la gratuità della cremazione si estendesse anche agli oneri per il trasporto del feretro (e, successivamente, dell’urna cineraria) dal comune di decesso al comune in cui era presente l’impianto di cremazione.
Si trattava di ipotesi che non teneva conto del fatto che il trasporto è (sarebbe?) comunque a titolo oneroso anche nell’ipotesi, tutt’altro che infrequente, in cui l’inumazione (in campo comune) dovesse avvenire in comune diverso rispetto a quello di decesso, come può accadere quanto non vi sia coincidenza tra comune di decesso e comune di residenza in vita della persona defunta (Cfr.: art. 50, lett. a) D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.).

Ritornando alla norma sopra citata, i casi di gratuità sono limitati alle operazioni di
[1] cremazione,
[2] inumazione,
[3] esumazione ordinaria
nel caso di salma di persona [i]indigente, o [ii] appartenente a famiglia bisognosa o per la quale [iii] vi sia disinteresse da parte dei familiari.
Incidentalmente si segnala come l’uso del termine inumazione sia – unicamente – riferito a quella c.d. in campo comune (a), cioè che va eseguita nei campi di cui all’art. 58 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (con ciò escludendosi (a.1) eventuali inumazioni in sepolcri privati nei cimiteri in cui sussista eventualmente un titolo di accoglimento, e – a maggior ragione – (a.2) ad ogni modalità di “sepoltura” che comporti l’utilizzo della pratica della tumulazione, costituendo questa sempre sepolcro privato nei cimiteri (peraltro non ignorandosi come in alcune realtà illegittimamente accada, per prassi, altro);
che l’esumazione ordinaria (b) – anche questa relativa a pregresse inumazioni in campo comune – va valutata, ai fini della sussistenza delle condizioni di gratuità, con riferimento alla situazione economica sussistente al momento dell’inumazione (cioè, del decesso), dato che l’indigenza della persona defunta non può modificarsi successivamente al decesso.
Dal momento che le condizioni di ammissibilità della gratuità non possono che essere valutate in riferimento al momento del decesso e rispetto al defunto, per cui consegue l’assoluta irrilevanza di eventuali mutamenti della situazione economica di soggetti diversi dal defunto, essendo tali condizioni riferite a questi e non ad altre persone, ancorché familiari, modifiche della situazione economica potrebbero accademicamente verificarsi per la condizione di appartenenza a famiglia bisognosa, dato che qui non si prende in considerazione la persona defunta “isolata”, ma quale inserita in un ambito familiare – ulteriore segnalazione: (c).
A questo punto merita farsi un’altra segnalazione, (d) consistente nel fatto che prendere in considerazione queste situazioni economiche determina che la materia venga ad essere, giuridicamente, pertinente alle funzioni dei servizi sociali del comune di appartenenza in applicazione dell’art. 4, comma 2 L. 8 novembre 2000, n. 328 (“ Sono a carico dei comuni, singoli e associati, le spese di attivazione degli interventi e dei servizi sociali a favore della persona e della comunità, fatto salvo quanto previsto ai commi 3 e 5.”) (ma se ne veda altresì il comma 4), per cui l’accertamento della sussistenza di questa o quella condizioni di gratuità, non può che spettare a questi servizi (che spesso ignorano, non regolano, nulla dicono per il “caso morte” in ragione della loro comprensibile attenzione alle situazioni in atto per le persone in vita).

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Sereno Scolaro

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