Concessioni in perpetuo, che solo “appaiono” tali: rimedi?

Scorrendo la pronuncia del T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 31 gennaio 2023, n. 304 si può leggere:
… In altri termini – a parere del Collegio, ed a differenza di quanto ritenuto dai ricorrenti, allorché hanno parlato di applicazione retroattiva di atti amministrativi successivi – la Commissione straordinaria non ha provveduto ad innovare il regime di pagamento degli oneri concessori dovuti in relazione alla edificazione delle cappelle gentilizie, ma si è solo mossa al fine di colmare la mancanza registrata con le concessioni rilasciate negli anni 2011-2012, in quanto erroneamente non assistite dalla previsione di un obbligo di versamento. …”.
Certo il contenzioso riguardava altra materia come una determinazione degli oneri di concessione relativamente ad un periodo in cui non era stato provveduto.
Tuttavia, quest’indicazione ha fatto emergere altra questione, probabilmente più diffusa.

È noto come fino al 9 febbraio 1976 (essendo il giorno successivo, 10 febbraio 1976, entrato in vigore il D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, venute meno le disposizioni regolamentari che prevedevano che le concessioni cimiteriali potessero avere durata a tempo determinato (e senza limiti, come si ha attualmente), oppure potessero essere in perpetuo.
Si trattava di previsioni presenti nel R. D. 21 dicembre 1942, n. 1880, così come, risalendo all’indietro, nel R. D. 25 luglio 1892, n. 448, nel R. D. 11 gennaio 1891, n. 42.
Erano previsioni regolamentari nazionali che attribuivano ai comuni la facoltà di procedere in un senso o in altro, oppure anche in entrambi, magari differenziando le tipologie di concessioni cimiteriali, di modo che la scelta tra queste 3 possibilità (e all’interno di quella che prevedeva le concessioni cimiteriali a tempo determinato, altresì la scelta relativa alla durata o, meglio, alle durate, potendo anche queste essere differenziate per tipologie.
A titolo di mero esempio, del tutto non esaustivo, in quelle realtà territoriali in cui erano presenti tradizioni di concessioni di aree ai fini dell’impianto di campi a sistema d’inumazione, ben poteva aversi la concessione in perpetuo nelle parti del cimitero destinate a sepolture di famiglia, oppure a tempo determinato (con durate variabili, anche superiori all’attuale limite 99ennale) quando in parti del cimitero destinate a questa tipologia, ma anche a tempo determinato con durate di (relativamente) poco maggiori del turno ordinario di rotazione (es.: 15, 20, 25 anni) nelle parti del cimitero in cui fossero previste sepolture individuali.
Lo strumento principe cui i comuni potevano avvalersi per queste scelte (al plurale!) era, allora come oggi, il Regolamento comunale di polizia mortuaria, anche se non mancano situazioni in cui, in difetto di utilizzo di questo strumento (magari anche per il solo fatto di essere state antecedenti all’entrata in vigore del T.U.LL.SS., R. D. 27 luglio 1934, n. 1265 e s.m.), l’indicazione della durata (in perpetuo oppure a tempo determinato e, in tal caso, le durate per ciascuna specifica tipologia) trovava fonte, spesso, unicamente nell’atto di concessione (ricordando, in via incidentale, quanto prevedeva (sempre fino al 9 febbraio 1976) l’art. 69 R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880.

In forse non poche realtà a partire dal 10 febbraio 1976 è accaduto che gli uffici comunali proseguissero, per qualche tempo, a formulare regolari atti di concessione (a volte, solo nell’ipotesi che le modifiche del Regolamento (nazionale) dovessero trovare “adeguamento” nel Regolamento (comunale), cosa che richiedeva deliberazione del consiglio comunale (e non solo), altre volte per la tardività della non immediata conoscenza del mutamento del Regolamento (nazionale) a causa del fatto che, nel passato, le Gazzette Ufficiali pervenivano utilizzando gli ordinari strumenti dell’ordinario servizio postale).
Non mancano casi, anche se sembrerebbero meno frequenti, in cui qualche consiglio comunale avesse, già prima dell’entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, ritenuto opportuno procedere unicamente a concessioni cimiteriali a tempo determinato, fissandone durate probabilmente differenziate per tipologia e, anche in queste ipotesi, si possono essere avute situazioni in cui per un certo periodo si sia continuato ad utilizzare schemi di regolare atto di concessione (magari pre-stampati di matrice tipografica) recanti l’indicazione della perpetuità.

A mano a mano che emergano queste situazioni, in cui il contenuto testuale del regolare atto di concessione (spesso qualificato quale “contratto di concessione”) cimiteriale (quale ne sia la forma) risulti essere incoerente, o, meglio, in contrasto con le disposizioni regolamentari in vigore al momento della sua stipula, sorgono criticità, in particolare dovendosi considerare come i concessionari si siano presuntivamente trovati ad operare in condizioni di bona fide, non potendosi imputare loro i comportamenti posti in essere dagli uffici comunali, per cui non può evitarsi di considerare come si possa essere consolidato in capo ai concessionari (o, loro aventi causa) un certo quale affidamento, che notoriamente costituisce un “bene” meritevole di tutela.
Non si fa riferimento alle disposizioni della L. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m. in materia di annullamento della concessione a suo tempo posta in essere e, per questo, neppure alle situazioni che lo consentirebbero “in ogni tempo”, per l’elementare fatto che la questione non si colloca in questo ambito, ma piuttosto all’ipotesi di una “rettifica”, non della concessione in quanto tale, ma avente ad oggetto alcune indicazioni contenute nel regolare atto di concessione, nel senso che il comportamento di “isteresi” amministrativa (cioè, la non tempestiva coincidenza tra le norme regolamentari che regolano la durata rispetto alle indicazioni di questa contenute nel regolare atto di concessione) ha determinato un “errore”, qualificabile quale “errore materiale” per le vicende che l’hanno determinato, anche come presa d’atto della buona fede anche da parte degli uffici comunali, all’epoca della formazione del regolare atto di concessione.
In altre parole, non è la concessione, in quanto tale, ad essere oggetto di rettifica, bensì il (solo) testo del regolare atto di concessione e limitatamente a questo elemento.

Ben potrebbe aversi che i concessionari (o, loro aventi causa) possano “percepire” una “rettifica” avente un tale contenuto come una qualche lesione della propria posizione soggettiva, rivendicando, anche comprensibilmente stante la loro bona fide, la conservazione di un elemento (la durata), quale materialmente, ed originariamente, indicato nel regolare atto di concessione.
Anzi, si può comprendere come i concessionari (o, loro aventi causa) possano ancor di più incorrere in una tale percezione quanto quelle situazioni di cui è stata data considerazione emergano in una qualche prossimità temporale di una durata a tempo determinato ormai prossima alla sua “naturale” scadenza.
Di maggiore criticità, parrebbe la situazione in cui non risultino, nelle norme che inizialmente dovrebbero avere trovato applicazione, una definizione della durata a tempo determinato, magari unicamente per una data tipologia (o per alcune tra le tipologie localmente presenti), dove non può che riconoscersi che la durata, come “rettificanda”, non possa che essere se non quella data (oggi) dall’art. 92 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. oppure, a seconda dell’epoca e del riferimento temporale e normativo, dell’art. 93 D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803 (oppure, nei casi di “scelte” adottate dal consiglio comunale prima di questo ultimo, dalla data di esecutività della relativa deliberazione e, se questa abbia comportato modifica del Regolamento (comunale) di polizia mortuaria, dalla data di efficacia di questo strumento regolamentare.
Ecco che la pronuncia da cui si è partiti, trova una sua collocazione anche in queste (difficili) contingenze.

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Sereno Scolaro

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