Salme senza…”tempo”?

Le cronache locali, con un particolare gusto letterario, a mezzo tra il bello ed il terribile, secondo la fortunata formula leopardiana, da diverso tempo dedicano ampio spazio all’inconsunto cimiteriale, un curioso fenomeno medico-legale terribilmente serio, che rischia di sconvolgere tutta la gestione dei sepolcreti italiani.
C’è pure, con qualche compiacimento noir, chi si diverte a stilare una vampiresca hit parade delle località dove i morti non sono corrosi dalla putredine.
La ricca città lombarda di Mantova, ad esempio, parrebbe seconda solo a Venezia nella singolare classifica d’esumazioni ordinarie in cui, dopo i 10 anni di sepoltura legale, si rinvengono corpi perfettamente (o parzialmente) intatti.
Gli ultimi dati parlano di un 30 per cento di cadaveri in parte o del tutto non mineralizzati, anche dopo decenni di ripetuti e vani interramenti.
Quest’insolito primato è, principalmente, dovuto alle caratteristiche climatiche ed alla composizione del terreno.
La presenza di una forte componente argillosa nei campi di inumazione favorirebbe un indesiderato effetto di impermeabilizzazione attorno al feretro, riproducendo naturalmente gli stessi inconvenienti propri delle casse metalliche.

Secondo i responsabili delle diverse società che erogano i servizi cimiteriali sull’intero territorio nazionale, per conto dei comuni, soprattutto nelle grandi città, la responsabilità di questi frequenti casi di mummificazione sarebbe imputabile:

  • alle stesse vernici sintetiche, con cui sono trattati i cofani;
  • agli abiti, che la salma indossa, realizzati con fibre sintetiche;
  • alla somministrazione di medicinali con notevole potere antibiotico (chemioterapie, antisettici…) quando il defunto era ancora in vita;
  • alla caratteristica del terreno roccioso o sabbioso in cui il cadavere è sepolto;
  • al confezionamento del feretro (per trasporto oltre i 100 KM è sempre d’obbligo la doppia cassa di legno e metallo di cui all’Art. 30 DPR 285/1990);
  • all’inefficienza degli squarci limitati al solo coperchio ex Art. 75 comma 2 per quei feretri destinati all’interro, ma costituiti dalla doppia cassa (si veda il punto precedente);
  • al trattamento antiputrefattivo di cui all’Art. 32 DPR 285/1990 (che molte regioni, ormai, tendono a disapplicare);
  • alla saturazione dei terreni cimiteriali, dopo ripetuti cicli di inumazione;
  • all’improvvisa risalita della falda freatica (nonostante il generale abbassamento delle vene acquifere dovute al forte emungimento dai pozzi per fini industriali);
  • all’errato confezionamento del feretro (si veda a tal proposito paragrafo 9.1 Circ.Min. 24 giugno 1993 n. 24) a causa dell’impiego di materiali non perfettamente biodegradabili (imbottiture in primis);
  • ad un errore di fondo nella progettazione del cimitero (il terreno deve rispondere ai requisiti di cui al capo X del DPR 285/1990 non sempre rispettati in molte parti d’Italia);
  • alla conservazione in cella frigorifera del cadavere solo pochi minuti prima dell’incassamento con relativa chiusura (il freddo inibisce l’azione degli agenti putrefattivi);
  • allo “svuotamento” delle viscere dovuto ad autopsia/riscontro diagnostico (sono proprio le parti molli del ventre, fegato compreso, le prime a subire l’aggressione batterica e ad “infettare” gli altri tessuti);
  • siccome si è dimostrato come la combinazione perversa di questi elementi sarebbe in grado di arrestare l’attività di quei batteri che conducono alla dissoluzione della materia organica.

Da circa 10 anni si rileva con sempre maggior frequenza come anche i cadaveri sepolti in terra manifestino elevate percentuali di mancata o imperfetta scheletrizzazione, forse anche perché nelle stesse quadre d’inumazione si seppellisce da troppo tempo, senza lasciare al terreno la capacità di rigenerarsi e digerire i liquami putrefattivi.
Questo dato allarmante per la programmazione delle aree sepolcrali, inizialmente avvertito nel corso delle esumazioni, decennali (20% di inconsunti, con punte in zone umide del 70-80%) è solo agli inizi e toccherà il culmine quando inizieranno le estumulazioni di massa dei feretri sepolti in nicchia muraria dagli anni ’60 in avanti, in quel periodo, infatti, con il boom economico anche il ceto medio e la piccola borghesia cominciarono a convertirsi alla tumulazione, pratica funeraria, sino a quel momento, riservata alle èlites.
La prima regola per ovviare a questo grave problema potrebbe esser l’eliminazione della siringazione del cadavere con la formalina, magari limitandone l’uso a casi molto particolari (esempio i trasporti internazionali) oppure imponendo la sostituzione della formalina con altra sostanza “fissante”, ma meno tossica in grado di bloccare solo temporaneamente l’insorgere della decomposizione cadaverica dovuta alla dissoluzione delle catene molecolari.
Il legislatore, però, dovrà considerare anche l’impatto, sul problema dell’inconsunto cimiteriale, dovuto all’introduzione di nuovi servizi mortuari quali la tanatoprassi.
Se 500 cc di aldeide formica sono sufficienti a conservare integra una salma per decenni, un numero sempre maggiore di cadaveri, sottoposti a più profondi trattamenti conservativi, infinitamente più efficaci, come appunto accade per la tanatoprassi, potrebbe condurre entro pochi anni alla completa paralisi del sistema cimiteriale italiano.

La seconda soluzione, secondo esperti e tecnici dei ministeri, consisterebbe nello sperimentare nuove forme di sepoltura a scheletrizzazione accelerata.
Nel caso d’interramento del corpo, si potrebbe individuare una sorta di camera d’aria che circondi la bara, da abbinare alla tradizionale sepoltura con terra tutt’intorno al feretro.
Si potrebbe pensare ad una sorta di “scatola” in materiale non immediatamente biodegradabile che avvolga la cassa, tenendola separata dalle zolle di terra per un tempo sufficiente ad attivare i batteri aerobi. [1]
La presenza ed il ricircolo di composti aeriformi, infatti, accelera notevolmente i processi ossidativi.
L’alzata per il livello di posa del feretro ad un massimo di 1,5 metri (contro i 2 metri attuali) dal piano di campagna potrebbe, poi, essere un ulteriore espediente, capace di favorire il filtraggio dell’acqua piovana, altro importante elemento per la consunzione dei corpi inumati.


[1] Si tratta dei microrganismi che aggrediscono la materia organica in presenza di aria grazie a processi ossidativi.

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Carlo Ballotta

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