Il paradosso del monopolio invertito

Quale sarà il rapporto tra conduzione delle camere mortuarie ed attività funebre di tipo commerciale?
Se ne è parlato in un recente convegno, tenutosi a Torino nel dicembre scorso.
Secondo diversi commentatori e giuristi tra queste due fasi dell’evento funerale il discrimen è fortissimo: il deposito d’osservazione, infatti, anche se gestito con capitali privati, dovrebbe pur sempre rimanere un momento istituzionale, magari soggetto ad un particolare regime autorizzatorio da parte dei pubblici poteri, mentre altre funzioni di polizia mortuaria più legate alle estreme onoranze, ossia alla parte più rituale, potrebbero esser del tutto liberalizzate e trasferite ai privati.
Chi avesse il controllo del servizio mortuario (Ex DPR 14 gennaio 1997 e Legge 12 febbraio 1968 n. 132) delle strutture ospedaliere, in cui i cadaveri sostano per il periodo d’osservazione previsto dalle legge, godrebbe di un indubbio privilegio, perché, da una posizione di forza, potrebbe prender accordi con i dolenti per organizzare la cerimonia funebre; dopo tutto il morto sarebbe pur sempre ospite entro le mura di una camera mortuaria riconducibile alla stessa impresa funebre che si offre per eseguire anche il servizio.
Il principio è chiaro ed assolutamente condivisibile, due pronunciamenti, rispettivamente del giudice amministrativo in Lombardia e Campania hanno sentenziato l’assoluta incompatibilità tra impresa funebre e funzioni di polizia mortuaria all’interno dei nosocomi (trasferimento salme dalle corsie dei reparti alla camera mortuaria, vestizione, tenuta del registro…). C’è, a questo proposito una recente disposizione normativa della Regione Lombardia (Art. 35 comma 2 del regolamento regionale 9 novembre 2004 n. 6) di una chiarezza disarmante. Esso infatti stabilisce come la movimentazione delle salme all’interno di ospedali e presidi sanitari non sia mai riconducibile al trasporto funebre in quale, invece, è legittimamente materia delle imprese di estreme onoranze.
Una soluzione praticabile potrebbe esser la separazione proprietaria in questo senso: non ci deve esser nessun collegamento tra la direzione, infermieri o necrofori del deposito d’osservazione e chi allestisce la cerimonia del commiato commercializzando beni (cassa, arredi, accessori) e prestazioni speciali come il trasporto con apposito veicolo.
Teoricamente, la formulazione di un precisa norma limitativa sarebbe piuttosto semplice, ma la realtà del diritto societario italiano presenta diverse zone d’ombra, di cui qualcuno potrebbe indebitamente approfittare per instaurare un dominio di fatto sul settore funerario di determinati contesti locali.
Esistono, infatti, artifizi giuridici e contabili per aggirare questo divieto formale, soprattutto a favore delle imprese private, mentre le aziende municipalizzate non potrebbero approfittare di questi paraventi amministrativi (fiduciarie, prestanomi…)
Il legislatore, allora per tutelare la concorrenza dovrebbe prevedere un diverso strumento come la separazione societaria (già per altro dettato dalla legge sulla concorrenza), in caso contrario il settore pubblico subirebbe una fortissima contrazione ed un rapido declino.
Il problema si complicherà non poco con l’avvento delle case funerarie, ossia di quei luoghi idonei per continuare il periodo d’osservazione delle salme ed allestire i riti esequiali, siccome le sale del commiato (formulazione italiana con cui intendere la funeral home) potrebbero tranquillamente nascere e svilupparsi grazie ad investimenti dell’imprenditoria funeraria privata.
Le due fasi di cui si ragionava prima (deposito d’osservazione ed apparecchiamento del funerale), quindi, arriverebbero a sovrapporsi, in quanto l’impresa funebre che attende alle esequie eroga, entro locali di sua proprietà, anche il servizio di camera mortuaria.
E’ d’obbligo almeno un’ osservazione per cercare di delineare meglio i termini della questione
Nei paesi dove il sistema delle case funerarie è stato pienamente recepito ed integrato negli usi del cittadino medio (dove, quindi, la funeral home è un fenomeno di massa) le sale del commiato sono gestite da privati che si occupano anche di onoranze funebri, dunque un punto di equilibrio può e deve esser individuato.
Non dobbiamo dimenticare il giro d’affari delle case per anziani: con l’invecchiamento generale della popolazione e l’insorgere sempre più frequente di disturbi comportamentali (demenze) o perdita dell’autosufficienza, dovuta a problemi fisici, le strutture protette dovranno nei prossimi anni far fronte ad una domanda pressante di posti letto ed assistenza integrata che non ha mai avuto pari nella storia d’Italia.
Le regioni ed i comuni, impossibilitati a rispondere in prima persona a tutte le istanze di ricovero, anche definitivo, previste nei prossimi anni, stanno coinvolgendo, attraverso convenzioni ed accreditamenti, anche i privati in questa necessario piano socio-assistenziale, così da assicurare, almeno nel medio periodo, una valido rimedio ad un simile dramma delle famiglie italiane.
Nessuna legge vieta ai titolari di imprese funebri di costruire ospizi e ricoveri o di partecipare al loro capitale azionario, non esiste pertanto alcun conflitto di interessi.
Un anziano che dovesse morire durante il soggiorno in una R.S.A. (residenza socio assistenziale) di proprietà riconducibile ad un imprenditore di onoranze funebri decederebbe pur sempre, quale ospite, in “casa” dell’impresario che potrebbe attuare tutti gli stratagemmi per acquisire il funerale, siccome anche il personale (medico, paramedico ed addetti all’assistenza di base) è pur sempre alle sue dipendenze ed esistono 1000 sottilissimi espedienti per orientare la scelta di un dolente.
Come si potrebbe tutelare la libera competizione in questo frangente?
Questo nostro quesito così provocatorio ed impertinente potrebbe persino risultare giusto, non vi pare?

Written by:

Carlo Ballotta

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