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Consiglio di Stato, Sez. V, 18 gennaio 2017, n. 206
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2115 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da Vincenzo Caramanna e Antonio Brancato, rappresentati e difesi dagli avv. Alessandro Palmigiano, Licia Tavormina, con domicilio eletto presso lo studio del primo, sito in Palermo, via Wagner n.9;
contro
– il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ezio Tomasello, con domicilio eletto presso l’Avvocatura della medesima Amministrazione sita in Palermo, piazza Marina n. 39;
nei confronti di
– Gesip s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
a) quanto al ricorso introduttivo:
– dell’ordinanza sindacale n. 301 del 3 settembre 2010 avente ad oggetto la carenza dei posti salma;
– di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali;
b) quanto al ricorso per motivi aggiunti:
– dell’ordinanza sindacale n. 27 del 3 febbraio 2011 avente ad oggetto la carenza dei posti salma;
– di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Palermo;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il dott. Giuseppe La Greca;
Udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 20156 il procuratore della parte ricorrente come specificato nel verbale; nessuno presente per il Comune di Palermo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso introduttivo i ricorrenti, titolari a diverso titolo di concessione di diritto di sepoltura, hanno impugnato l’ordinanza del Sindaco di Palermo n. 301 del 3 settembre 2010 con la quale è stato disposto, ai sensi dell’art. 50 del d. lgs. n. 267 del 2000, in attesa dell’inumazione delle salme presso le fosse assegnate, la relativa allocazione nei loculi di sepoltura privata per il periodo necessario all’ultimazione dei lavori di messa in sicurezza del costone roccioso di Monte Pellegrino che inibisce l’utilizzo dei campi nelle zone “A” e “B”.
Il ricorso si articola in tre motivi di doglianza con i quali si deducono i vizi così rubricati:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 54 del d. lgs. n. 267 del 2000; eccesso di potere sotto vari profilo ed incompetenza. Sostiene parte ricorrente che non sussisterebbe nessuna situazione di effettivo pericolo di danno grave ed imminente per l’incolumità pubblica che legittimerebbe l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente per motivi sanitari secondo quanto previsto dall’art. 50 del d. lgs. n.2 67 del 2000;
2) Violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere sotto diversi ulteriori profili poiché il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in assenza di un’adeguata e preventiva istruttoria, ciò che si ripercuote anche sulla motivazione dello stesso rendendola, in tesi, difettosa;
3) Violazione e falsa applicazione del d. lgs. n. 267 del 2000 ed eccesso di potere per difetto di presupposto e sviamento. L’ordinanza impugnata è priva del termine finale di efficacia, requisito indispensabile per la sua validità.
Con successiva ordinanza n. 27/2011, l’Amministrazione ha reiterato il provvedimento contingibile ed urgente e, a differenza, della prima ordinanza, ne ha limitato la durata al periodo di vigenza di un’ulteriore ordinanza (n. 414/2010) al cui contenuto ha rinviato.
Tale ordinanza n. 27/2011 è stata impugnata con ricorso per motivi aggiunti ed avverso la stessa sono state reiterate le censure già rivolte avverso il primo provvedimento. Con riferimento a siffatto termine di efficacia dell’ordinanza, parte ricorrente ha dedotto che l’ordinanza n. 414/2010 altro non sarebbe che un provvedimento di proroga di un’ulteriore altra precedente ordinanza (n. 163/2008).
Si è costituito il Comune di Palermo il quale, con distinte memorie, ha chiesto il rigetto dei due ricorsi. La parte pubblica ha eccepito la carenza di interesse alla coltivazione della domanda di annullamento considerata l’assenza di effetti, allo stato, delle ordinanze nei confronti dei ricorrenti ed in relazione alla presunta carenza, nei loro confronti, di danni o limitazioni dei diritti.
In relazione al censurato difetto di motivazione ha chiesto farsi applicazione del disposto di cui all’art. 21-octies l. n. 241 del 1990 ed ha comunque chiesto il rigetto dell’intero gravame.
All’udienza pubblica del 28 gennaio 2016, presente il procuratore di parte ricorrente che si è riportato alle già rassegnate domande e conclusioni, il ricorso, su richiesta dello stesso, è stato trattenuto in decisione.
In primo luogo rileva il Collegio, in relazione all’eccezione pregiudiziale sollevata dalla difesa del Comune resistente, che non è dubitabile l’interesse dei ricorrenti alla proposizione del presente gravame, a fronte di un provvedimento, quale quello impugnato, che incide unilateralmente sui benefici derivanti da atti concessori precedentemente adottati in suo favore (in termini, T.A.R. Sicilia, Palermo, n. 2180 del 2014).
Ciò premesso, ritiene il Collegio che non ci siano ragioni per discostarsi da quanto deciso da questo Tribunale in relazione a vicende analoghe a quella oggetto dell’odierno giudizio (cfr. tra le diverse
Sentenza n. 280 del 2014, qui richiamata ai sensi dell’art. 74 cod.proc. amm.).
Il ricorso merita dunque accoglimento in ragione della fondatezza della censura articolata da parte ricorrente secondo la quale i provvedimenti impugnati non indicano, con certezza, il limite temporale della loro efficacia, come avrebbero dovuto, rientrando nel novero delle ordinanze contingibili ed urgenti.
E’ noto che tali atti costituiscono una sorta di provvedimenti extra ordinem, in quanto derogano al principio di tipicità che normalmente presiede alla adozione dei provvedimenti amministrativi, al fine di consentire alla P.A. di sopperire a situazioni straordinarie ed urgenti che non potrebbero essere efficacemente fronteggiate attraverso l’uso dei poteri autoritativi ordinariamente previsti in capo all’amministrazione.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale e del Giudice Amministrativo ha però individuato dei precisi limiti che devono comunque essere rispettati nell’adozione di tali atti, al fine di evitare che tale strumento, che si pone già ai limiti del principio di legalità – sul quale è fondato l’intero Ordinamento – possa legittimare atti slegati da alcun paradigma normativo con effetti pesantemente incidenti sulla realtà fattuale e giuridica.
Anche a volere seguire le ricostruzioni giurisprudenziali più estensive, secondo le quali l’adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti è giustificata anche a fronte di situazioni determinatesi a seguito di una colpevole inerzia della stessa amministrazioni – in quanto condizione che non fa venir meno l’emergenza che, in ipotesi, si è venuta a determinare – costituisce, ai fini che interessano, limite invalicabile di tali atti la loro temporaneità, attraverso l’indicazione di una data certa oltre la quale perdono efficacia.
La necessità di tale limite temporale è connessa non soltanto alla stessa natura “contingibile” degli atti di cui si discute, ma all’ancora più pregnante rilievo che solo in via temporanea può essere consentito l’uso di strumenti extra ordinem, che permettono la compressione di diritti ed interessi privati con mezzi diversi da quelli tipici indicati dalla legge.
Nel nostro ordinamento per gli interventi non temporanei, nei limiti strettamente necessari, l’amministrazione deve provvedere attraverso gli ordinari strumenti specificatamente ed analiticamente disciplinati dalla legge.
Applicando tali principi alla vicenda per cui è causa, è errata, in punto di diritto, la tesi articolata dalla difesa del Comune, e posta a fondamento del provvedimento impugnato, secondo la quale le ordinanze contingibili ed urgenti non devono essere necessariamente temporanee; certamente il limite temporale di tali provvedimenti deve essere adeguato al rischio da fronteggiare, ma nel senso che deve essere rapportato al tempo necessario per fronteggiarlo, attraverso gli strumenti ordinari, che devono essere attivati nel più breve tempo possibile, e non in attesa che venga risolto il problema generale da cui il rischio è scaturito, in tempi del tutto incerti.
Non è superfluo ricordare come l’emergenza cimiteriale del Comune di Palermo abbia radici ben più remote rispetto a quelle che le ordinanze impugnate mostrano, come peraltro si evince dalla stessa memoria del Comune allorché fa riferimento all’ormai datata requisizione del cimitero di S.Orsola appartenente all’Ente Camposanto di S. Spirito, ciò che conferma che il carattere di contingibilità della decisione è del tutto difettoso poiché non rapportato al tempo necessario per fronteggiare il rischio con mezzi ordinari ma a quello – necessariamente più lungo ed indeterminato – necessario per la soluzione a regime della vicenda che ha determinato il rischio.
Tali conclusioni non sono infirmate dalla formale previsione nella seconda delle ordinanze impugnate di un termine di efficacia della stessa. Deve convenirsi con la parte ricorrente nel senso di ritenere quel termine sostanzialmente fittizio poiché agganciato alle previsioni di un’ulteriore precedente ordinanza che, a sua volta, ne aveva prorogata un’altra ulteriormente anteriore. Circostanza, questa, che rende il limite temporale quantomeno incerto e, dunque, inidoneo a preservare l’ordinanza immune dalla censura prospettata.
Da ultimo, quanto al difetto d’istruttoria ed al correlato difetto di motivazione, non può accedersi alla tesi di parte resistente volta a suffragare l’applicabilità a siffatto caso del disposto di cui all’art. 21-octies della l. n. 241 del 1990.
Sul punto, deve essere osservato che il difetto di motivazione nel provvedimento impugnato non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la motivazione del provvedimento, ai sensi dell’art. 3, l. 7 agosto 1990 n. 241, il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, cit. l. n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (ciò che rende inammissibile la motivazione postuma addotta dall’amministrazione in sede giudiziale).
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso introduttivo ed i correlati motivi aggiunti devono essere accolti con conseguente annullamento, per quanto di ragione, dei provvedimenti impugnati.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo; le stesse vanno dichiarate irripetibili nei confronti della Gesip s.p.a., non costituita n giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, annulla per quanto di ragione i provvedimenti impugnati.
Condanna il Comune di Palermo alla rifusione, in favore della parte ricorrente, delle spese processuali e degli onorari di causa che liquida in complessivi euro 1.000,00 (euro mille/00), oltre accessori come per legge; dichiara irripetibili le spese nei confronti della Gesip s.p.a., non costituita in giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Anna Pignataro, Primo Referendario
Giuseppe La Greca, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)