Tar Puglia, Sez. II, 31 luglio 2014, n. 2055

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Tar Puglia, Sez. II, 31 luglio 2014, n. 2055
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce – Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 454 del 2013, proposto da:
Luigi Grimaldi, rappresentato e difeso dall’avv. Tommaso Millefiori, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via Mannarino 11/A;
contro
Comune di Taviano, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Baldassarre, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via Imperatore Adriano, 9;
per l’annullamento
– della determinazione n. 104/R.G. dell’1 febbraio 2013 (comunicata al ricorrente con nota prot. n. 2338 del 21 febbraio 2013 spedita a mezzo racc. a.r. e ricevuta il 25 successivo);
– di tutti i relativi atti presupposti, connessi e/o consequenziali ed in particolare della deliberazione di Giunta Comunale n. 20 del 28 gennaio 2013, conosciuta dal ricorrente attraverso il richiamo della stessa contenuto nella nota di comunicazione prot. n. 2338 del 21 febbraio 2013;
– di tutti gli atti di indizione della nuova procedura di gara;
con condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni in forma specifica, mediante stipula del contratto in favore della ricorrente, ovvero per equivalente;
in subordine, per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento per equivalente a titolo di responsabilità precontrattuale;
in ulteriore subordine per la determinazione e corresponsione in favore del ricorrente dell’indennizzo ex art. 21 quinquies L. n. 241/90;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Taviano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2014 il dott. Marco Rinaldi e uditi nei preliminari i difensori avv. T. Millefiori per il ricorrente e avv .F.sco Baldassarre per la P.A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con determinazione dirigenziale n 648 del 2 novembre 2012 il Comune di Taviano decideva di indire una procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara ex artt. 122, comma 7, e 57, comma 6, del D.Lgs 163/2006 per l’appalto dei lavori riguardanti la realizzazione di n. 52 loculi presso il cimitero comunale da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso: il ricorso alla procedura negoziata era giustificato dall’ente locale in ragione dall’assenza di loculi.
La stazione appaltante invitava a partecipare alla procedura negoziata sei imprese: tuttavia soltanto l’odierna ricorrente presentava l’offerta, sicchè i lavori venivano aggiudicati all’unica offerente, la quale veniva, altresì, invitata a stipulare il contratto e a prestare la cauzione definitiva nonché a versare i diritti di segreteria e di registrazione (aggiudicazione definitiva del 29 novembre 2012 e invito alla stipula del contratto del 20 dicembre 2012).
1.1. Con determina dirigenziale del 21 febbraio 2013 l’amministrazione comunale, re melius perpensa, revocava l’aggiudicazione definitiva precedentemente disposta in favore dell’odierna ricorrente, unica partecipante alla procedura negoziata, con la seguente motivazione:
1) ” pur avendo effettuato la gara con ‘procedura negoziata’ con invito a n 6 ditte a presentare offerta, in pratica non sembra esserci stato alcun confronto concorrenziale perché alla gara stessa ha partecipato una sola ditta, con una offerta in ribasso dello 0,1%, assolutamente non conveniente per la amministrazione comunale (probabilmente si sarebbe ottenuto una migliore offerta contrattando direttamente con una sola ditta);
2) “pur non rilevandosi profili di illegittimità nella procedura, sicuramente vi sono motivi di inopportunità nell’affidamento di una gara a procedura negoziata quando alla gara stessa, pur avendo invitato sei ditte, è stata presentata una sola offerta con un ribasso dello 0,1″”.
Il Comune di Taviano decideva quindi di indire una procedura aperta per la realizzazione di n. 52 loculi all’interno del cimitero comunale e procedeva, in data 13 marzo 2013 alla pubblicazione del relativo bando: alla nuova gara pubblica, aggiudicata alla ditta Melle Ettore partecipavano venti imprese.
2. Nel presente giudizio la ricorrente ha impugnato la determina dirigenziale con cui l‘ente locale ha deciso di revocare l’aggiudicazione definitiva precedentemente disposta in suo favore e di indire una nuova gara deducendo plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere; in subordine ha chiesto la condanna dell’Amministrazione al risarcimento per equivalente a titolo di responsabilità precontrattuale e, in ulteriore subordine, la corresponsione dell’indennizzo ex art. 21 quinquies L. n. 241/90.
3. Si è costituta in giudizio la stazione appaltante contrastando diffusamente le avverse pretese e deducendo di aver, in ogni caso, già refuso le spese sostenute dal ricorrente per la partecipazione alla procedura negoziata.
4. Alla camera di consiglio dell’11 aprile 2013 il Collegio rigettava l’istanza cautelare formulata in via incidentale dalla ditta ricorrente.
5. La causa veniva introitata per la decisione all’udienza pubblica del 9 luglio 2014.
6. Il ricorso merita solo parziale accoglimento.
6.1. Il motivo di ricorso con cui sono impugnati gli atti con cui la stazione appaltante, in esito alla revoca dell’aggiudicazione definitiva precedentemente disposta in favore della ricorrente, ha deciso di indire una procedura aperta per la realizzazione dei lavori per cui è causa va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse.
La parte ricorrente, infatti, non ha impugnato, autonomamente o con motivi aggiunti, l’aggiudicazione definitiva successivamente disposta in favore della ditta Melle Ettore resasi aggiudicataria: l’eventuale annullamento del bando non sarebbe, pertanto, in grado di rimuovere la lesione arrecata dal successivo provvedimento di aggiudicazione, divenuto inoppugnabile. dovendosi escludere che tra i due atti sussista un nesso di presupposizione necessaria, con conseguente effetto di caducazione automatica.
Come precisato da Cons. St., VI n. 5748 del 2012, il principio secondo cui la tempestiva impugnazione dell’atto presupposto esime dall’onere di impugnare l’atto consequenziale, al quale si estende l’effetto caducante derivante dall’annullamento dell’atto presupposto, non può trovare applicazione nel caso in cui l’atto consequenziale incide in via immediata e diretta sulla posizione di soggetti terzi rispetto al giudizio instaurato contro l’atto presupposto.
In tal caso, vi è onere di impugnare anche l’atto consequenziale e di notificare l’impugnazione al soggetto controinteressato o vi è quanto meno l’onere di integrare il contraddittorio in relazione all’originario giudizio contro l’atto presupposto.
Infatti, la giurisprudenza ha chiarito che l’annullamento dell’atto presupposto non può comportare l’automatica caducazione dell’atto consequenziale, quando l’atto posteriore abbia conferito un bene o una qualche utilità ad un soggetto non qualificabile come parte necessaria nel giudizio che ha per oggetto l’atto presupposto (Cons. St., sez. VI, 30 ottobre 2001 n. 5677; Id., sez. V, n. 447/1994; Cons. giust. sic., n. 154/1996; n. 398/1997).
Tale principio esonera il ricorrente dall’onere di impugnare tutti gli atti strettamente esecutivi e conseguenti rispetto a quello presupposto impugnato a condizione che con tali atti non vengano in gioco posizioni di terzi, in quanto tale eventualità comporta la necessità di consentire la loro difesa in giudizio non già attraverso il rimedio dell’opposizione di terzo, che costituisce pur sempre una patologia del processo, ma attraverso la notificazione del ricorso da proporre avverso l’atto conseguente (Cons. St., sez. VI, 3 maggio 2007 n. 1948).
6.2. Il motivo di ricorso con cui si deduce l’illegittimità del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione per violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990 è inammissibile non avendo la parte ricorrente puntualmente allegato le circostanze che intendeva sottoporre al vaglio dell’Amministrazione.
La giurisprudenza ha, infatti, chiarito che l’ art. 21 octies, comma 2,1. n. 241 del 1990, pone in capo all’Amministrazione (e non al privato) l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso. Tuttavia, onde evitare di gravare la p.a. di una probatio diabolica, quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento, risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbero introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione (che la norma implicitamente pone a suo carico), la p.a. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato. Ne consegue che ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio per contestare la legittimità del provvedimento adottato dall’Amministrazione, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all’Amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile” (Consiglio di Stato, sez. IV 15/07/2013 n. 3861).
6.3. Le ulteriori censure con cui si deduce l’illegittimità del provvedimento di revoca non meritano accoglimento.
Non essendo ancora intervenuta la stipula del contratto, l’Amministrazione poteva revocare l’aggiudicazione definitiva. Ai sensi del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 la fase della scelta del contraente, conclusa con l’aggiudicazione definitiva, risulta distinta da quella, successiva, della stipulazione e conseguente esecuzione del contratto, pur costituendone il necessario presupposto funzionale, considerato che l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta (art. 11, comma 7, primo periodo, del codice) e che, pur divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, prima della stipulazione resta comunque salvo “L’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti” (art. 11, comma 9). Il vincolo sinallagmatico nasce perciò soltanto con il separato e distinto atto della stipulazione del contratto quando, essendo stata fino a quel momento irrevocabile soltanto l’offerta dell’aggiudicatario (art. 11, comma 7, secondo periodo), l’amministrazione a sua volta si impegna definitivamente.
La scelta dell’Amministrazione di procedere alla revoca dell’aggiudicazione definitiva e, più in generale, dell’intera procedura negoziata (scelta desumibile dalla contestuale indizione di una procedura aperta), motivata dalla circostanza che alla procedura negoziata aveva partecipato una sola impresa delle sei ditte invitate offrendo un ribasso irrisorio (pari allo 0,1%), deve ritenersi legittima.
Il potere di revoca ha, infatti, ad oggetto il merito (opportunità) delle scelte amministrative. Esso è giustificato dall’esigenza di garantire nel tempo la rispondenza del provvedimento amministrativo all’interesse pubblico: tale esigenza è ritenuta dall’ordinamento prevalente rispetto a quella di tutela degli affidamenti creati, attribuendo una connotazione di precarietà e instabilità al rapporto giuridico.
L’affidamento del privato sulla stabilità del provvedimento amministrativo è, dunque, sacrificabile dalla P.A. al fine di assicurare la conformità all’interesse pubblico dell’assetto d’interessi: l’amministrazione ha, tuttavia, l’obbligo di indennizzare il privato del pregiudizio patrimoniale patito a causa della revoca, sia essa giustificata da fatti sopravvenuti (revoca per sopravvenienze) o da una rivalutazione dell’interesse pubblico originario (revoca- ius poenitendi).
Le motivazioni indicate nel provvedimento impugnato, incentrate sulla partecipazione alla procedura negoziata di un unico offerente e sull’infima convenienza economica dell’offerta, potevano giustificare, sul piano dell’opportunità e della conformità all’interesse pubblico, la scelta dell’ente locale di revocare l’aggiudicazione definitiva e, più in generale, l’intera procedura negoziata.
6.4. La revoca, pur legittima, è tuttavia scorretta in quanto tardiva.
L’amministrazione, infatti, sin dalla scadenza del termine per la presentazione delle offerte era consapevole che alla procedura negoziata aveva partecipato un solo offerente (dei sei invitati) offrendo un ribasso minimo: il rispetto dei principi di lealtà correttezza e buona fede (art. 1337 cod. civ.) le avrebbero, pertanto, imposto di tornare subito sui propri passi, non appena constatata la scarsa convenienza economica dell’offerta, anziché procedere all’aggiudicazione definitiva e invitare l’aggiudicataria a prestare la cauzione definitiva nonché a versare i diritti di segreteria e di registrazione.
La scorrettezza va rinvenuta proprio nella contraddittorietà del comportamento della stazione appaltante che ha mantenuto in piedi una trattativa quando era ormai consapevole che la stessa non avrebbe potuto sortire esito positivo.
La legittimità dell’atto di revoca non esclude la responsabilità precontrattuale dovendosi, sotto questo profilo, stabilire non se il comune si sia condotto da corretto amministratore, ma se si sia comportato da corretto contraente. A fronte di comportamenti della stazione appaltante che integrino la violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, il privato avrà diritto, nonostante la legittimità dell’atto di revoca, al risarcimento del danno da lesione del c.d. interesse negativo, commisurato alle spese sostenute per partecipare alla gara e alla perdita, ove dimostrata, della chance di aggiudicarsi altri gare d’appalto (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria sentenza 5 settembre 2005 n. 6).Nel senso della configurabilità di una responsabilità precontrattuale della P.A. in presenza di comportamenti scorretti posti in essere durante le trattative per la stipula di un contratto si sono espresse anche le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 12 maggio 2008 n. 11656., affermando che anche sulla P.A. grava l’obbligo giuridico sancito dall’art. 1337 c.c. di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative, perché con l’instaurarsi delle medesime sorge tra le parti un rapporto di affidamento che l’ordinamento ritiene meritevole di tutela. Pertanto, prosegue la sentenza, se durante la fase formativa di un negozio giuridico la P.A. viola il dovere di lealtà e correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l’affidamento della controparte (anche colposamente, in quanto non occorre un particolare comportamento oggettivo di malafede, né la prova dell’intenzione di arrecare pregiudizio all’altro contraente) in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale.
6.4.1. Passando a determinare il quantum del danno risarcibile osserva il Collegio che, una volta affermata la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante, il privato ha diritto non al solo indennizzo, ma all’integrale risarcimento del danno patito: l’indennizzo previsto dall’art. 21-quinquies l. n. 241/1990 (“parametrato” al danno emergente), rappresenta infatti una forma minima di tutela che prescinde dalla sussistenza dell’illecito e non esclude la risarcibilità del danno ulteriore a titolo di responsabilità precontrattuale (danno emergente pieno + perdita della chance contrattuale alternativa). Il danno da responsabilità precontrattuale va commisurato al c.d. interesse negativo – interesse a non essere coinvolto in trattative inutili – e include le spese sostenute per partecipare alla gara e, ove dimostrata, la perdita della c.d. chance contrattuale alternativa (ovvero la possibilità di partecipare ad altra gara pubblica e, quindi, di aggiudicarsi un diverso appalto).
Nel caso di specie vanno riconosciute alla ditta ricorrente, a titolo di danno emergente, le seguenti spese sostenute per la partecipazione alla gara, non ricomprese nell’indennizzo erogato e non specificamente contestate dalla stazione appaltante (art. 115 c.p.c. e 64 c.p.a.):
– € 42 per polizza fideiussoria cauzione provvisoria;
– € 103 per polizza fideiussoria cauzione definitiva;
– € 2516,80, al lordo della ritenuta d’acconto, relativi a competenze professionali per lo studio del progetto esecutivo e la predisposizione degli atti per la partecipazione alla gara (vedi fattura depositata in atti con la prova del relativo pagamento e del versamento della ritenuta d’acconto).
Non è risarcibile il lucro cessante (chance contrattuale alternativa), stante l’assenza di puntuali e specifiche allegazioni sul punto.
Trattandosi di responsabilità precontrattuale non spetta il risarcimento del cd. danno curriculare (e cioè quello derivante da mancato arricchimento del curriculum professionale), perché esso non attiene all’interesse negativo, ma, più propriamente, all’interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell’appalto e non dall’inutilità della trattativa (Consiglio di Stato, sez. VI,1 febbraio 2013, n. 633).
6.5. Entro questi limiti il ricorso merita di essere accolto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Condanna l’Amministrazione resistente a rifondere al ricorrente il contributo unificato e le spese di lite che liquida in € 2000, oltre Iva e Cpa come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Rosaria Trizzino, Presidente
Carlo Dibello, Consigliere
Marco Rinaldi, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)