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Tar Campania, Sez. VII, 11 giugno 2014, n. 3229
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1756 del 2013, proposto da:
Felice Petirro, Filomena Petirro, Nunzia Petirro, Pasquale Russo, Ciro Russo, Anna Russo, rappresentati e difesi dagli avv.ti Ferdinando Scotto, Raffaele Leone, con domicilio eletto presso Raffaele Leone in Napoli, via Pontano, nr. 61;
contro
Comune di Napoli in persona del sindaco p.t.,
rappresentato e difeso per legge dagli avv.ti Bruno Ricci, Giuseppe Dardo, Barbara Accattatis Chalons D’Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Anna Pulcini, Gabriele Romano, domiciliata in Napoli, piazza Municipio;
per l’annullamento
provvedimento prot. n. 19 del 09/10/2012 ad oggetto la revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale di cui alla delibera di G.M. n. 4921/1997.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli in Persona del Sindaco P.T.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2014 il dott. Alessandro Pagano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Letto il ricorso con il quale la parte ricorrente impugna il provvedimento di revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale disposta dal Comune di Napoli per l’avvenuta cessione del cespite fra parti private, in violazione dell’art. 53 (c. 1) del regolamento comunale di Polizia Mortuaria del 21 febbraio 2006.
Esaminati i sei motivi con cui si lamenta la violazione di legge (L. 241/1990; artt. 44 e seg. regolamento Polizia Mortuaria; art. 11 preleggi al C.C.; artt. 824 e seg. CC.; DPR 285/1990; artt. 42 e 97 Cost.) e l’eccesso di potere, sotto molteplici profili, concludendo per l’accoglimento;
Lette le difese del Comune che conclude per il rigetto;
Trattenuta la causa in decisione all’udienza indicata;
DIRITTO
4.- Il Tribunale giudica il ricorso infondato.
Lo jus sepulcri
Va premessa una ricostruzione breve dello jus sepulcri. Il diritto al sepolcro per cui è causa costituisce in generale, secondo dottrina e giurisprudenza, istituto complesso, scomponibile in più fattispecie: si distingue anzitutto un diritto primario al sepolcro, inteso come diritto ad essere seppellito ovvero a seppellire altri in un determinato sepolcro, diritto distinto a sua volta in sepolcro ereditario e sepolcro familiare o gentilizio; si distingue ancora un diritto sul sepolcro inteso in senso stretto, come diritto sul manufatto che accoglie le salme; si identifica infine, ed è un accessorio dei due precedenti, un diritto secondario al sepolcro inteso come diritto di accedervi fisicamente e di opporsi ad ogni atto che vi rechi oltraggio o pregiudizio (per la distinzione fra diritto primario al sepolcro e diritto sul manufatto, si veda per tutte la motivazione di Cass. civ. sez. III 15 settembre 1997 n 919).
La normativa in materia
Sempre in generale, va affermato, che, anche prima dell’entrata in vigore del codice del 1942, i cimiteri erano beni di proprietà comunale, come tali in linea di principio non liberamente disponibili; di conseguenza la costituzione di cappelle private nell’ambito degli stessi si configurava pacificamente non come cessione del relativo spazio ad un privato acquirente, ma come concessione dello stesso.
Sul punto specifico, una norma nazionale espressa fu introdotta con l’art. 71 del R.D. 21 dicembre 1942 n. 1880 (G.U. 16 giugno 1943), sostitutivo di un regolamento del 1892, secondo il quale la cessione a terzi delle tombe di famiglia era consentita se non “incompatibile con il carattere del sepolcro” e “sempre che i regolamenti comunali ed i singoli atti di concessione non dispongano altrimenti”.
Il regolamento del 1942 fu poi superato poi dal D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 (G.U. 26 gennaio 1976), che all’art. 94 innovò prevedendo un divieto assoluto di cessione, nel senso che “Il diritto di uso delle sepolture private è riservato alla persona del concessionario ed a quelle della propria famiglia ovvero alle persone regolarmente iscritte all’ente concessionario, fino a completamento della capienza del sepolcro”: divieto confermato dall’identico primo comma dell’art. 93 del D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 (G.U. 12 ottobre 1990), succeduto al precedente.
Tale regime giuridico è comprovato dall’art. 824 comma secondo del codice civile del 1942 secondo il quale i cimiteri comunali sono soggetti senz’altro al regime giuridico del demanio pubblico, e quindi sono in primo luogo inalienabili ai sensi dell’art. 823 c.c. comma primo, prima parte. In tal modo il codice civile ha introdotto una conformazione generale delle aree cimiteriali, e quindi dei relativi diritti, che non fa in alcun modo salve le situazioni preesistenti: ne consegue che la natura semplicemente concessoria del diritto di sepolcro andrebbe, in tesi, tenuta attualmente ferma anche se per ipotesi fosse stata esclusa dal regime previgente.
In termini riassuntivi, la cessione di un diritto di sepoltura privata, anche qualora consentita, non si può configurare come una semplice alienazione da privato a privato, ma richiede -e tale è un punto dirimente della presente vicenda- l’intervento dell’autorità concedente. Ciò risulta anzitutto dai principi in tema di concessioni, che nei rapporti fra privati sono fonte di diritti soggettivi perfetti, i quali però degradano a diritti affievoliti nei rapporti con la p.A. (così, ex pluris, Cass. civ. sez. II, 25 maggio 1983 n. 3607).
Risulta inoltre anche da un esplicito dato normativo, pur riferito ad una norma non più vigente, ovvero dal già citato art. 71 del R.D. 21 dicembre 1942 n. 1880, che nel disciplinare la vicenda traslativa del diritto di sepolcro, allora consentita, configurava -significativamente- l’acquirente come “nuovo concessionario” e prevedeva la possibilità di un “veto” del Comune alla cessione.
Il regime giuridico della concessione cimiteriale
Su queste premesse, è agevole ricostruire i dicta giurisprudenziali in materia che si sostanziano nella affermazione secondo cui la cessione di un diritto al sepolcro, tanto nel suo contenuto di diritto primario di sepolcro quanto nel suo contenuto di diritto sul manufatto, va in astratto configurata come voltura di concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente, ovvero del Comune: in tali termini esplicitamente la Cass. civ. sez. IIª 25 maggio 1983 n. 3607, nonché TAR Calabria 26 gennaio 2010 n. 26 TAR Sicilia Catania, sez. IIIª 24 dicembre 1997 n. 2675 e T.A.R. Puglia Bari, sez. Iª 1 giugno 1994 n. 989; Tar Lombardi/Brescia 30 aprile 2010 n. 1659.
L’autorizzazione, a sua volta, si sostanzia in “un nuovo esercizio del potere discrezionale dell’ente concedente di attribuire la concessione a terzi” (T.A.R. Puglia Bari, sez. Iª 1 giugno 1994 n. 989), e come tale, deve di necessità seguire il regime giuridico vigente nel momento in cui essa deve essere pronunciata: in altri termini, si potrà rilasciare solo se in quel dato momento la concessione è, alla stregua dell’ordinamento, considerata cedibile.
Coglie dunque con precisione la “doppia” natura della posizione del privato il superiore giudice amministrativo quando afferma: Il diritto sul sepolcro già realizzato è un diritto soggettivo perfetto di natura reale assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso e soprattutto di trasmissione sia “inter vivos” che per via di successione “mortis causa”, e come tale opponibile agli altri privati, atteso che lo stesso nasce da una concessione amministrativa avente natura traslativa di un’area di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale; peraltro nei confronti della p.a. tale diritto è suscettibile di affievolimento, degradando ad interesse legittimo, nei casi in cui esigenze di pubblico interesse, per la tutela dell’ordine e del buon governo del cimitero, impongano o consiglino all’Amministrazione di esercitare il potere di revoca della concessione (Consiglio di Stato – sez. Vª – 26 giugno 2012 nr. 3739).
La fattispecie per cui è causa
In relazione alla presente lite, si evidenzia come il Comune di Napoli abbia constatato, alla stregua di indagini di Polizia Giudiziaria, che molteplici edicole funerarie non erano gestite dai rispettivi concessionari, ma, inaudito domino, erano stati alienati a terzi.
In particolare, è risultato che con delibera di G.M. in data 29 ottobre 1997(n. 4921) era stata concessa a Ianuario Enzo un’area cimiteriale in Napoli/Poggioreale: zona D dove successivamente è stata realizzata una cappella funeraria.
E’ seguita una prima compravendita nel 2007 ed una successiva del 2011 ove i ricorrenti Russo Ciro, Russo Pasquale, Russo Anna acquistavano da Petirro Felice, Petirro Nunzia e Petirro Filomena (principali ricorrenti), quali eredi della precedente intestataria, la proprietà della cappella eretta sulla superficie cimiteriale concessa allo Ianuario: atto per notaio Improta rep. nr. 98277 racc. n. 16845 del 8 aprile 2011.
Vale subito precisare che la decadenza è operativa innanzitutto nei confronti dei Petirro che, quali eredi della De Tommaso (acquirente dallo Ianuario), hanno illegalmente trasferito il cespite ai Russo.
Il punto è da ritenersi incontroverso, tanto che lo stesso Comune, nella iniziale comunicazione di avviso del procedimento ex L. 241/1990, distingue nettamente i Petirro, dai Russo ai quali la stessa è stata trasmessa “per conoscenza”.
Del resto, la contestazione della parte pubblica è proprio nel senso della irrilevanza del trasferimento e dunque della acquisizione da parte dei Russo che hanno comunque un processuale e sostanziale interesse a contrastare la decadenza del loro dante causa. (Significativa, in argomento, è la seguente affermazione, contenuta nella memoria del Comune dep. il 9.4.2014 (pg. 3): “Il provvedimento è stato notificato anche ai sig.ri Russo Pasquale…in quanto parti interessate alla vicenda, benché sconosciuti all’Ente concedente e non avente con essi alcun rapporto diretto…”).
Per quanto attiene nello specifico ai fatti di causa, come sottolinea il Comune nella sua conclusiva difesa, il predetto rogito del 2011 è stato “immediatamente e contestualmente preceduto” dalla stesura di una procura speciale a favore dell’acquirente, rilasciata dal venditore per compiere tutti gli atti di gestione ordinaria e straordinaria inerenti al manufatto funerario.
Convincentemente osserva la difesa del Comune: Tale procura .. non potrebbe avere alcuna altra causa giuridicamente apprezzabile né alcuna utile funzione giuridico-economica laddove collegata alla compravendita…E’ evidente allora che tale procura acquista unico senso e funzione nei rapporti con l’Ente concedente. Infatti nello schema negoziale messo su fra le parti, il contratto vige tra le parti private, mentre la procura consente all’acquirente nei confronti della p.A. di operare con pienezza di poteri seppure in nome e per conto di un venditore che si è spogliato del bene (ma la p.A. non ne è a conoscenza).
Premesso come sia insito nel sistema stesso concessorio che l’amministrazione debba costantemente essere messa a parte, in forma giuridica, della cessione, instaurando –se del caso– un nuovo rapporto concessorio, nella fattispecie qui da esaminare, è dirimente che l’atto notarile del 2011 sia posteriore al regolamento di Polizia Mortuaria del 2006 adottato dal Comune di Napoli e che, altresì, contenga l’allegata procura.
Non spetta a questo giudice definire in termini completi la leggibilità di tali evenienze in ottica penalistica ovvero civilistica: resta tuttavia evidente che la cessione, per poter essere efficace, doveva essere notificata secondo lo schema di cui agli articoli 1264 e 980 C.C. (altresì richiamando le forme proprie, per analogia, di cessione ex art. 69 R.D. 2440/1923) e che, in altre vicende simili, il collegamento fra atto principale e rilascio della procura sia stato considerato una machinatio.
Il collegamento negoziale, infatti, fra i due atti è, secondo le più accreditate tesi sulla causa contrattuale (cfr., Corte di Cassazione – sez. IIIª civile –8 maggio 2006 n. 10490: Causa del contratto è lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare c.d. causa concreta) funzionale proprio al “disvelamento” della effettiva “operazione economica che le parti contraenti intendono raggiungere.
Nella presente fattispecie, non sembra discutibile che, attraverso la predetta procura si sia inteso mantenere il rapporto concessorio all’originale titolare. (Per una esemplificazione peculiare di collegamento negoziale, cfr., Cass., sez. I civ., 15 ottobre 2012, n. 17650: “Ai fini della revocatoria fallimentare di cui all’art. 67, comma 1, L. Fall., qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l’erogazione di somme poi rifluite, in forza di precedenti accordi e prefinanziamenti, per il tramite di un terzo, nelle casse della banca mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile fra i negozi posti in essere – prefinanziamento, mutuo ipotecario e pagamenti infragruppo – un collegamento funzionale, ed è individuabile il motivo illecito perseguito, rappresentato dalla costituzione di un’ipoteca per debiti chirografari preesistenti.”).
Sul versante penalistico, in una ipotesi del tutto similare, ha osservato la Cassazione (Cass. sez. III pen., 21 gennaio 2013 nr. 3086: “..dagli atti risulta che XX ha alienato a tale YY la Cappella avuta a suo tempo in concessione dal Comune e che contestualmente alla vendita si e’ fatto rilasciare dall’acquirente una procura speciale per effettuare tutte le operazioni di polizia mortuaria.
Tale comportamento, ad avviso del ricorrente pubblico ministero, integra l’artifizio e il raggiro posto in essere nei confronti del Comune, perche’ l’ente, continuando a trattare di fatto col venditore (comparente in prima persona per le operazioni di polizia mortuaria), non viene a conoscenza dell’illecito negozio di trasferimento del manufatto funerario (in violazione del divieto regolamentare) e non ha quindi la possibilita’ di porre in essere la dovuta revoca della concessione, con l’ulteriore danno patrimoniale rappresentato dalla mancata stipula di nuova concessione con altri soggetti disposti al pagamento dei relativi oneri, mentre invece il venditore lucra ingiustamente il prezzo della cessione vietata.
Il ragionamento e’ corretto. Nessun dubbio che la regolamentazione amministrativa –stante la natura di rapporto di durata della concessione e la posizione di supremazia della p.A. che non si elide nel tempo– incida via via che la p.A. la modifica.”).
In tutte le fattispecie in cui, come la presente, i relativi atti notarili sono stati rogati dopo il 2006 (id est, post l’adozione del regolamento del febbraio 2006) non si pone peraltro -ad avviso del Tribunale- alcuna questione di retroattività, ma solo di adeguamento alla disciplina amministrativa vigente -che sempre continua a connotare il diritto acquisito con la concessione- in base al generalissimo criterio tempus regit actum.
Perspicua, in argomento, la pronuncia del superiore giudice amministrativo ove ha affermato: “In termini generali, questa Sezione, in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario, ha costantemente affermato che lo “ius sepulchri”, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento.
Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un “diritto affievolito” in senso stretto, soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico.
In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico” (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000, n. 3313).
Questo consolidato indirizzo interpretativo ha puntualmente specificato che, come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell’amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto.
Si tratta, in sostanza, di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione. …
E’ quindi indubbio che il rapporto concessorio debba rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti.
In particolare, lo “ius sepulchri” attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico.
Non è persuasiva, allora, l’affermazione del ricorrente in primo grado, secondo cui, una volta costituito il rapporto concessorio, questo non potrebbe essere più assoggettato alla normativa intervenuta successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene.
Non è pertinente, quindi, il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti.” (CdS V, 8 marzo 2010 n. 1330).
Il provvedimento impugnato
Per quanto attiene al provvedimento adottato dalla amministrazione comunale, il Tribunale rileva che, al di là delle pur ipotizzabili imprecisioni terminologiche, è fuori di dubbio che l’amministrazione abbia (solo) inteso stigmatizzare il venir meno del presupposto fondamentale del rapporto concessorio vale a dire il carattere personale dello stesso che da sempre ne connota una delle principali caratteristiche: si è già richiamata la normazione del 1942, vale altresì ribadire il rimando al DPR del 1975 ove all’art. 92 afferma il divieto assoluto di trasmissibilità.
Il regolamento locale del 2006, nella parte quinta, disciplinando il rapporto concessorio, coerentemente afferma all’art. 53 che la concessione non è cedibile fra privati.
(Testualmente: Articolo 53 – Cessioni tra privati
1. E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati.
2. Qualora un privato voglia recedere anticipatamente dalla concessione di un manufatto funebre, ovvero dalla concessione di un’area su cui insiste un manufatto dal medesimo realizzato si applica quanto previsto dal precedente art. 50. omissis)
Tale norma non è da considerarsi però residuale ed amministrativamente “in bianco” (priva cioè di una conseguenza esplicitata), ma contribuisce a specificare quello che a chiare lettere impone l’art. 44 e seguenti.
Come infatti afferma quel capo, siamo:
– dinanzi ad un bene demaniale, rispetto al quale la p.A. non perde mai i suoi poteri regolatori;
– è ipotizzabile solo un “uso” personale e non teso ad un affaristico utilizzo dello stesso;
– dopo la disciplina della revoca e della decadenza, è sancito, quale ripetitiva esplicitazione della incommerciabilità, il divieto di cessione fra privati.
(Testualmente: 1. Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventano di proprietà dell’Amministrazione Comunale come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata.
2. Con la concessione l’amministrazione Comunale assegna al privato una determinata area cimiteriale o un determinato manufatto con diritto di uso temporaneo ai sensi del 1° comma dell’art. 92 del D.P.R. 10-09-1990 n. 285.) omissis
4. La concessione di aree cimiteriali per l’edilizia funebre può essere fatta oltre che ad un singolo soggetto privato, anche a più soggetti in forma congiunta istaurandosi in capo a ciascuno di essi un diritto d’uso reale che coincide temporalmente con la durata della concessione. In tal caso, i concessionari dovranno indicare nella richiesta la divisione dei posti e l’individuazione di quote separate della concessione stessa.
5. Non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione.
6. Le concessioni hanno durata massima di 99 anni, restando impregiudicata la facoltà dell’Amministrazione comunale di indicare periodi di concessione più brevi in relazione alla definizione dei propri piani regolatori. I periodi di concessione sono comunque rinnovabili alla scadenza.
7. Tutte le concessioni si estinguono con la soppressione del cimitero.
8. Con l’atto della concessione l’amministrazione Comunale può imporre ai concessionari determinati obblighi, tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato pena la decadenza della concessione.
9. La concessione può essere soggetta:
a. a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente;
b. a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi;
c. a rinuncia da parte del concessionario con retrocessione del bene.)
Deve allora concludersi, a giudizio del Tribunale, che, al di là (si ribadisce) della definizione utilizzata, la decadenza dalla concessione è in re ipsa rispetto a colui che si spoglia (a guisa quasi di rinuncia) del bene concesso, ponendo in crisi la stessa identificabilità “genetica” del rapporto concessorio: non v’è comunque alcuna difficoltà esegetica ad inserire testualmente la decadenza pronunciata nell’ambito della violazione degli oneri di manutenzione della concessione di cui all’art. 44 in quanto la manutenzione è anche, all’evidenza, da rapportare ad aspetti giuridici (art. 44 c. 9.: “La concessione può essere soggetta:…. a decadenza, ..per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi”).
Lo scopo di lucro e di speculazione vietato dall’art. 44 c. 5 del regolamento (e richiamato dal Comune nel provvedimento impugnato) va poi inteso in senso lato, posto che la lucrosità non è in relazione alla congruità o meno del prezzo di vendita come la difesa dei ricorrenti sostiene restringendo così arbitrariamente la portata del divieto, ma è da intendere in senso lato, ossia che le parti lucrano laddove dispongono liberamente, senza la partecipazione della amministrazione pubblica, del bene cimiteriale.
I motivi articolati in ricorso
Sulla base di queste rilevazioni già dirimenti, il Tribunale –nelle forme sintetiche imposte dal CPA– passa in rassegna i motivi articolati: gli stessi possono unitariamente esaminarsi in quanto aggregati su alcuni nuclei problematici, pur se variamente analizzati.
Con il primo mezzo, pluriarticolato, si assume che il Comune avrebbe richiamato una norma regolamentare, contrastata dalla legislazione nazionale ed applicata retroattivamente; sarebbe inoltre illegittima la revoca nei confronti dei Petirro che avrebbero acquistato “regolarmente” dalla De Tommaso Pasqualina.
Il motivo è infondato.
Come si è già rilevato, l’amministrazione comunale, nel 2006, ha innovato la disciplina funeraria tramite la elaborazione di un innovativo regolamento di polizia mortuaria: la sua applicabilità ai rapporti in corso, la sua doverosa conoscenza da parte dei destinatari, quale atto generale normativo, è stata già sopra affermata e discende peraltro dai principi generali.
La sentenza del Tar Campania/Napoli nr. 4427/2009
Esaustivo è il richiamo a quanto questo stesso Tribunale ha affermato in argomento: “Occorre preliminarmente respingere le censure che denunziano vizi procedimentali – con particolare riguardo alla mancanza del giusto contraddittorio – dell’approvazione del nuovo regolamento di polizia mortuaria. È evidente che il regolamento, in quanto atto normativo, sfugge alla sequenza procedimentale delineata dalla legge n. 241 del 1990, trattandosi di atto rivolto verso una generalità di destinatari. Ne consegue che i destinatari della nuova disciplina regolamentare non hanno alcuna pretesa giuridicamente rilevante alla partecipazione procedimentale prevista dalla legge generale sul procedimento amministrativo.
Del pari infondata è la censura di vizio dell’atto per aver indebitamente introdotto disposizione sfavorevole con portata retroattiva. A tal proposito vale osservare che, a differenza della disciplina precedente – vedi in particolare gli artt. 267 e ss. del delibera consiliare n. 291 del 3 ottobre 1995 – con scelta non irragionevole il Consiglio comunale ha deciso di vietare qualsiasi cessione diretta fra privati della concessione cimiteriale e degli annessi manufatti. L’articolo 53 del nuovo regolamento, infatti, prevede che il privato che non abbia più interesse alla titolarità della concessione possa retrocederlo all’amministrazione comunale in cambio del corrispettivo di due terzi di quanto pagato per ottenerla (confronta il rinvio alla disciplina contenuta nell’articolo 50).
È evidente che la nuova regola debba trovare applicazione nei confronti di qualsiasi concessione mortuaria, senza che abbia rilevanza il momento temporale in cui la stessa è stata rilasciata. In tale ipotesi, invero, non può correttamente parlarsi di applicazione retroattiva in senso tecnico della norma sopravvenuta, la quale si limita a regolamentare i futuri atti di cessione fra privati, onde è senza dubbio rivolta verso il futuro. È ben vero che la nuova disciplina altera le regole cristallizzate al momento del rilascio della concessione, ma tale circostanza deve trovare il suo apprezzamento nel rispetto dell’affidamento creato nel privato e non nel principio di (tendenziale) irretroattività dell’azione amministrativa.
Così impostata la questione, non sembra che l’amministrazione comunale abbia inciso indebitamente sul legittimo affidamento creato nei privati titolari di concessioni già rilasciate al momento dell’entrata in vigore del nuovo regolamento di polizia mortuaria.
Da un lato, infatti, sarebbe stato irragionevole prevedere una regolamentazione differenziata fra i titolari delle vecchie concessioni ed i titolari delle nuove concessioni; dall’altro il bilanciamento degli opposti interessi trova un punto di equilibrio nella previsione di un regime transitorio (art. 58), il quale consente, per dodici mesi dall’entrata in vigore del nuovo regolamento, di alienare il diritto concessorio nei termini stabiliti dalla previgente disciplina.
Pertanto, tenuto conto che la negativa incidenza in termini di valutazione economica del diritto concessorio non vale di per sé a rendere illegittima la nuova disciplina, il ricorso deve essere respinto.” (Tar Campania/Napoli nr. 4427/2009).
Come si è cercato di chiarire, non è comunque problema né di alienabilità o meno del sepolcro né di temporalità normativa del regime concessorio.
L’atto notarile de quo è intervenuto dopo il 2006, quando era già attiva la nuova regolamentazione cimiteriale.
Il divieto della cessione fra privati (ex art. 53 reg. cit.) va interpretato, in coerenza con quanto sinora affermato, per la sua portata testuale che è quella di vietare che i privati –fra loro– senza la partecipazione della amministrazione pubblica, dispongano della concessione.
Trattasi –si ribadisce– di formula pienamente esemplificativa di quel venire meno ai propri obblighi di concessionario che l’art. 44 sanziona con la decadenza.
Nella sostanza, l’amministrazione ha compiutamente espresso la illegittimità verificata e l’ha correttamente evidenziata appena si è data la possibilità, artatamente celata, di venirne a conoscenza. Basta citare il passaggio motivazionale del provvedimento gravato ove afferma: la compravendita realizzata in violazione della normativa regolamentare citata si pone in contrasto con le procedure ad evidenza pubblica di assegnazione dei beni in concessione e deve, pertanto, considerarsi grave inadempimento dal parte dell’’alienante degli obblighi di conservazione e custodia del ben in concessione posti a suo carico.
La disposizione regolamentare, come risulta palese, è in linea con il carattere demaniale del cimitero e dunque consapevole della legislazione primaria.
Con il secondo mezzo, si ampliano le già indicate censure: valgono quindi le osservazioni già rese.
Per quanto attiene alla distinzione fra suolo e costruzione, oggetto della compravendita, si osserva che tale differenzazione (se pur sussistente in rerum natura) non ha alcun rilievo, stante la necessaria, unitaria destinazione del regime giuridico.
Uguale reiezione si impone circa la carenza dei presupposti per la decadenza disposta e, soprattutto, sul carattere “assoluto” della posizione giuridica vantata dal concessionario che, proprio in quanto tale, deve rispettare il cd lato “interno” della concessione.
Nessun profilo di fondatezza è ancora riscontrabile nelle censure con cui si lamenta una ablazione priva di indennizzo: nel caso di specie, sono stati attivati doverosi poteri decadenziali.
Non accoglibile è il terzo mezzo con il quale si assume la illegittimità del regolamento che avrebbe abilitato l’amministrazione a dichiarare la nullità del rogito, in dispregio dalla normativa civilistica.
La censura non può essere accolta.
L’aspetto classificatorio (dell’atto notarile) è solo descrittivo di un fenomeno degenerativo inerente alla titolarità della concessione che l’amministrazione doveva reprimere. Dinanzi a così palesi comportamenti illegali, ed improntati a mala fede, è da rifiutare qualsiasi riferimento alla mancanza di un attuale interesse pubblico (al’evidenza sussistente) da comparare con la posizione del privato concessionario.
Ne consegue, per altro verso, la piena legittimità del potere esercitato per ricondurre le complesse fattispecie a necessaria legalità (quarto motivo).
Non si riscontra neanche il denunciato vizio afferente alla motivazione che risulta palese e ben percepita dalla parte ricorrente.
In fatto, da superare, infine, la doglianza con cui si lamenta la mancata interrelazione procedimentale che, per contro, vi è stata ed è documentata nello stesso provvedimento impugnato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna pa parte ricorrente, in solido, al pagamento delle spese processuali, in favore della costituita amministrazione, liquidate in complessivi euro 3.000,00= oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pagano, Presidente, Estensore
Fabio Donadono, Consigliere
Diana Caminiti, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)