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Tar Basilicata, Sez. I, 4 giugno 2015, n. 281
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso avente numero di registro generale 71 del 2002, proposto da:
Pietro Claps, rappresentato e difeso dall’avv. Donatello Genovese, domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Potenza, al c.so XVIII Agosto n. 28;
contro
Comune di Potenza, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Concetta Matera e Maria Rosa Zaccardo, con domicilio eletto presso l’ufficio legale dell’Ente, in Potenza, alla via N. Sauro, Palazzo della Mobilità;
per l’annullamento
– della determinazione del Comune di Potenza n. 304 del 18 ottobre 2001con la quale è stata disposta la decadenza della concessione di suolo cimiteriale in favore del ricorrente;
– della deliberazione del Consiglio comunale di Potenza n. 130 del 21 luglio 1998, recante direttive per la repressione dell’utilizzo irregolare delle concessioni cimiteriali;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ove lesivo;
– nonché per il risarcimento dei danni subiti per effetto dei provvedimenti impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Potenza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2014 il magistrato Benedetto Nappi e uditi per le parti i difensori avv. Antonpiero Russo, per delega dell’avv. Genovese, e avv. Brigida Pignatari D’Errico, per dichiarata delega degli avvocati Matera e Zaccardo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Col presente ricorso, notificato in data 21 gennaio 2002 e depositato il successivo 13 di febbraio, il sig. Pietro Claps è insorto avverso gli atti individuati in epigrafe, esponendo in punto di fatto che:
– con deliberazione della Giunta comunale n. 514 del 18 marzo 1975 e contratto ad essa accessivo n. 1354 del 3 ottobre 1975, il Comune intimato ha disposto la concessione perpetua in suo favore di suolo cimiteriale per la costituzione di una cappella gentilizia;
– su detto suolo, ha edificato il sepolcro familiare. Successivamente, a causa della carenza di loculi realizzati dal Comune e della conseguente crescente domanda degli stessi, ha acconsentito alla tumulazione temporanea di salme di persone estranee alla cerchia dei suoi familiari, ancorché conosciute e benvolute in vita;
– tali tumulazioni sono state previamente autorizzate dai funzionari comunali preposti e sono avvenute a titolo gratuito, come dimostrato da scritture private sottoscritte dai familiari dei defunti, anche se taluni dei sottoscrittori hanno spontaneamente corrisposto il costo delle lapidi utilizzate, oltre ad un contributo per le spese di ripristino dei loculi utilizzati e la pulizia della cappella;
– in seguito, nel corso di indagini svolte dalla Polizia municipale in merito all’irregolare utilizzo dei loculi del cimitero cittadino, taluni “ingrati beneficiari” hanno dichiarato che la tumulazione dei propri congiunti era avvenuta a scopo di lucro, avendo il ricorrente preteso danaro per il fitto dei loculi stessi, e non sussistendo ragioni di benemerenza tra questi ed i defunti;
– è stato perciò avviato il procedimento poi sfociato nell’impugnato provvedimento di decadenza della concessione di suolo cimiteriale e di acquisizione al patrimonio comunale della cappella ivi realizzata.
1.1. In diritto, il ricorrente ha dedotto, per più profili, la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 70, 71 r.d. n. 1770/1942; art. 93 d.P.R. n. 803/1975; art. 92 d.P.R. n. 285/1990; disciplinare di concessione, di cui al contratto rep. n. 1358 del 3 ottobre 1975; artt. 42, 48 e 107 d.lgs. n. 267/2000; artt. 3, 42 e 97 Cost.; artt. 1 e 3 legge n. 241/1990; principi in materia di autotutela, proporzionalità e tipicità dell’azione amministrativa ) e l’eccesso di potere (difetto e falsità dei presupposti; travisamento dei fatti; difetto di istruttoria e di motivazione; ingiustizia manifesta; iniquità; sviamento).
2. Si è ritualmente costituito il Comune intimato, concludendo per la reiezione del ricorso per sua infondatezza in fatto e in diritto.
3. Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, alla stregua della motivazione che segue.
2. Col primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dei regolamenti di polizia mortuaria che disporrebbero che le concessioni perpetue di loculi cimiteriali si estinguono solo con la soppressione del cimitero e possono essere revocate, trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno comunale e non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di un nuovo cimitero. Il Comune di Potenza, dunque, in assenza di detti presupposti, non avrebbe potuto in alcun modo revocare o dichiarare decaduta la concessione perpetua di suolo cimiteriale.
2.1. Il motivo non coglie nel segno.
Il provvedimento di decadenza richiama espressamente il regolamento comunale per le sepolture private, approvato con provvedimento del Commissario Prefettizio n. 288 del 24 giugno 1933, in atti, che all’art. 5 individua le persone aventi diritto d’uso del sepolcro nelle persone dell’assegnatario, del coniuge, degli ascendenti e discendenti in linea retta, senza limitazione del grado di parentela, dei parenti in linea collaterale fino al quarto grado incluso, degli affini fino al terzo grado, mentre al successivo art. 6, fa divieto, pena la decadenza dalla concessione, di permettere la tumulazione nel sepolcro di persone diverse da quelle individuate dall’articolo precedente, salva eccezionale deroga del Comune.
Di segno pressoché speculare sono le previsioni degli articoli 45 e 46 del regolamento comunale di polizia mortuaria del 18 maggio 1935.
Inoltre, l’art. 70, 2° comma, del regio decreto 21 dicembre 1942, n. 1880, recante il regolamento nazionale di polizia mortuaria, pure richiamato nel provvedimento impugnato e vigente all’epoca del rilascio della concessione di suolo cimiteriale di cui è questione, dispone che con l’atto della concessione, il Comune può imporre al concessionario determinati obblighi, pena la decadenza della concessione. Ebbene, il contratto annesso al relativo provvedimento concessorio, stipulato il 3 ottobre 1975, all’art. 4, prevede che: “l’uso dei singoli loculi ricavati nella cappella gentilizia è limitato all’assegnatario, al coniuge, agli ascendenti, ai discendenti in linea retta senza limitazioni di grado di parentela, ai parenti in linea collaterale fino al quarto grado incluso, agli affini fino al terzo grado”, salve eccezionali deroghe disposte dal Comune, stabilendo, altresì, in caso di inadempienza, la decadenza della concessione “con semplice dichiarazione amministrativa senza diritto a restituzione di qualsiasi somma in favore del concessionario stesso”.
Nello stesso senso, muove, infine, l’art. 92, n. 3, del vigente regolamento nazionale di polizia mortuaria, secondo cui: “Con l’atto della concessione il comune può imporre ai concessionari determinati obblighi, tra cui quello di costruire la sepoltura entro un tempo determinato pena la decadenza della concessione”.
Più in generale, va considerato che la figura della decadenza rientra a pieno titolo ed indefettibilmente nell’ambito dei poteri pubblicistici che competono all’amministrazione concedente nei confronti del concessionario, in quanto, instauratosi il rapporto concessorio, la prima è pur sempre investita di poteri di direttiva, controllo e di autotutela decisoria, esecutiva e sanzionatoria (cfr. T.A.R. Emilia Romagna, 14 giugno 2004, n. 1135). In tale prospettiva, infatti, la decadenza costituisce il necessario strumento per assicurare che il concessionario tenga fede agli obblighi assunti con la concessione, assumendo connotazioni sanzionatorie degli inadempimenti posti in essere. Va quindi escluso che la concessione perpetua rilasciata su area cimiteriale, al fine della costruzione di un sepolcro, possa essere sottratta ad una successiva regolamentazione dell’uso che comporti la decadenza come conseguenza della violazione d’un divieto (cfr. T.A.R. Basilicata, 6 ottobre 2011, n. 492).
3. Nel secondo motivo di ricorso si lamenta l’inesistenza dei presupposti di fatto sui quali si fonda il provvedimento impugnato. Il ricorrente, infatti, avrebbe meramente acconsentito alla tumulazione temporanea, nel proprio sepolcro, di salme di persone conosciute e benvolute in vita, previa autorizzazione del Comune di Potenza, attestando, tramite dichiarazione sostitutive dell’atto di notorietà controfirmate dai familiari dei defunti, la sussistenza di ragioni di particolari benemerenze verso i defunti. Tale modus operandi sarebbe consentito sia dall’art. 93, n. 2, d.P.R. n. 285/1990, sia dall’art. 4, 2° comma, del contratto accessivo al provvedimento di concessione di suolo cimiteriale. Il ricorrente, pertanto, non avrebbe fatto commercio dei loculi presenti nel sepolcro gentilizio, limitandosi a ritenere “modeste somme di danaro” spontaneamente offerte dai familiari quale concorso, una volta cessato l’uso provvisorio delle nicchie sepolcrali, alle spese per il ripristino delle lapidi marmoree di chiusura dei loculi, per riattare i loculi utilizzati e per le spese di pulizia della cappella.
3.1. La doglianza va respinta. L’Amministrazione intimata ha adottato il provvedimento sanzionatorio all’esito di verifiche compiute dalla Polizia municipale di Potenza circa l’irregolare utilizzazione dei loculi cimiteriali da parte di più concessionari. Con particolare riguardo alla posizione dell’odierno ricorrente, la Polizia municipale, nell’occasione, ha accertato che il consenso alla tumulazione delle salme di Rivela Rocco, Pentrelli Raffaele, Ottomano Armando Mauro, Vaccaro Vito, e Miglionico Canio Antonio, è stato determinato da finalità lucrative, non corrispondendo al vero le dichiarazioni di sussistenza di benemerenza in vita con i defunti rese dallo stesso concessionario. In particolare, il Comune di Potenza ha prodotto i verbali di sommarie informazioni rese al nucleo di polizia giudiziaria della Polizia municipale dai familiari dei predetti defunti. Orbene, salvo che in un caso, le persone sentite dalla Polizia municipale hanno concordemente affermato che i loculi di cui è cenno sono stati concessi in locazione verso il corrispettivo di un canone di tre milioni di lire. Nel contempo, i predetti familiari hanno anche dichiarato di non essere a conoscenza di particolari atti di benemerenza dei propri congiunti nei confronti del ricorrente. Ancora, con riguardo alla tumulazione della salma di Ottomano Armando Mauro, nella produzione di parte resistente è presente la domanda a sanatoria per utilizzazione irregolare di concessioni cimiteriali della sig.ra Bibiano Maddalena, madre del predetto defunto, in cui la stessa si è qualificata come locataria del ricorrente, integrata da copia di un assegno di assegno bancario emesso a nome del sig. Claps, per l’importo di tre milioni di lire, e da una dichiarazione della stessa secondo cui: “con l’assegno citato è stato pagato il fitto, per la durata di anni due, del loculo sito nella cappella Claps, dove è tumulato Ottomano Armando Mauro”. E’ inoltre presente la scrittura privata stipulata col sig. Ottomano Claudio, germano del defunto, in cui il ricorrente, nella asserita qualità di proprietario del sepolcro, senza fare alcun riferimento a né a pregressi rapporti di benemerenza, né a ragioni di gratitudine, e neppure alla percezione della somma di tre milioni di lire, “autorizza”, a titolo “gratuito”, lo stesso sig. Ottomano Claudio “alla tumulazione del suo congiunto” per la durata di anni due, con l’obbligo di provvedere alla traslazione del defunto alla scadenza di tale periodo.
Ancora, agli atti di causa, inoltre, risulta anche il successivo accertamento svolto nei confronti del ricorrente dalla Polizia municipale in relazione all’avvenuta tumulazione, nel proprio sepolcro, del defunto Fedeli Pietro, nel cui ambito i familiari hanno rilasciato dichiarazioni similari. Dal tenore dei predetti atti, non impugnati dal ricorrente, emerge quindi un utilizzo del suolo demaniale, e del sepolcro su di esso edificato, per finalità lucrative ed in violazione di quanto disposto dal quadro normativo e convenzionale di riferimento. Il provvedimento impugnato, col quale è stata comminata la decadenza dal rapporto concessorio, risulta quindi legittimo, sanzionando la violazione del divieto di “fare oggetto di lucro e di speculazione” delle aree per sepolture private, di cui all’art. 70, ultimo comma, del citato r.d. n. 1880/1942, nonché della conforme previsione dell’art. 92, n. 4, del d.P.R. 10 agosto 1990, n. 285.
3.1.1. Per altro verso, il provvedimento impugnato risulta legittimo anche laddove ha disposto l’annullamento delle autorizzazioni alla tumulazione nel sepolcro in discorso di salme di persone estranee al nucleo familiare del ricorrente. In tal senso, occorre infatti considerare che tali autorizzazioni sono state rilasciate sul presupposto che gli estinti avessero acquisito in vita, nei confronti del ricorrente, “particolari benemerenze”. In proposito, in ciascuna delle relative istanze di autorizzazione, il ricorrente ha fatto riferimento ad apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, sottoscritta anche da due testimoni. Tuttavia, come si è anticipato, i congiunti degli estinti (larga parte dei quali risultano anche testimoni in sede di dichiarazione sostitutiva) hanno poi riferito alla Polizia Municipale di ignorare l’esistenza di tali particolari benemerenze, o addirittura, in taluni casi, hanno contestato finanche che sussistesse la mera conoscenza tra il defunto e il ricorrente, precisando di essere stati indotti a sottoscrivere i predetti atti solo per consentire il conseguimento della prescritta autorizzazione. Ebbene, non appare plausibile che i più stretti congiunti dei defunti non siano stati a conoscenza dei particolari rapporti di benemerenza, in vita, tra costoro e il ricorrente, così come il senso di riconoscenza appare ben difficilmente conciliabile con l’intento lucrativo che emerge dagli accertamenti svolti dalla Polizia municipale.
4. Con ulteriore motivo, il ricorrente ha dedotto l’incompetenza del Dirigente dell’unità di direzione “Affari generali ed istituzionali” del Comune di Potenza ad adottare il provvedimento di decadenza in questione, rientrando esso nelle funzioni di spettanza del Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42, lett. l) del d.lgs. n. 267/2000 o, in subordine, alla Giunta comunale, ai sensi dell’art. 48 del medesimo decreto.
4.1. In senso contrario, il Collegio richiama il condivisibile indirizzo giurisprudenziale, formatosi proprio in relazione ad una determinazione dirigenziale di decadenza dalla concessione di area cimiteriale, secondo cui la competenza dell’organo consiliare: “deve intendersi circoscritta agli atti fondamentali dell’Ente, di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico, mentre spettano alle Giunte comunali tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo […] , nell’ambito, tuttavia, di un riparto di competenze tra organi politici e burocratici”. In ragione di tale riparto: “la Giunta è un organo di governo dell’Ente locale e pertanto svolge una funzione di attuazione politica delle scelte fondamentali operate dal Consiglio, mentre ai dirigenti compete l’attività di gestione tecnica, finanziaria e contabile e l’assunzione di tutti i provvedimenti amministrativi, o atti di diritto privato, necessari per conseguire gli obiettivi stabiliti dagli organi di indirizzo”. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, va respinta la tesi volta a sostenere la competenza del Consiglio comunale in virtù del disposto dell’art. 42, n. 1 lett. l) d.lgs. n. 267/2000, trattandosi di provvedimento di portata strettamente gestionale. Invero, rientra nella competenza del Consiglio comunale l’assunzione di atti di amministrazione del demanio comunale che riguardino i suoli cimiteriali, ad eccezione degli atti di “ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari”. La vicenda oggetto del presente ricorso, a giudizio del Collegio, va ricondotta proprio al novero delle eccezioni innanzi richiamate (cfr. T.A.R. Lombardia, sez. III, 7 aprile 2006, n. 985). In particolare, la competenza sul detto provvedimento deve essere ascritta alla dirigenza, per effetto dell’art. 107 d.lgs. n. 267/2000, e non già alla Giunta comunale, come pure prospetta il ricorrente, giacché a tale organo è devoluta, ai sensi dell’art. 48 del medesimo decreto, una funzione di attuazione politica delle scelte fondamentali operate dal Consiglio.
Del resto, nel caso di specie il Consiglio comunale di Potenza ha concretamente esercitato la propria funzione di indirizzo con la deliberazione n. 130 del 21 luglio 1998, definendo le tipologie di procedimento da attivare a seguito del riscontro di irregolarità nell’utilizzo dei loculi cimiteriali, dando atto che: “i procedimenti attuativi si dispiegheranno a cura del Settore Affari Generali”.
5. Col quarto motivo e quinto motivo, che possono essere scrutinati congiuntamente, si lamenta che il provvedimento impugnato avrebbe obliterato ogni valutazione circa la sussistenza di una posizione giuridica consolidata, nonché del fatto che le condotte ascritte al ricorrente avrebbero ormai esaurito i loro effetti. In particolare, la motivazione dell’atto di decadenza ometterebbe di considerare che il ricorrente, nel consentire le tumulazioni provvisorie nella propria cappella gentilizia, avrebbe reso un servigio ai cittadini, mentre delle salme “ospitate”, soltanto una sarebbe ancora tumulata, avendo le altre trovato altrove la definitiva sistemazione. Inoltre vi sarebbe intempestività dell’azione amministrativa, in quanto le tumulazioni contestate risalirebbero al 1996, ovverosia a cinque anni prima rispetto all’epoca di adozione del provvedimento sanzionatorio. Infine, vi sarebbe sproporzione tra le ritenute irregolarità poste in essere dal ricorrente e la sanzione applicata.
5.1. Le censure non persuadono. Costituisce una mera considerazione di carattere soggettivo, priva di rilevanza giuridica, l’affermazione secondo cui il ricorrente avrebbe reso un servigio alla cittadinanza. Inoltre, il provvedimento impugnato risulta congruamente motivato in ragione dell’uso illecito che del sepolcro è stato fatto, a fronte del quale nessun affidamento tutelabile può dirsi maturato in capo al ricorrente per effetto del mero decorso del tempo, segnatamente allorquando chi lo invochi abbia volontariamente violato la normativa di settore. E’ poi ininfluente che parte delle salme ivi tumulate siano state successivamente rimosse, in quanto ciò che è centrale ai fini dell’emanazione del provvedimento sanzionatorio è, appunto, l’uso dei loculi in violazione della disciplina, anche convenzionale, di riferimento. Quanto alla pretesa sproporzione tra le infrazioni contestate e la sanzione irrogata, in disparte ogni pur necessaria considerazione circa il significativo numero di casi accertato e la reiterazione delle condotte, va osservato che la giurisprudenza ha in più occasioni avuto modo di affermare che la decadenza della concessione cimiteriale è un provvedimento di carattere sanzionatorio che costituisce atto dovuto a condizioni date, trattandosi di un atto di natura vincolata, in quanto ogni valutazione degli interessi pubblici coinvolti è stata già compiuta ad un livello più alto e generale (normazione primaria e secondaria) di esercizio della discrezionalità; pertanto, compito del funzionario è soltanto quello di accertare la ricorrenza o meno, in concreto, delle condizioni che legittimano e giustificano l’adozione del provvedimento, né sussistono obblighi motivazionali oltre all’indicazione dei presupposti per l’esercizio della revoca e per la declaratoria della decadenza (cfr. T.A.R. Campania, sez. VII, 30 settembre 2011, n. 4570). Ebbene, posto che la decadenza di cui trattasi costituisce un atto dovuto, risulta evidente che non residua alcuno spazio per verificare se vi sia stata una lesione del principio di proporzionalità (cfr. T.A.R. Campania, sez.. VII, 24 febbraio 2011, n. 1138).
6. Va pure respinto l’ultimo motivo del ricorso, col quale è stata dedotta la violazione dell’art. 42 della Costituzione, in quanto la procedura intrapresa dal Comune intimato, obliterando del tutto il principio di tipicità degli atti amministrativi, avrebbe quale effetto quello di pervenire all’ablazione di beni di ingente valore, senza osservare le forme del procedimento espropriativo e senza corrispondere al privato alcun indennizzo.
Sul punto, il Collegio rileva che non può configurarsi la prospettata ipotesi di ablazione priva di indennizzo, in quanto nel caso di specie sono stati attivati doverosi poteri decadenziali. Di talché, intervenuta la decadenza della concessione di suolo cimiteriale, coerentemente è stata disposta l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere realizzate sul suolo demaniale ai sensi dell’art. 953 del codice civile. Infine, come pure già rilevato in giurisprudenza, risulta infondata: “la tesi secondo cui la decadenza dovrebbe comunque dar titolo ad un indennizzo, poiché ben può una norma nazionale – nel caso di violazione della disciplina riguardante un bene spettante ad una pubblica amministrazione – prevedere la restituzione del medesimo bene (e di ciò che su di esso sia stato costruito) all’ente che ne è titolare e senza corresponsione di indennizzo, affinché il patrimonio pubblico sia gestito nel rispetto del principio di legalità ed in conformità agli interessi pubblici: una tale misura è senz’altro proporzionata, mentre la invocata regola della spettanza dell’indennizzo sarebbe tale da disincentivare il rispetto delle regole (incoraggiando il concessionario a violarle, ove mancassero conseguenze economiche sfavorevoli nel caso di commissione dell’illecito)” (cfr. C.d.S., sez. V, 26 settembre 2014, n. 4841).
7. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso.
8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, definitivamente pronunciando sul ricorso, per come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Comune intimato, liquidando le stesse in euro duemila, oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza, nelle camere di consiglio dei giorni 17 dicembre 2014 e 2 marzo 2015, con l’intervento dei magistrati:
Michele Perrelli, Presidente
Pasquale Mastrantuono, Consigliere
Benedetto Nappi, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)