TAR Lombardia, Sez. II, 13 novembre 2006, n. 2142

Norme correlate:  

Massima

Testo

Norme correlate:
Art 1 Legge n. 10/1977
Art 4 Legge n. 10/1977

Testo completo:
TAR Lombardia, Sez. II, 13 novembre 2006, n. 2142
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione 2^
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3463 del 2002 proposto da SELVA PIANA s.r.l. con sede in Lecco, in persona dell’A.U. signor Antonio Fagioli, rappresentata e difesa dagli avv.ti Graziano Dal Molin e Ornella Del Frate, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, via Leopardi 22
contro
COMUNE di OLIVETO LARIO, non costituito in giudizio
per l’annullamento
del provvedimento 13 agosto 2002 (prot. n. 4280, pratica edilizia n. 30/2002), emesso dal responsabile del Servizio Tecnico (Settore Edilizia Privata), che ha negato la concessione edilizia per la realizzazione di un edificio produttivo in frazione Limonta, via privata Belvedere, su parte del mappale 210 di proprietà della ricorrente, nonché del connesso parere 20 giugno 2002 della commissione edilizia, con la condanna del Comune al risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente.
Visto il ricorso, notificato il 12 e depositato il 26 novembre 2002;
Vista la memoria della ricorrente;
Visti atti e documenti di causa;
Udito, alla pubblica udienza del 9 novembre 2006, relatore il dott. Carmine Spadavecchia, l’avv. Alessandro Dal Molin, per delega dell’avv. Graziano Dal Molin;
Considerato quanto segue in
FATTO e DIRITTO
1. La Società ricorrente, proprietaria di un lotto di terreno adiacente alla via privata Belvedere, in frazione Limonta, distinto in catasto col n. 210, gravato da vincolo di inedificabilità assoluta nella parte ricadente in fascia di rispetto cimiteriale, ha chiesto (istanza 21.11.2001), in seguito alla riduzione di ampiezza di detta fascia, autorizzata dalla competente autorità sanitaria, il rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di un edificio produttivo ai sensi dell’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977 n. 10.
Con provvedimento 13 agosto 2002 il responsabile del settore edilizia privata ha opposto un diniego sul rilievo che “l’area oggetto di intervento, a seguito della decadenza del vincolo, determinata dalla riduzione della fascia di rispetto cimiteriale, è allo stato attuale non più interessata da pianificazione urbanistica e risulta essere di fatto un’area che, all’interno di uno strumento urbanistico vigente, si è trovata priva di destinazione funzionale”; così qualificata, l’area è soggetta al disposto dell’art. 49, lettera a), della legge regionale 15 aprile 1975 n. 51, che nelle aree di questo tipo ammette solo costruzioni pertinenti la conduzione agricola.
Rimasta senza esito l’istanza di riesame del provvedimento, la Società ha impugnato il diniego per violazione e falsa applicazione dell’art. 4, u.c., legge n. 10/1977 e dell’art. 49 della legge regionale 15 aprile 1975 n. 51, nonché per errore sui presupposti, chiedendo altresì la condanna del Comune al risarcimento del danno derivante dall’ostacolo illegittimamente frapposto alla realizzazione del progetto; progetto che la Società assume di avere presentato dopo avere ricevuto dall’ufficio tecnico comunale rassicurazioni sulle possibilità edificatorie dell’area e di averlo per giunta integrato – sobbarcandosi ulteriori costi di progettazione – a richiesta dello stesso ufficio, che mai avrebbe obiettato in merito alla fattibilità dell’intervento.
Secondo la ricorrente, il venir meno del vincolo conseguente alla riduzione della fascia di rispetto comporterebbe, analogamente a quanto si verifica in caso di decadenza di vincoli espropriativi per decorso del termine quinquennale di efficacia, l’applicazione dell’art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, il quale, per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali, prevede (previsione estensibile per consolidata giurisprudenza alle zone già colpite da vincoli poi decaduti) una ridotta edificabilità, e in particolare, per quanto qui interessa, la realizzazione di edifici produttivi entro il limite di copertura fondiaria di 1/10 dell’area di proprietà.
Vero è che la norma si applica “in mancanza di norme regionali”, e che in Lombardia è (era) vigente la legge regionale 15 aprile 1975 n. 51.
Nella fattispecie, tuttavia, sarebbe applicabile – secondo la tesi svolta in ricorso – non già l’art. 49, lettera a), della legge regionale, riguardante le aree prive di destinazione funzionale, bensì la lettera d) dello stesso articolo, riguardante i comuni sprovvisti di piano regolatore, nei quali, fino all’entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico, sono ammesse appunto (con disposizione che riecheggia quella dettata dal legislatore statale) costruzioni destinate ad attività produttive con indice di copertura fondiaria non superiore a 1/10. L’area per cui è causa, infatti, lungi dall’avere “perso” una destinazione funzionale, non l’avrebbe mai avuta, né prima, né dopo il decreto ministeriale n. 1444 del 1968, essendo gravata da un vincolo ex lege; vincolo non equiparabile, appunto perché di origine legale, ai vincoli di inedificabilità introdotti dagli strumenti urbanistici, come tali soggetti a decadenza quinquennale.
2. Il ricorso è infondato per le ragioni già esposte in precedenti analoghi (cfr. sentenza n. 281/94) da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi.
L’art. 49 della (allora vigente) legge regionale 15 aprile 1975 n. 51, nel prevedere l’obbligo di adeguare la pianificazione comunale alle disposizioni della legge urbanistica regionale, disciplinava i termini entro i quali i comuni avrebbero dovuto provvedere alla revisione dei propri strumenti urbanistici, distinguendo tra comuni dotati di strumenti urbanistici generali e non, e tra comuni dotati di uno strumento urbanistico approvato posteriormente ovvero anteriormente all’entrata in vigore del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444.
Nelle more di tale adeguamento la norma prevedeva transitoriamente una limitata capacità edificatoria; in particolare stabiliva (lettera a) che “nelle zone agricole o prive di destinazione funzionale” di comuni con strumenti urbanistici vigenti, approvati posteriormente all’entrata in vigore del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 “….. sono consentite esclusivamente costruzioni pertinenti la conduzione agricola, con volumetria riferita alla sola residenza annessa non superiore a 0.03 mc./mq.”.
Tale essendo la lettera della disposizione, che fa riferimento, da un lato, a comuni dotati di strumento urbanistico e dall’altro, genericamente, a zone prive di destinazione funzionale, è evidente che tale ultima nozione è idonea ad inglobare tutte le ipotesi di zone bianche, sia quelle divenute tali in seguito alla perdita di efficacia del vincolo introdotto dallo strumento urbanistico, sia quelle in cui il vincolo di inedificabilità di origine legale sia comunque venuto meno, non essendovi motivo alcuno di distinguere in ragione della (diversa) origine e natura del vincolo.
3. La ricorrente ritiene invece che il caso di specie trovi disciplina nella lettera d) dell’art. 49, che nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali consente, sempre in via transitoria, e fuori del perimetro del centro edificato, di realizzare insediamenti ridotti (indice di copertura fondiaria non superiore a 1/10) destinati ad attività produttive.
Reputa al contrario il Collegio che alle ragioni di ordine letterale, che escludono siffatta interpretazione, si associano ragioni di ordine logico, basate sulla identità di ratio: se l’assimilazione, infatti, deve ispirarsi al criterio della maggiore affinità, l’ipotesi di (singole) zone in cui sia venuto meno un vincolo di inedificabilità ex lege è prossima a quella delle zone in cui sia decaduto il vincolo impresso dallo strumento urbanistico, piuttosto che a quella di territori che di uno strumento urbanistico siano totalmente privi. In conclusione, non v’è ragione di differenziare il regime delle zone bianche all’interno di comuni muniti di strumento urbanistico vigente: l’assenza di una specifica destinazione funzionale, quale che ne sia la causa, all’interno di uno strumento urbanistico è cosa diversa dalla mancanza totale dello strumento urbanistico.
La situazione dell’area della ricorrente continua dunque ad essere quella di un’area che, nell’ambito di uno strumento urbanistico vigente, è priva di destinazione funzionale, e come tale soggetta al regime (transitorio) di cui alla lettera a) del citato articolo 49, che non consente la realizzazione di insediamenti produttivi; salvi restando (cfr. decisione n. 7/84 dell’Adunanza plenaria) l’obbligo del Comune di integrare il piano regolatore e i rimedi offerti all’interessato per ovviare all’inerzia dell’Amministrazione.
4. Per le ragioni esposte il ricorso va respinto. Non v’è luogo a provvedere sulle spese, non essendosi il Comune costituito in giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia respinge il ricorso.
Nulla per le spese.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 9 novembre 2006, con l’intervento dei magistrati:
Carmine Spadavecchia, presidente-estensore
Daniele Dongiovanni, referendario
Pietro De Berardinis, referendario