Norme correlate:
Massima
Testo
Norme correlate:
Art 3 Legge n. 241/1990
Art 33 Decreto Legislativo n. 80/1998
Testo completo:
TAR Lazio, Roma, Sez. II, 1° febbraio 2005, n. 895
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione II
Composto da:
Roberto Scognamiglio, Presidente
Paolo Restaino, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 530/2004 proposto dalla ditta individuale Romano Pagani, rappresentata e difesa dall’avv. Giorgio Cavalli e dall’avv. Sandra Ottaviani ed elettivamente domiciliata in Roma, via Properzio 32, presso lo studio dell’avv. Fabio Cisbani;
contro
il Comune di Morlupo in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso difeso dall’avv. Roberto Zazza, unitamente al quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Cola Di Rienzo, n. 28;
per l’annullamento
della delibera della Giunta Comunale di Morlupo n. 220 del 29.11.03, di revoca, con decorrenza 1.1.2004, dell’incarico alla ditta Romano Pagano, perché “continua a gestire il servizio di illuminazione votiva del CIMITERO comunale senza valido titolo autorizzativo”, nonché, limitatamente alla durata, della delibera della G.M. n. 10 del 19.3.1999, di proroga dell’incarico alla citata ditta fino alla data del 31.12.2004, intendendosi lo stesso fino al 31.12.2003; ciò con invito a non porre in riscossione il canone 2004 (da rideterminarsi da parte dell’Ente e che doveva essere introitato entro il 31 gennaio di ciascun anno) ed inoltre con decisione di gestire per il momento il servizio di illuminazione votiva tramite il personale dell’Ente fino a nuova disposizione, con declaratoria di immediata eseguibilità del provvedimento;
degli atti presupposti, connessi, e consequenziali;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Morlupo;
Vista la memoria prodotta dalla parte ricorrente a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 13 dicembre 2004 il Consigliere Giancarlo Luttazi;
Formulate le difese in udienza, come da verbale;
Considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente, che gestisce da lungo tempo il servizio di illuminazione votiva nel CIMITERO del Comune di Morlupo, impugna il provvedimento specificato in epigrafe rubricando i seguenti motivi:
1) Violazione degli artt. 7 e segg. della legge 7 agosto 1990, n. 241; 2) Difetto assoluto di motivazione, falsa motivazione. Motivazione contraddittoria, incongrua ed illogica. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Travisamento dei fatti. Difetto di istruttoria. Sviamento. Illogicità. Violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede. Eccesso di potere per assenza delle ragioni di pubblico interesse legittimanti la revoca degli atti impugnati.
Essa chiede l’annullamento dell’atto impugnato e, per l’effetto:
– la propria reintegrazione nell’esercizio del pubblico servizio di illuminazione cimiteriale fino a 31.12.2004;
– in via subordinata, la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente a causa del mancato introito degli abbonamenti annuali, e determinati dal prodotto di € 14,00 per il numero di utenze attivate, detratto il valore dell’importo da riconoscere al Comune concedente, oltre a interessi e rivalutazione monetaria.
Con memoria depositata il 12.3.2004 si è costituito in giudizio il Comune di Morlupo, che ha eccepito difetto di giurisdizione e infondatezza nel ricorso merito.
Con ordinanza n. 1596/2004 il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare fissando per la trattazione del merito la data del 24.5.2004.
La ricorrente ha depositato una memoria il 13.5.2004, controdeducendo alla memoria avversaria.
Entrambe le parti hanno depositato documenti.
Alla pubblica udienza del 24.5.2004 la causa è stata trattenuta in decisione e con sentenza n. 8058/2004 sono stati disposti incombenti istruttori.
La causa è definitivamente passata in decisione all’udienza del 13 dicembre 2004.
DIRITTO
1.0 – La pregiudiziale di giurisdizione è infondata.
Il Comune di Morlupo sostiene, richiamando giurisprudenza amministrativa e di Cassazione su controversie anteriori alla vigenza della legge 21 luglio 2000, n. 205, che in materia di adempimento, risoluzione e rescissione di contratti della Pubblica Amministrazione la giurisdizione appartiene al giudice ordinario.
L’assunto, a prescindere da ogni altra considerazione, omette di considerare che alla data dell’atto impugnato l’art. 33, lettera b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, tra le quali, espressamente, quelle tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi.
La presente controversia, dunque, inerendo a un rapporto tra una Amministrazione pubblica e un gestore di pubblico servizio, è stata correttamente sottoposta al giudice amministrativo.
Nel merito, peraltro, il ricorso va respinto.
1.1 – La prima censura lamenta la violazione degli artt. 7 e segg. della legge 7 agosto 1990, n. 241: l’impugnato provvedimento di revoca, incidendo negativamente sulla situazione di vantaggio generata dalla delibera consiliare n. 18 del 1999 (sulla quale v. infra, al capo 1.2.0 che segue) , avrebbe dovuto essere preceduto da comunicazione di avvio del procedimento.
La censura va respinta perché non risulta – né dalle prospettazioni della ricorrente né dagli atti – che l’invocata comunicazione di avvio del procedimento avrebbe apportato una qualche utilità all’azione amministrativa sfociata nell’atto impugnato (confr., da ultimo, C.d.S., Sez. IV, 1° ottobre 2004, n. 6383).
Né la ricorrente ha prospettato un suo specifico interesse (ad esempio risarcitorio: v. invece sopra nella parte in fatto l’istanza risarcitoria portata in ricorso) ad un annullamento dell’atto impugnato per il solo vizio di mancata comunicazione d’avvio del procedimento. Anzi, rispetto a questa prima censura procedimentale quelle ulteriori non sono poste in via subordinata ma paritaria.
Ne consegue l’assenza di uno specifico interesse alla delibazione della sola questione procedimentale: anche in caso di accoglimento della presente censura sul mancato avviso del procedimento il Collegio dovrebbe comunque pronunciarsi sulle censure ulteriori, e queste, poiché riguardano in gran parte la pretesa sostanziale della ricorrente (reintegrazione nell’esercizio del pubblico servizio di illuminazione cimiteriale fino a 31.12.2004; o, in via subordinata, la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente a causa del mancato introito degli abbonamenti annuali) , assorbono la semplice censura procedimentale.
1.2.0 – Quanto alle testé riferite censure ulteriori sono anch’esse da respingere.
La ricorrente precisa di aver avuto l’affidamento del servizio di illuminazione votiva nel CIMITERO del Comune di Morlupo mediante trattativa privata, giusta delibera consiliare n. 299 del 19.12.1989, e aggiunge che, a seguito di ampliamento del CIMITERO, con delibera consiliare n. 18 del 19.3.1999 il servizio è stato esteso anche all’area d’ampliamento, e testualmente prorogato “per un periodo di cinque anni fino al 31 dicembre 2004, agli stessi patti e condizioni di cui al contratto in data 15 febbraio 1990 repertorio n. 229”.
L’impugnata delibera n. 220/2003 ha premesso in motivazione:
– che nel 1999, alla scadenza, con la citata delibera consiliare n. 18 del 19.3.1999 il servizio era stato esteso anche all’ampliamento cimiteriale e prorogato per cinque anni, ma senza “che sia mai seguito alcun contratto”;
– che la ricorrente ha continuato a corrispondere all’Ente, dal 1990, l’importo di £ 1.000 (oggi € 0,52) per ogni utenza, “pur avendo nel tempo adeguato più volte il canone annuo dalle iniziali Lit. 15.000 alle attuali Lit. 27.107 (Euro 14,00) “;
– che “ciò è avvenuto in palese violazione dell’art. 10 punto p) delle condizioni contrattuali stabilite con la Ditta Pagano in quanto non sono state reperite in atti né autorizzazione agli aumenti né dettagliate e documentate richieste del sig. Pagano a dimostrazione degli aumentati costi di gestione”;
– che tale gestione si è protratta senza formale atto di affidamento;
e – ritenuto di “dover riorganizzare la gestione del servizio e adeguare gli importi …(omissis) … che, a fronte di reiterati aumenti del canone, sono rimasti gli stessi dal 1990”; e “nelle more di una seria analisi e valutazione dei vantaggi dell’appalto rispetto a una gestione diretta” – ha così disposto:
1) ha revocato l’incarico con decorrenza 1.1.2004 sul rilievo che la ditta continuava “a gestire il servizio di illuminazione votiva del CIMITERO comunale senza valido titolo autorizzativo”;
2) ha revocato, limitatamente alla durata, la delibera della G.M. n. 18 del 19.3.1999, di proroga dell’incarico fino alla data del 31.12.2004, “intendendosi lo stesso fino al 31.12.2003”;
3) ha invitato la ricorrente a non porre in riscossione il canone 2004 (da rideterminarsi da parte dell’Ente e che doveva essere introitato entro il 31 gennaio di ciascun anno) ;
4) ha stabilito di gestire per il momento il servizio di illuminazione votiva tramite il personale dell’Ente fino a nuova disposizione;
5) ha dichiarato l’immediata eseguibilità del provvedimento.
1.2.1 – La ricorrente lamenta innanzi tutto che la delibera n. 220/2003 sarebbe priva di motivazione; ma il rilievo è infondato: la delibera, come risulta dalla sintesi fattane nel capo che precede, dà pienamente conto delle ragioni che ne sono alla base.
1.2.2 – Le censure che seguono riguardano proprio dette ragioni.
In primo luogo il rilievo del provvedimento impugnato circa l’invarianza nel tempo del contributo riconosciuto al Comune da parte del concessionario, a fronte dell’aumento del canone annuo corrisposto al concessionario stesso dagli utenti, non sarebbe giustificato, perché il contratto rep. n. 229 del 15.2.1990, richiamato nella delibera n. 18 del 1999, non prevederebbe alcun obbligo per il concessionario di aggiornare il contributo.
L’addebito fatto dall’atto impugnato circa l’adeguamento del canone in assenza di richiesta della ricorrente e di autorizzazione comunale non terrebbe conto della circostanza che l’autorizzazione in parte non era richiesta, ex art. 9 del contratto di appalto, ed in parte non era necessaria dato il comportamento del Comune, dovendosi interpretare il silenzio dell’Ente, a fronte di specifiche richieste di applicazione della clausola di cui alla lettera p) di detto art. 9, come tacita volontà pubblica di autorizzare gli aumenti.
Questa censura è infondata.
Se in effetti la incontestata lex specialis del rapporto fra ricorrente e Comune, costituita dal contratto in data 15 febbraio 1990, rep. n. 229, non prevedeva in capo al concessionario obblighi di aggiornare il contributo da corrispondere al Comune, per altro verso l’art. 9 (o 10: la relativa numerazione non risulta chiara; n.d.r.) di questo contratto, richiamato dalla stessa ricorrente, prevedeva ai commi primo e secondo che “l’eventuale variazione delle condizioni di abbonamento” fra concessionario e utenti potesse avvenire soltanto “previo accordo con l’Amministrazione comunale”; e specificava al successivo punto p) che la ditta concessionaria avrebbe potuto modificare dette condizioni di abbonamento, “sia per il migliore svolgimento del servizio che qualora venissero a modificarsi gli attuali costi di materiali, della mano d’opera e delle spese generali”, soltanto “previa autorizzazione dell’Amministrazione comunale”.
Unica eccezione erano “gli eventuali aumenti di costo dell’energia elettrica nonché lo aumento o istituzione di nuove imposte erariali o comunali sulla energia elettrica”: per essi la parte finale del medesimo punto p) prevedeva (in questo caso senza previa autorizzazione) l’addebito agli utenti “per il relativo importo di rivalsa, nei termini di legge”.
Analoga, anche se non identica, previsione recavano i citati commi primo e secondo dello stesso art. 9.
Dagli atti depositati risulta che gli aumenti, imposti all’utenza senza la previa autorizzazione comunale, sono stati disposti in gran parte per autonoma determinazione della ricorrente, e non, “nei termini di legge”, per rivalsa su “aumenti di costo dell’energia elettrica” o per “aumento o istituzione di nuove imposte erariali o comunali sulla energia elettrica”.
Pertanto, diversamente da quanto asserito, il relativo rilievo dell’atto impugnato risulta corretto.
In proposito è rilevante la nota della ricorrente in data 5.11.2002, che nel richiedere al Comune l’arrotondamento del canone per utente da € 13,17 (pari a £ 25.500) a € 13,20, precisa che questo canone è stato aggiornato nel 1993 “a seguito di richiesta” motivata dai seguenti incrementi dei costi:
a) Fornitura energia elettrica ai loculi: aumento medio del 20%;
b) Installazione e manutenzione impianti e materiale occorrente: aumento medio del costo del 30%;
c) Spese relative a esazione, cancelleria e varie: aumento del costo del 10%.
Questa nota costituisce una sostanziale ammissione che gli aumenti del canone sub b) e c) , non consentiti senza previa autorizzazione del comune, sono stati invece disposti per autonoma determinazione della ricorrente.
Infatti non è stata né depositata né invocata nessuna autorizzazione comunale relativa a questi aumenti. Anzi gli unici documenti attinenti depositati portano argomenti ulteriori per desumere autonomi aumenti del canone:
– la richiesta di aggiornamento del canone in data 16.12.1992 chiedeva un importo di £ 20.000, diverso da quello riferito nella citata nota del 5.11.2002; e non risulta assentita dal Comune;
– è depositata, anzi, la nota comunale prot. n. 3719 del 10.3.1993, che in esito a una richiesta di aggiornamento del canone prot. n. 18755 del 17.12.1992, non autorizzava alcunché, ma chiedeva invece dettagli sui maggiori costi di gestione che avrebbero reso necessario l’incremento del canone;
– il riscontro della ditta Pagani (con nota del 20.3.1993) indicava voci di aumento coincidenti solo in piccola parte con quelli consentiti senza previa autorizzazione (energia elettrica: aumento medio del 5%;
installazione e manutenzione impianti e materiale occorrente: aumento medio del costo del 30%; tasse e imposte varie: aumenti di legge; spese di gestione: personale, esazione, cancelleria e varie: aumento del costo del 10%) , ma nessuna di queste voci risulta poi autorizzata.
Quanto all’asserito accoglimento implicito di specifiche richieste Pagano di applicazione della citata clausola di cui all’art. 9, lettera p) , del contratto, esso è da escludere, poiché – a prescindere da ogni altra considerazione sul fatto specifico – per il principio di tipicità degli atti amministrativi il silenzio-assenso non può concretarsi al di fuori di una espressa previsione di legge.
1.2.3 – La ricorrente lamenta altresì che il rilievo dell’atto impugnato secondo cui il servizio era gestito senza formale atto di affidamento è smentito dal tenore della citata delibera consiliare n. 18 del 1999; dalla circostanza che le condizioni di cui al contratto rep. n. 229 del 1990, già intercorrente tra le parti, sono richiamate in detta delibera e rese nuovamente operanti con la proroga relativa al quinquennio 1999-2004;
nonché dall’esser stata formulata, con la ripetuta delibera n. 18/1999, accettazione scritta dell’offerta della ricorrente di cui all’atto n. 3445 del 10.3.1999.
In effetti, sul punto, l’atto impugnato è erroneo, perché l’ulteriore affidamento era stato disposto dalla delibera n. 18/1999, che alla scadenza aveva prorogato il servizio per cinque anni, estendendolo anche all’ampliamento cimiteriale (v. supra al capo 1.2.0) .
L’esattezza del presente rilievo, però, non può determinare la caducazione dell’impugnata delibera n. 220/2003, poiché la delibera, come risulta da una sua lettura complessiva (per la quale si rinvia al citato capo 1.2.0) , non fonda esclusivamente sull’erroneo rilievo ora in esame, ma anche su considerazioni (quelle già saggiate nel precedente capo 1.2.2 e quella di cui al capo 1.2.4 che segue) che sorreggono l’atto impugnato a prescindere dall’erronea affermazione ora in esame.
1.2.4 – Un ultimo rilievo è mosso contro la parte dell’atto impugnato che, revocando la citata delibera n. 18/1999 quanto alla proroga dell’incarico alla data del 31.12.2004, ha limitato questa proroga al 31.12.2003.
La ricorrente sostiene che in proposito non vi sono ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale e che, proprio per questo, l’atto impugnato non menzionerebbe dette ragioni di pubblico interesse.
Anche questo rilievo è infondato.
Le ragioni di quella limitazione della proroga al 31.12.2003 risultano dalla motivazione dell’atto impugnato (v. supra nel capo 1.2.0) ; ed appaiono immuni da vizi logico-valutativi (gli unici che sulle scelte amministrative possa delibare un giudice della legittimità) .
In particolare, non appare né illogico né frutto di erronea valutazione che:
– a fronte degli aumenti di canone per utente non autorizzati dal Comune (come invece previsto dal contratto disciplinante il rapporto) ;
– a fronte di una corrispondente e più che decennale invarianza della piccola quota annuale di £ 1.000 per utente corrisposta dalla Pagani al Comune;
– a fronte dell’intendimento dell’Amministrazione – giustificato sia in sé sia dalle due contrastanti circostanze testé considerate – di “riorganizzare la gestione del servizio e adeguare gli importi”;
– a fronte della ritenuta – e anch’essa, come l’intendimento di cui sopra, giustificata sia in sé sia dalle due contrastanti circostanze testé considerate – esigenza “di una seria analisi e valutazione dei vantaggi dell’appalto rispetto a una gestione diretta”;
il Comune abbia ritenuto di abbreviare di un anno la proroga della gestione Pagani a suo tempo disposta con la delibera n. 18/1999; e di gestire nel frattempo il servizio con dipendenti comunali.
2. – In conclusione il ricorso va respinto.
Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio respinge il ricorso in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso dal Tribunale amministrativo regionale nella Camera di consiglio del 13 dicembre 2004.