Corte di Cassazione, Sez. III Civ., 10 gennaio 2023, n. 370

Corte di Cassazione, Sez. III Civ., 10 gennaio 2023, n. 370

Corte di Cassazione
Civile Sent. Sez. 3 Num. 370 Anno 2023
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: CRICENTI GIUSEPPE
Data pubblicazione: 10/01/2023

SENTENZA
sul ricorso 25848/2019 proposto da:
AFC Torino Spa in persona della Dott.ssa Michela Favaro,
domiciliata ex lege in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Finocchiaro Antonio;
-ricorrente –
contro
R. Margherita, elettivamente domiciliata in Roma Via Pasubio, 15 presso lo studio dell’avvocato Mungo Stefano, rappresentata e difesa dall’avvocato Basso Eva;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 200/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 31/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2022 da CRICENTI GIUSEPPE;
Fatti di causa
Margherita R. convenne in giudizio l’AFC Torino s.p.a. (concessionaria e titolare di affidamento diretto, da parte del Comune di Torino, dei servizi cimiteriali di sepoltura e di movimentazione defunti), per sentirla condannare al risarcimento del danno non patrimoniale patito a seguito della cremazione dei resti del padre, successiva alla riesumazione, che assumeva avvenuta in violazione della normativa vigente;
dedusse che né lei, né la madre (all’epoca ancora vivente), né la sorella erano state informate della cremazione in quanto l’AFC si era limitata a trasmettere una raccomandata alla sola attrice, che non l’aveva ricevuta in quanto era stata inviata (senza alcuna preventiva verifica anagrafica) all’indirizzo riportato nella fattura relativa alle spese di sepoltura, che non era più -da anni- quello effettivo della destinataria;
aggiunse che, ove fossero stati informati, i familiari del defunto avrebbero optato per una nuova inumazione, anziché per la cremazione;
il Tribunale di Torino accolse la domanda e liquidò il danno dell’attrice in 5.300,00 euro;
provvedendo sul gravame della AFC, la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza (salvo ridurre il risarcimento a 2.500,00 euro) rilevando -fra l’altro- che:
la disciplina applicabile in relazione alle possibilità di procedere alla cremazione della salma esumata (e non ancora completamente scheletrizzata) è rinvenibile, in primo luogo, nell’art. 79 del D.P.R. n. 285/1990 (Regolamento di Polizia Mortuaria), dettato in riferimento alla cremazione del cadavere dopo il decesso (in alternativa alla inumazione o alla tumulazione), ma da ritenere applicabile anche a quella dei resti umani rinvenuti in sede di esumazione, come si desume dall’art. 3, comma 6 D.P.R. n. 254/2003 che, nell’escludere, per i resti umani, l’applicazione dei commi 4 e 5 del predetto art. 79, fa evidentemente salva l’applicazione dei commi primo e secondo, prevedenti la necessità di una volontà espressa (in vita) dal defunto o, dopo il decesso, dal coniuge o (in difetto) dai parenti più prossimi; in tal senso dispone anche l’art. 3, lett. g) della l. n. 130/2001 (“Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri”), ai sensi della quale “l’ufficiale dello stato civile, previo assenso dei soggetti di cui alla lett. b), numero 3), o, in caso di loro irreperibilità, dopo trenta giorni dalla pubblicazione nell’albo pretorio del comune di uno specifico avviso, autorizza la cremazione delle salme inumate da almeno dieci anni e delle salme tumulate da almeno venti anni”; «sebbene non siano stati emanati i decreti attuativi» dei principi espressi dall’anzidetto art. 3 (il cui comma primo prevede l’adozione di un regolamento entro sei mesi dell’entrata in vigore della legge), «la disposizione prevista dalla lett. g) trova immediata applicazione, sia ove la si consideri norma interpretativa di disposizione previgente e cioè degli artt. 79 DPR 285/90 e 3 comma 6 DPR 354/03, sia, come preferibile, trattandosi di disposizione che ha efficacia precettiva, a prescindere dall’emanazione di una norma di dettaglio, che sul punto non è necessaria disciplinando compiutamente la materia»; l’anzidetto art. 3 della I. n. 130/2001 prevede pertanto la necessità di un consenso espresso da parte dei familiari che può essere sostituito da una pubblicazione di avviso nell’albo pretorio soltanto in caso di loro irreperibilità; al riguardo, «l’appellante non ha provato che la comunicazione personale non era possibile (avendo sempre affermato per contro che non era necessaria), né che fosse particolarmente gravosa», mentre «la comunicazione per pubblici proclami ovvero attraverso i quotidiani (comunicazione effettivamente effettuata da AFC) non è idonea a consentire di ritenere un soggetto irreperibile», a nulla rilevando «che le stesse siano state previste dal Regolamento Comunale e da Circolari Ministeriali, trattandosi di fonti sotto ordinate alla legge ed in quanto tali non idonee a derogare alla norma primaria» (tanto più che l’idoneità di tali forme di pubblicità ad avvisare gli interessati che verranno effettuate le estumulazioni e le esumazioni dipende
dal fatto che per tali procedure non è previsto alcun consenso da parte degli interessati); atteso pertanto che, «per poter procedere alla cremazione dei resti mortali […] la norma richiede il consenso espresso dei famigliari, tranne nei casi di loro irreperibilità», «nel caso in cui, ricevuta la comunicazione, la parte si disinteressi, l’amministrazione non potrà procedere alla cremazione dei resti mortali, in quanto il disinteresse non equivale a consenso», con la conseguenza che, «nel caso di disinteresse dei famigliari, si dovrà procedere ad una nuova inumazione»; atteso che, nel caso di specie, «l’appellante non ha dimostrato di aver informato i soggetti che dovevano esprimere il consenso […], deve ritenersi provata la condotta illecita di Afc»;
ha proposto ricorso per cassazione I’AFC Torino s.p.a., affidandosi a tre motivi (il terzo articolato sub 3.1, 3.2, 3.3 e 3.5, oltreché sub 3.4, ove è dedotta una questione di legittimità costituzionale);
ha resistito la R., con controricorso;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..
alla udienza del 9.11.2021, ma poi rinviata per essere trattata in pubblica udienza.
Le parti hanno nuovamente illustrato le loro ragioni con memorie.
Il PG ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
§.- Il primo motivo (III.1) denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 79 del D.P.R. n. 285/1990 e dell’art. 3, commi 5 e 6 del D.P.R. n. 254/2003: la ricorrente assume che la norma dell’art. 79 del Regolamento di Polizia Mortuaria concerne esclusivamente la cremazione del cadavere (in occasione della “prima sepoltura”), mentre per la cremazione dei resti mortali derivanti da attività di esumazione ed estumulazione l’art. 3 del D.P.R. n. 254/2003 prevede che l’autorizzazione sia rilasciata de plano dal competente ufficio comunale, «in assenza della documentazione prevista dai commi 4 e 5, art. 79 D.P.R. n. 285/1990, che non è ovviamente richiesa, e senza in alcun modo richiedere l’assenso dei familiari», giacché
«la norma non rinvia affatto alle condizioni di cui al citato art. 79» ;
aggiunge che in tal senso orientano anche la Circolare del Ministero della Sanità n. 10 del 31.7.1998 e l’ordinanza sindacale n. 970/2011 del Comune di Torino;
il secondo motivo (III.2) deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2, commi 2 e 11, della L.R. Piemonte n. 20/2007, a mente dei quali «la cremazione e la conservazione delle ceneri nei cimiteri sono disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285» (comma 2) e «le autorizzazioni alla cremazione, al trasporto, all’inumazione o alla tumulazione dei resti mortali, sono rilasciate ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254» (comma 11): la ricorrente assume che «del tutto errata è pertanto la considerazione svolta nella motivazione della sentenza per la quale, in tale fattispecie “il consenso dei famigliari era già richiesto dal predetto DPR 285/1990”; così come errata è l’interpretazione e l’applicazione della norma regionale, ed in particolare del comma 11, che al contrario legittima senz’altro l’autorizzazione alla cremazione indipendentemente dal consenso (o assenso) espresso dei familiari»;
col terzo motivo, la AFC Torino denuncia: «III.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. g) L. n. 130/2001. 111.3.1. Sulla inefficacia della norma in assenza di regolamento attuativo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 2 e 11, della L.R. Piemonte in data 31.10.2007, n. 20. Violazione e falsa applicazione, anche sotto il profilo della errata disapplicazione della circolare Ministero Sanità n. 10 del 31.07.1998 e dell’Ordinanza sindacale in data 4.03.2011 n. 970 del Comune di Torino»;
la ricorrente contesta che la norma dell’art. 3 1. n. 130/2001 (che non può essere ritenuta interpretativa di quella dell’art. 3, comma 6 D.P.R. n. 254/2003, dato che quest’ultima è successiva) disciplini compiutamente la materia, al punto che la sua efficacia non sia condizionata dall’emissione del regolamento attuativo: richiamato il parere n. 2957/03 espresso dal Consiglio di Stato -che ha ritenuto immediatamente applicabili, nonostante la mancata emanazione del regolamento, le sole disposizioni della l. n. 130/2001 «alle quali può riconoscersi efficacia precettiva per compiutezza di disciplina (self executing)»-, rileva che la disposizione «richiede necessariamente l’emanazione di norme attuative che ne rendano chiara, coerente e possibile l’operatività» e che pertanto «non può trovare diretta ed automatica applicazione, in quanto, appunto, richiede la definizione di molteplici aspetti applicativi»; più precisamente, in quanto la norma nulla dispone «in merito alla precisa portata della ‘irreperibilità’ quale condizione per procedere in mancanza di assenso»; «nulla dispone in ordine alle modalità, natura formale e condizioni della comunicazione agli interessati dell’avvio eventuale della cremazione Li, presupposto per l’eventuale esplicazione dell’assenso previsto dalla lett. g) o per il perfezionamento della condizione di irreperibilità»; «nulla dispone esplicitamente per il caso in cui, effettuata la comunicazione, sussista o permanga il silenzio, il disinteresse, degli interessati»; evidenziata pertanto la mancata operatività dell’art. 3, lett. g) della l. n. 130/2001 in assenza di regolamento attuativo, la ricorrente conclude che, «in caso di cremazione di resti mortali, non può che intervenire il disposto del già richiamato art. 3, commi 5 e 6 D.P.R. n. 254/2003, intervenuto successivamente alla norma in esame, che rimette al competente ufficio comunale il rilascio dell’autorizzazione (anche) alla cremazione dei resti mortali, senz’altra condizione»;
la ricorrente prosegue (al punto III.3.1.1.) affermando che, alla luce della riforma costituzionale di cui alla l. Cost. n. 3/2001, comportante una competenza almeno concorrente, nella materia, di Stato e Regione, la norma di cui all’art. 2, comma 11 L.R. Piemonte n. 20/2007, «supera la norma previgente (L. n. 130/2001) e comunque costituisce essa stessa il complesso delle norme attuative» previste dall’art. 3, comma 1, l. n. 130/2001;
di seguito (al punto III.3.2., rubricato «sulla interpretazione della norma, ove ritenuta comunque applicabile. Violazione e falsa applicazione dell’art. 8, commi 1 e 3, l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione, anche sotto il profilo della errata disapplicazione, del regolamento comunale n. 264 per il servizio mortuario e dei cimiteri del Comune di Torino, con riferimento agli artt. 41 e 42 dell’Ordinanza sindacale in data 4.03.2011 n. 970 del Comune di Torino»), la ricorrente assume che, quand’anche si riconoscesse l’immediata applicabilità della norma dell’art. 3, comma 1, lett. g) della l. n. 130/2001, la stessa «dovrebbe essere interpretata in modo opposto a quanto assunto dal Giudice di appello», sia «in riferimento alle forme della comunicazione da svolgere nei confronti degli aventi diritto sia […] in relazione agli effetti del silenzio serbato a fronte della comunicazione legalmente perfezionata»;
tanto rilevato in relazione alla portata e alla (negata) immediata efficacia dell’art. 3, comma 1, lett. g) l. n. 130/2001, la ricorrente solleva (al punto III.4.) eccezione di costituzionalità della norma per «violazione del principio di buon andamento della Amministrazione ex articolo 97 della Carta e del principio di ragionevolezza, corollario di principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Carta – c.d. eccesso di potere legislativo»; più specificamente, contesta la legittimità costituzionale della norma «ove interpretata: – nel senso di escludere forme di comunicazione agli interessati, aventi diritto ad esprimere l’assenso, nelle forme previste dall’art. 8, comma 3, della L. n. 241/1990; – e nel senso di escludere che il mancato riscontro alla comunicazione effettuata nelle forme di legge consentite, c.d. ‘disinteresse’ costituisca condizione equivalente all’assenso ritualmente espresso»;
al punto III.5., la ricorrente denuncia, infine, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 2 Cost. e censura la sentenza laddove afferma che è stato violato il principio costituzionale della pietas dei defunti, costituente estrinsecazione della propria libertà personale e del diritto ad esercitare il proprio pensiero e di professare la propria fede:
assume che il sentimento di pietà per i defunti, inteso quale diritto soggettivo ad esercitare il culto dei propri morti, non è stato leso, tenuto conto che le ceneri sono state riposte in un’urna riportante i dati identificativi del defunto e che la pratica della cremazione è consentita da tempo anche dalla Chiesa cattolica ed è ampiamente diffusa nel costume sociale.
§.- Tutti questi motivi, ponendo questioni comuni, possono valutarsi insieme e sono infondati.
La legge n. 130 del 2001 ha demandato ad un successivo regolamento la nuova disciplina di polizia mortuaria, ponendosi però essa stessa come fonte di quella disciplina in alcuni casi particolari.
All’articolo 1 lettera g, la norma prevede che ” l’ufficiale dello stato civile, previo assenso dei soggetti di cui alla lettera b) numero 3), o, in caso di loro irreperibilità, dopo trenta giorni dalla pubblicazione nell’albo pretorio del comune di uno specifico avviso, autorizza la cremazione delle salme inumate da almeno dieci anni e delle salme tumulate da almeno venti anni“.
Non è stato emanato regolamento attuativo di tale norma di legge, e tuttavia può fondatamente dirsi che la norma in questione è comunque vigente, essendo il suo precetto sufficientemente dettagliato da potersi
applicare: è’ infatti previsto che l’ufficiale dello stato civile debba richiedere il consenso dei parenti, previo loro individuale avviso, e, nel caso di irreperibilità, previa affissione all’albo. Con la conseguenza che la norma contempla almeno due forme alternative di comunicazione agli interessati, che esauriscono le ipotesi che si possono verificare in concreto.
Inoltre, attraverso il richiamo alla lettera b) del medesimo articolo, la legge individua altresì in modo specifico la categoria dei parenti il cui assenso deve essere richiesto.
Si tratta quindi di una norma che non ha bisogno di ulteriori specificazioni per poter essere applicata.
Ciò posto, è pacifico che la comunicazione individuale è stata effettuata a domicilio non corretto, per poi essere rinnovata, ma erroneamente, mediante pubblici proclami.
L’articolo l sopra richiamato prevede il previo assenso dei parenti, e questa previsione comporta allocazione di un diritto ad essere informati e dunque ad acconsentire o meno alla cremazione.
Qui il consenso è atto strumentale alla tutela di un interesse preesistente, ossia non consistente nel consenso stesso: quello del vivente alla integrità del corpo del defunto, ed altresì alla possibilità di culto verso quest’ultimo. La legge prevede il consenso del parente proprio perché riconosce al parente un interesse non solo ai culto verso il defunto, ma altresì a che la modalità di tale culto non sia imposta in forme diverse da quelle fino a quel momento esercitate (già Cass. 1834 del 1975 ha riconosciuto il diritto del parente alla scelta del luogo e della modalità di sepoltura).
In sostanza, il corsenso dei parenti è strumentale alla realizzazione o alla tutela dell’interesse cosiddetto secondario al sepolcro.
Tradizionalmente si distingue infatti tra diritto primario al sepolcro, ossia il diritto di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro, e che taluno ritiene avere natura reale, tale altro personale; ed il diritto secondario, questo però di natura personalissima ed intrasmissibile, che spetta a chiunque sia congiunto di una persona, che riposa in un sepolcro, di accedervi e di opporsi ad ogni trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella spoglia.
Questo diritto secondario è senz’altro, come si è detto, un diritto di natura personale, difettando il potere sulla cosa caratteristico del diritto di sepolcro primario, e consistendo esso piuttosto che nella tutela del godimento o dell’uso di un sepolcro, nella tutela del sentimento del parente verso il defunto.
Ne segue, e pare ovvio, che esso si distingue dall’interesse dei parenti a che la salma rimanga nel luogo di sepoltura per il periodo minimo previsto dalla legge, nonché ad avere risarcimento per l’illegittima anticipata traslazione, interesse sotteso al diritto primario, ossia al diritto di uso e godimento del sepolcro. Un risalente precedente di questa Corte ha risolto qualificando come di interesse legittimo la posizione dei parenti in questo caso: interesse che, se illegittimamente affievolito dal provvedimento amministrativo di anticipato trasferimento della salma, dà diritto al risarcimento (Cass. 2062 del 1952).
Inoltre, i diritti secondari di sepolcro oltre che distinguersi dall’interesse di cui si è detto in precedenza, vanno distinti dalla pietà verso i defunti, quale oggetto giuridico dei reati previsti dagli articoli 407 e ss. dei codice penale: pietà che consiste nel sentimento collettivo, e non già individuale, che la società esprime verso i propri cari. Si ricorderà che una delle obiezioni alla introduzione nel codice penale dei delitti contro la pietà dei defunti fu proprio dì dire che si trattava di sentimenti personali non suscettibili di tutela penale, e la replica fu, per l’appunto, che invece quei delitti vanno punti perché ledono un sentimento sociale nobilissimo.
Piuttosto, i diritti secondari di sepolcro hanno a contenuto sentimenti che esaltano l’aspetto spirituale dell’uomo e costituiscono la parte più alta e fondamentale del patrimonio affettivo della comunità, e rappresentano dal punto di vista giuridico la classe dei sentimenti-valori, qualificati positivamente dal diritto e protetti sia in funzione della loro attuazione sia contro eventuali violazioni.
Una remota decisione di merito ha inteso ravvisare il fondamento di tali sentimenti-valori, per via analogica, nelle disposizioni sulla tutela del nome per ragioni familiari (art. 8 c.c.), dell’abuso dell’immagine altrui (art. 10 c.c.), dei diritti relativi alla corrispondenza epistolare ed al ritratto (art. 93-96 l. 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d’autore) (Trib. Roma 4 aprile 1973, in Dir. fam., 1974, 1080 ss.). E cosi ha fatto parte della dottrina.
Ma, a prescindere da tali norme, l’ interesse dei parenti ad avere un luogo per onorare il defunto, e l’interesse a che tale luogo non sia trasformato, è esplicazione di un diritto della personalità, o di una manifestazione del diritto alla personalità (ove si acceda alla tesi monistica) posto che il culto dei defunti è parte della vita personale di ciascuno, e dunque momento di sviluppo della personalità, cui concede rilevanza l’articolo 2 della Costituzione.
Esso è anche espressione della libertà religiosa di ognuno, quale che sia la religione seguita, essendo il culto dei defunti comune alle diverse religioni praticate dai cittadini: e dunque il diritto secondario di sepolcro trova fondamento altresì nell’articolo 19 della Costituzione, che garantisce la libertà di religione e con essa delle pratiche che ne sono espressione.
Le leggi ordinarie stabiliscono le modalità di tutela di tale diritto, ma esso è innanzitutto un diritto che trova ragione nella Carta fondamentale, e precisamente nei citati articoli 2 e 13.
Ciò si dice in quanto i congiunti del defunto, di cui si discute, hanno chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale, che, come p noto, in assenza della previsione espressa di un suo risarcimento, è risarcibile ove derivi dalla violazione di interessi costituzionalmente tutelati.
Infine, non può dirsi che l’interesse, pur rilevante costituzionalmente, non ha subito tuttavia alcuna lesione (censura posta al punto III.5 del ricorso, p. 31), in quanto la salma è stata trasformata in cenere: è di tutta evidenza che l’interesse al culto dei defunti non è leso soltanto dalla distruzione o dispersione del cadavere, ma altresì dalla imposizione di forme di culto che non sono previamente accettate dai parenti del defunto. Questa conclusione è imposta proprio dalla necessità del consenso dei parenti: prevedendo che la trasformazione debba essere autorizzata, è la legge stessa che considera lesione del diritto una trasformazione che ne prescinda.
E’ la stessa legge, ossia, a dare rilevanza al mero trasferimento (oltre che alla trasformazione) della salma, ossia è la legge stessa a riconoscere un diritto ad opporsi alla cremazione, e da ciò si deduce che la cremazione, se non autorizzata, è lesivo del diritto di culto.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La novità della questione consente la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n.115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Roma, 11.11.2022

Written by:

Sereno Scolaro

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