Consiglio Stato, Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049

Norme correlate:  

Massima

Testo

Norme correlate:
Decreto Legislativo n. 267/2000
Art 113 Decreto Legislativo n. 267/2000
Art 3 Regio Decreto n. 2440/1923
Art 6 Regio Decreto n. 2440/1923
Art 41 Regio Decreto n. 827/1924
Art 33 Decreto Legislativo n. 80/1998

Testo completo:
Consiglio Stato, Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO 2007
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso iscritto al NRG 91542007, proposto dalla ditta Massa Paolo & F. s.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Verde, elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via G. Cesare n. 14;
contro
Comune di Orta Nova, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Nino Matassa, domiciliato presso lo studio del dott. A. Placidi in Roma, via Cosseria n. 2;
e nei confronti di
Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche – A.n.e.i.l.v.e. – in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Cinti ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, via Lima n. 31.
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, sezione III, n. 2103 dell’11 settembre 2007.
Visto il ricorso in appello;
visto l’atto di costituzione in giudizio del comune di Orta Nova;
visto l’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche -A.n.e.i.l.v.e. (in prosieguo A.n.e.i.l.v.e.);
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza dell’11 novembre 2008 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Cinti, Matassa e Verde;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La società Paolo Massa & F. s.n.c. (in prosieguo ditta Massa) gestisce sin dal 1964 il servizio di illuminazione votiva del cimitero di Orta Nova (cfr. atto n. rep. 90 del 1 aprile 1964 recante l’affidamento a trattativa privata del servizio in questione).
1.1. Con deliberazione consiliare n. 262 del 12 agosto 1988 il comune di Orta Nova ha rinnovato, sempre a trattativa privata ed in favore della medesima ditta, la concessione della gestione, con diritto di esclusiva, dell’impianto elettrico e del servizio di illuminazione elettrica cimiteriale.
1.2. E’ stato quindi stipulato il relativo contratto di concessione (n. rep. 1046 dell’8 ottobre 1988).
Nel contratto si precisa che accanto alla gestione del servizio di illuminazione votiva la ditta Massa si impegna ad effettuare lavori di adeguamento dell’impianto elettrico per un importo complessivo di lire 53.431.000 (art. 1); si attribuisce alla medesima ditta la facoltà di costruire a proprie spese e di gestire nuovi impianti di distribuzione di energia per illuminare le tombe gentilizie, delle confraternite, delle sepolture private e delle fosse comunali (art. 1); si stabilisce la durata ventennale della concessione, con scadenza al 31 dicembre 2008 (art. 2); si prevede, allo scadere della concessione, la facoltà del comune di riaffidare la gestione del servizio in appalto con il contestuale diritto della ditta Massa alla <<….continuità a parità di condizioni risultanti dal nuovo appalto, sempreché non lo vieti ragioni di pubblico interesse>> (art. 3); viene fissato un canone annuo in favore del comune (art. 4); si definiscono gli obblighi di integrazione, miglioria e manutenzione dell’impianto elettrico a carico della ditta (artt. 7 – 11); si specificano gli obblighi di fornitura nei confronti dell’utenza privata, le relative tariffe ed i canoni a carico dei singoli richiedenti (art. 14); si prevede, in particolare e per quanto di interesse ai fini della presente controversia, che <> (art. 12).
1.3. Completato l’ampliamento dell’area cimiteriale nel corso dell’anno 2000, la ditta Massa ha inoltrato al comune, a mente dell’art. 12 del contratto di concessione, una serie di richieste per l’esecuzione, a sue spese, delle nuove opere elettriche.
Con nota prot. n. 21445 del 30 settembre 2004 il comune ha ricusato la richiesta, manifestando l’intenzione di affidare i lavori a seguito di gara e riservandosi di definire successivamente le modalità di gestione della nuova rete elettrica cimiteriale.
1.4. E’ insorta la ditta Massa, davanti al T.a.r. della Puglia, per domandare, dopo aver svolto una lunga premessa sulla giurisdizione del giudice amministrativo:
a) l’annullamento del provvedimento di diniego;
b) l’accertamento del diritto all’estensione dell’oggetto del contratto di concessione ed alla proroga del servizio di illuminazione;
c) la condanna al risarcimento dei danni.
Si è costituito il comune di Orta Nova, riconoscendo esplicitamente la giurisdizione del giudice amministrativo, ma confutando nel merito tutte le pretese.
Con atto di motivi aggiunti la ditta Massa ha impugnato anche la nota comunale – prot. n. 141 del 5 gennaio 2007 – recante la diffida ad eseguire unilateralmente i lavori di ampliamento dell’impianto elettrico.
2. L’impugnata sentenza – T.a.r. della Puglia, sezione III, n. 2103 dell’11 settembre 2007 – data per scontata la giurisdizione del giudice amministrativo, ha respinto con dovizia di argomenti tutte le censure e le relative domande, condannando la ditta Massa al pagamento delle spese processuali.
3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato la ditta Massa ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. deducendo:
a) il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nel presupposto che l’oggetto della controversia sia rappresentato dall’interpretazione dell’art. 12 del contratto di concessione;
b) che nel caso di specie il contratto stipulato nel 1988 avrebbe ad oggetto non già una concessione di servizi pubblici bensì una concessione di costruzione e gestione di opera pubblica ovvero mista, attesa la prevalenza, nell’economia generale del rapporto, dei costi di realizzazione del nuovo impianto elettrico rispetto a quelli di gestione del servizio di illuminazione votiva, con la conseguente inapplicabilità delle disposizioni sancite dall’art. 113 t.u. enti locali, sostituite dalla disciplina tipica degli appalti richiamata dall’art. 144 codice dei contratti pubblici;
d) in subordine si invoca l’applicabilità in astratto della disciplina dettata dall’art. 113 bis, t.u. enti locali per i servizi locali privi di rilevanza economica.
4. Si è costituito il comune di Orta Nova deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame in fatto e diritto. E’ intervenuta ad adiuvandum del ricorrente l’Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche – A.n.e.i.l.v.e. (in prosieguo A.n.e.i.l.v.e.).
5. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica dell’11 novembre 2008.
6. L’appello è infondato e deve essere respinto.
Preliminarmente la sezione precisa che il thema decidendum del presente giudizio è circoscritto dalle censure di primo grado come criticamente riproposte dall’originario ricorrente, non potendo trovare ingresso le doglianze nuove sollevate dall’interventore ad adiuvandum in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. ed alla ratio essendi dell’istituto che consente l’introduzione nel processo amministrativo di interessi di mero fatto o riflessi (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 7 maggio 2008, n. 2094).
6.1. Deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità, per carenza assoluta di interesse, del primo motivo di gravame volto a contestare la giurisdizione del giudice amministrativo. L’eccezione è infondata.
Presupposto indefettibile per esercitare l’impugnazione è la soccombenza.
In astratto, pertanto, solo la parte soccombente in punto di giurisdizione potrebbe appellare il relativo capo di sentenza; tale possibilità sembrerebbe esclusa nel caso concreto essendo risultata la ditta Massa vincitrice sul punto.
In proposito, partendo dalla contrapposizione elaborata dalla dottrina germanica fra soccombenza formale e sostanziale, si ritiene che l’interesse ad impugnare debba considerarsi in senso pratico, risolvendosi cioè nel contrasto tra il contenuto della sentenza e le richieste avanzate in primo grado; tale interesse andrebbe apprezzato, pertanto, esclusivamente in relazione all’utilità giuridica che alla parte impugnante potrebbe derivare dall’accoglimento del gravame, con esclusione però dell’interesse di mero fatto o di quello puramente teorico (cfr. Cass. 20 giugno 2005, n. 14031; 24 luglio 2005, n. 15623).
Date queste premesse vengono considerate non più eccezioni, ma manifestazioni della illustrata regola, le numerose ipotesi di soccombenza sostanziale acquisite dalla giurisprudenza fra cui si rinviene, per quanto qui interessa, quella che ravvisa l’interesse ad impugnare nei casi in cui l’attore, soccombente nel merito, abbia visto risolta in suo favore una questione pregiudiziale di rito rilevabile d’ufficio, che, risolta diversamente, gli consentirebbe la riproposizione della domanda.
Ché è quanto accadrebbe nel caso di specie, dove dall’eventuale accoglimento del pertinente motivo di gravame, discenderebbe l’annullamento, senza rinvio al T.a.r. ex art. 34, l. n. 1034 del 1971, dell’impugnata sentenza per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la translatio judicii davanti al giudice ordinario (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1606).
Deve convenirsi, pertanto, con la giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui la statuizione del giudice di primo grado sulla giurisdizione è riesaminabile in appello allorché la relativa questione sia stata sollevata in termini, e ciò a prescindere dall’avere l’appellante prescelto col ricorso di primo grado il giudice che poi contesta, posto che tale deduzione riflette sì una contraddittorietà logica ma non tale da risultare incompatibile con la sussistenza dell’interesse ad appellare, essendo comunque idoneo il motivo così dedotto ad ovviare alla soccombenza derivante dalla decisione appellata (cfr. Cons. St., sez. IV, 24 febbraio 2000, n. 999).
Tali conclusioni non appaiono suscettibili di rimeditazione alla luce del recente drastico intervento operato dalla Corte di cassazione sulla portata dell’art. 37 c.p.c. (cfr. sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883).
Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno proposto una interpretazione restrittiva e residuale dell’art. 37 c.p.c., compiendo un nuovo passo verso una sostanziale unità delle giurisdizioni.
L’occasione è stata offerta da un ricorso per difetto di giurisdizione del giudice tributario proposto dalle amministrazioni soccombenti tanto in primo che in secondo grado, le quali non avevano in precedenza sollevato alcuna eccezione sotto tale profilo, che non aveva pertanto formato oggetto di esplicita pronuncia.
La corte affronta, risolvendolo in senso affermativo, il tema della possibilità di formazione di un giudicato implicito sulla giurisdizione, tale per cui, indipendentemente dalla pronuncia espressa sulla giurisdizione da parte del giudice di primo grado, l’omessa contestazione di quest’ultima in sede di appello ne implica il definitivo radicamento innanzi al plesso giurisdizionale originariamente adito.
Muovendo dalla premessa che “qualsiasi decisione del merito implica la preventiva verifica della potestas iudicandi” e che “se la questione della giurisdizione non viene sollevata in alcun modo, significa che non vi è nessuna necessità che il giudice “mostri le proprie credenziali”. Ma, il fatto che la decisione non sia “visibile”, non significa che sia inesistente”, le sezioni unite ne deducono che “la tesi secondo la quale soltanto in caso di dubbio espresso possa riconoscersi la forza certificatrice del giudicato appare illogica, perché esclude tale vis proprio quando la questione non presenta alcun margine di incertezza e viene decisa de plano”. Dopo aver ricordato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 276, comma 2, c.p.c. (che, come noto, rispettivamente impongono la verifica d’ufficio della potestas iudicandi e la previa disamina delle questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio rispetto alla decisione sul merito), la pronuncia afferma che “in definitiva, la decisione sul merito implica la decisione sulla giurisdizione e, quindi, se le parti non impugnano la sentenza o la impugnano, ma non eccepiscono il difetto di giurisdizione, pongono in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire tale difetto e, quindi, si verifica il fenomeno dell’acquiescenza per incompatibilità con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 329, secondo comma, c.p.c. e dall’art. 324 c.p.c.”.
Il pensiero delle sezioni unite è ulteriormente sviluppato in un successivo passaggio della pronuncia, nel quale si rileva che “l’evoluzione del quadro legislativo, ordinario e costituzionale, mostra l’affievolimento della centralità del principio di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, accompagnata dalla simmetrica emersione dell’esigenza di burocratizzare la giustizia, non più espressione esclusiva del potere statale, ma servizio per la collettività, che abbia come parametro di riferimento l’efficienza delle soluzioni e la tempestività del prodotto-sentenza, in un mutato contesto globale in cui anche la giustizia deve adeguarsi alle regole della concorrenza (si parla infatti di concorrenza degli ordinamenti giuridici”); più avanti la medesima decisione richiama, in nome della “bontà e celerità del servizio giustizia, la “perdita di anelasticità ed impermeabilità della giurisdizione quale risulta dalla sentenza n. 77 del 2007 della Corte costituzionale che ha innovato rispetto ai tradizionali principi della incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi, incompatibili con un sistema che non può sacrificare “il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della contesa”.
E’ evidente che i principi espressi dalla Cassazione, ancorché traggano linfa diretta nel dovere di lealtà e probità previsto dall’art. 88 c.p.c. e nel valore costituzionale della ragionevole durata del processo, non consentono di superare:
a) il dato positivo specifico sancito per il processo amministrativo dall’art. 30, co. 1 e 2, l. n. 1034 del 1971, oggetto di opposta interpretazione da parte dell’adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. decisioni nn. 4 e 6 del 2005 che ammettono il rilievo officioso da parte del Consiglio di Stato della questione di giurisdizione in presenza di una statuizione implicita);
b) alcuni limiti invalicabili all’evoluzione in senso dispositivo della disciplina dei meccanismi di rilievo della giurisdizione (testimoniata dall’abrogazione dell’art. 2 c.p.c., in relazione al quale la stessa sentenza delle sezioni unite invoca il fenomeno del c.d. forum shopping), intrinseci alla regola costituzionale del giudice naturale ed al principio generale dell’effetto devolutivo dell’appello;
c) la conseguente impossibilità di configurare, praeter legem, meccanismi preclusivi processuali che inibiscano nel corso del giudizio di primo grado la verifica officiosa della potestas iudicandi e conseguentemente in sede di gravame la proposizione del relativo mezzo (come dovrebbe ammettersi nel caso di specie qualora si riconoscesse l’effetto preclusivo dell’accettazione esplicita da parte del comune della giurisdizione amministrativa).
6.2. Per un migliore esame di tutti i motivi di appello proposti, è indispensabile assodare l’esatta natura giuridica dell’affidamento per cui si controverte.
Come noto tale riscontro deve essere effettuato prioritariamente attraverso la disamina degli atti della procedura di affidamento (cfr. Cons. St., sez. V, 15 gennaio 2008, n. 36).
In linea generale si ritiene che l’illuminazione elettrica votiva di aree cimiteriali da parte del privato costituisca oggetto di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica e fruizione individuale perché richiede che il concessionario impegni capitali, mezzi, personale da destinare ad un’attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, almeno potenzialmente, di generare un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 14 aprile 2008, n. 1600).
Tanto si evince dal d.m. 31 dicembre 1983 che ricomprendeva tra i c.d. servizi pubblici a domanda individuale proprio quello di illuminazione votiva e risulta oggi confermato dalla norma generale sancita dall’art. 172, co. 1, lett. e), t.u. enti locali che impone di allegare al bilancio di previsione, fra gli altri documenti, le deliberazioni con le quali sono determinati le tariffe per i servizi locali, nonché per quelli a domanda individuale, nonché i tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei servizi stessi.
In questi casi emerge il tratto distintivo della concessione di pubblico servizio che è dato:
a) dall’assunzione del rischio legato alla gestione del servizio quale modalità di remunerazione dell’attività del prestatore (cfr. da ultimo Corte giust. CE, 18 luglio 2007, C-382/05); in quest’ottica, esaltando la funzione dell’assunzione di rischio, si ritiene addirittura irrilevante che il servizio pubblico sia indivisibile e che sia remunerato attraverso il pagamento di un prezzo da parte dell’amministrazione anziché mediante un corrispettivo a carico degli utenti (cfr. Cons. St., sez. V, 15 gennaio 2008, n. 36; sez. V, 9 giugno 2008, n. 2865, fattispecie in tema di illuminazione di strade comunali, dove si è affermato essere indifferente che i cittadini usufruiscano del servizio uti singuli o come componenti della collettività);
b) dalla circostanza che il corrispettivo non sia versato dall’amministrazione, come nei contratti di appalto di lavori, servizi e forniture la quale, anzi, percepisce un canone da parte del concessionario (cfr. Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3333);
c) dalla diversità dell’oggetto del rapporto, che nella concessione di servizi è trilaterale (coinvolgendo l’amministrazione, il gestore e gli utenti), mentre nell’appalto è bilaterale (stazione appaltante – appaltatore).
In seguito la distinzione è stata codificata dalla direttiva 31 marzo 2004/18/CE e quindi recepita nel nostro ordinamento dall’art. 3, co. 12, del Codice dei contratti, definendo la concessione di servizi come “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
Per quanto concerne la distinzione tra concessioni di servizi e concessioni di lavori, al cospetto di fattispecie miste (come nella vicenda in esame) nelle quali le procedure di affidamento contemplano anche l’esecuzione di lavori congiuntamente alla gestione del servizio, deve evidenziarsi la modifica dell’art. 2, l. n. 109 del 1994 ad opera della l. n. 62 del 2005 con la codificazione del criterio qualitativo – funzionale dell’accessorietà dei lavori rispetto all’oggetto principale dedotto nel contratto di servizio pubblico; sotto tale angolazione, con riferimento ancora alla normativa previgente, la Corte di giustizia CE non aveva mancato di stigmatizzare il diverso criterio della prevalenza quantitativa delle restazioni a torto invocato dall’odierno appellante (cfr. sentenza 21 febbraio 2008, causa C/412/04); anche la più recente giurisprudenza nazionale ritiene che si avrà concessione di lavori pubblici ovvero di pubblici servizi a seconda che risulti strumentale il servizio rispetto alla costruzione dell’opera o viceversa (cfr. Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3518; Cons. St., sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2804).
Tanto premesso sul piano dei principi, emerge per tabulas, dalla ricostruzione dianzi effettuata del contenuto della delibera consiliare e del relativo contratto, che nel caso di specie l’amministrazione ha inteso in primo luogo affidare la gestione del servizio di illuminazione votiva e prevedere in chiave meramente accessoria l’ammodernamento dell’impianto elettrico.
Dal punto di vista funzionale pertanto, l’impianto elettrico in questione è un semplice strumento rispetto all’esigenza prioritaria di assicurare il culto dei defunti anche attraverso la gestione del servizio di illuminazione; e questo a prescindere dalla diversa incidenza dei costi delle opere e del servizio rispetto al valore complessivo della concessione.
6.3. Può scendersi all’esame del mezzo di gravame con cui si contesta la giurisdizione del giudice amministrativo.
Il mezzo è infondato.
6.3.1. Nella vigenza dell’originaria versione dell’art. 5, l. T.a.r. non si dubitava che allorquando un comune si fosse avvalso dell’opera di un privato in relazione alle attività connesse all’illuminazione votiva cimiteriale, il relativo rapporto concretasse una concessione di pubblico servizio e non di opera pubblica, come tale soggetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. Cass., sez. un., 7 agosto 1998, n. 7757).
Alle medesime conclusioni è pervenuta la giurisprudenza dopo l’entrata in vigore della norma sancita dall’art. 33, d.lgs. n. 80 del 1998 (cfr. Cass. sez. un., 27 aprile 2000, n. 294, secondo cui la controversia tra il concessionario di un pubblico servizio di illuminazione votiva cimiteriale e l’amministrazione, relativa alla revisione annuale delle tariffe da praticare agli utenti ed al contributo di allacciamento spettante al concessionario, è devoluta al giudice amministrativo).
Il quadro non è mutato, in parte qua, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004; nella nuova formulazione risultante dall’intervento manipolativo, l’art. 33, co. 1, cit. dispone nel senso che “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi …. ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio…”.
La presente controversia, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, ha ad oggetto la decisione dell’amministrazione di non concedere un ulteriore affidamento diretto del servizio in questione (oltre che degli accessori lavori di costruzione della piattaforma elettrica); trattasi dunque di un giudizio avente natura essenzialmente impugnatoria di un atto espressivo di funzione pubblica.
Si è al cospetto, quindi, di una controversia in cui l’eventuale cognizione di diritti soggettivi da parte del giudice amministrativo è in relazione al coinvolgimento immediato e diretto di poteri amministrativi, secondo il paradigma individuato dalla Corte costituzionale nella su menzionata sentenza n. 204 del 2004.
6.4. Accertata la natura propriamente concessoria di servizio pubblico, a rilevanza economica e fruizione individuale, del rapporto giuridico che lega il comune di Orta Nova alla ditta Massa, la sezione può prescindere dall’esame delle plurime eccezioni di inammissibilità, sollevate dalla difesa comunale per violazione del divieto dei nova, delle censure di merito articolate in sede di appello, stante la loro infondatezza.
Le tesi propugnate dall’appellante non possono essere accolte per due ordini autonomi di ragioni.
6.4.1. L’art. 12 del contratto, al contrario di quanto sostenuto dall’appellante, non fonda alcun diritto soggettivo del concessionario in ordine all’estensione dell’ambito oggettivo e della durata temporale del rapporto concessorio.
Esso, viceversa, presuppone l’esercizio da parte dell’ente concedente dei poteri pubblicistici suoi propri.
A tale conclusione si giunge facendo uso dei canoni legali di interpretazione del contratto ed in particolare di quelli sanciti dagli artt. 1362 e 1363 c.c.
La reale intenzione delle parti emerge dal tenore testuale della clausola recata dal menzionato art. 12, letta alla luce del complesso delle pattuizioni contrattuali costitutive di una classica fattispecie di concessione – contratto, ovvero di un accordo accessivo ad un provvedimento autoritativo unilaterale che affida l’esercizio del servizio pubblico ad un soggetto estraneo all’organizzazione dell’ente concedente.
In tale contesto è evidente che la clausola prevista dall’art. 12 richiami, nella sostanza, la struttura del patto di opzione il cui modello è scolpito dall’art. 1331 c.c.: un negozio bilaterale, accessivo ad un contratto principale, in cui il promittente (la ditta Massa) rende irretrattabile la dichiarazione manifestata di concludere un eventuale successivo contratto di servizio, dando corso ad una proposta irrevocabile cui corrisponde la facoltà di accettazione – giammai l’obbligo – da parte del promissario (il comune di Orta Nova).
6.4.2. Ulteriore ostacolo all’accoglimento delle domande di annullamento, accertamento e condanna proposte dalla ditta Massa si rinviene in alcune norme sancite dall’art. 113, t.u. enti locali, nel testo vigente al momento della adozione dei provvedimenti di diniego opposti dal comune, quale risulta a seguito dell’intervento manipolativo operato dalla Corte costituzionale con la sentenza 27 luglio 2004, n. 272.
In particolare vengono in rilievo due norme.
La prima è quella divisata dal comma 15 bis secondo cui “…le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006…”.
E’ evidente che la concessione del servizio votivo, affidata senza gara, in base alla norma imperativa su riportata sarebbe venuta a scadenza anticipata rispetto al termine naturale fissato al 31 dicembre 2008 dall’art. 2 del contratto, ostacolando qualsiasi possibilità di proroga del servizio medesimo.
La seconda norma impeditiva della pretesa della ditta ricorrente è quella sancita dal comma 5, del medesimo art. 113, secondo cui “L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio: a) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica….”.
La norma in commento, che impedisce in generale di affidare servizi pubblici locali a rilevanza economica senza gara, è a sua volta espressiva di un principio risalente, enucleabile dagli artt. 3 e 6, r.d. n. 2440 del 1923, e 41, r.d. n. 827 del 1924, applicato dalla giurisprudenza di questo Consiglio proprio avuto riguardo al servizio di illuminazione votiva (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, n. 1600 del 2008 cit.; sez. VI, 7 aprile 2006, n. 1893) ed incentrato sul carattere assolutamente eccezionale del ricorso alla trattativa privata.
Bene ha fatto, pertanto, il comune a rifiutare la richiesta di esecuzione dei lavori e di proroga dell’affidamento del servizio di illuminazione votiva.
7. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:
– respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;
– condanna la ditta Massa Paolo & F. s.n.c. e l’Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche – A.n.e.i.l.v.e. – in solido fra loro, a rifondere in favore del comune di Orta Nova le spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 8.000/00 oltre accessori come per legge (12,50% a titolo rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 novembre 2008, con la partecipazione di:
Domenico La Medica – Presidente
Filoreto D’Agostino – Consigliere
Aniello Cerreto – Consigliere
Vito Poli Rel. Estensore – Consigliere
Francesco Caringella – Consigliere
ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Vito Poli f.to Domenico La Medica
IL SEGRETARIO f.to Rosi Graziano
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 5/12/08 (Art. 55 L. 27/4/1982, n. 186)
P. IL DIRIGENTE f.to Livia Patroni Griffi