Consiglio di Stato, Sez. V, 18 ottobre 2002, n. 5767

Norme correlate:
Art 46 Decreto Presidente Repubblica n. 445/2000
Art 47 Decreto Presidente Repubblica n. 445/2000
Decreto Presidente Repubblica n. 403/1998
Art 2 Legge n. 191/1998

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. V, 18 ottobre 2002, n. 5767
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello n.r.g. 5146 del 2001, proposto da ASTRO SYSTEM S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Cocozza e Antonio D’Angelo ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Luigi Napolitano, in Roma, viale Angelico, n. 38,
contro
il Comune di Afragola, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Sasso ed elettivamente domiciliato con lo stesso, in Roma, lungotevere Flaminio, n. 46, presso Gianmarco Grez, e nei confronti della s.p.a. Impresa Emilio Alfano, rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Soprano e Maria Grazia Ingrosso, presso i quali è elettivamente domiciliata in Roma, via degli Avignonesi, n. 5, per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, Sez. I, n. 116/2001, pubblicata l’undici gennaio 2001.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 7 maggio 2002, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli avvocati Cocuzza, D’Angelo, Soprano e Sasso;
Visto il dispositivo della decisione n. 234 del 8 maggio 2002, pubblicato a norma di legge;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorso n. 5146 del 2001 è proposto dalla S.r.l. Astro System di Pianoro. È stato notificato il 7 maggio 2001 e depositato il 18 maggio.
È chiesta la riforma della sentenza n. 116/2001 del T.A.R. della Campania, sede di Napoli, Sezione I, di reiezione del ricorso per l’annullamento del provvedimento del dirigente del Comune di Afragola, n. 329 del 7 dicembre 1999, che dispone l’aggiudicazione del servizio di gestione dell’impianto di distribuzione dell’energia elettrica per l’illuminazione votiva nel cimitero del Comune.
In particolare, in primo grado, è stato censurato il provvedimento di esclusione, stabilito dalla commissione di gara (3 dicembre 1999), per omessa autenticazione della firma nella domanda di partecipazione e nelle relative dichiarazioni.
Sono proposte varie censure, relative all’assenza, nel bando, di una prescrizione di autenticazione delle firme, all’assenza di un regime generale che sancisca tale obbligo per le dichiarazioni da rendere, all’ammissibilità, in ogni caso, della regolarizzazione.
Con memoria del 30 aprile 2002, sono state ulteriormente illustrate le tesi dell’appello.
La società controinteressata, costituitasi in giudizio il 25 maggio 2001, confuta analiticamente i motivi dell’appello.
Richiama anche il ricorso incidentale, proposto in primo grado ed assorbito, con il quale si chiedeva l’annullamento in parte qua del bando, se andava interpretato nel senso che non fosse prescritto “il rispetto della forma stabilita dal combinato disposto dell’art. 2, commi 10 e 11 della L. 191/98 e dall’art. 2, comma 1, del D.P.R. 403/98”.
Il Comune di Afragola, costituitosi in giudizio il 1° giugno 2001, confuta, anch’esso, con memoria del 26 aprile 2002, le tesi dell’appello.
All’udienza del 7 maggio 2002, il ricorso è stato chiamato per la discussione ed è stato, poi, introitato in decisione.
DIRITTO
1. Con bando approvato l’undici ottobre 1999, il Comune di Afragola ha indetto una gara per l’affidamento della gestione dell’impianto di distribuzione dell’energia elettrica per l’illuminazione votiva nel cimitero. Era previsto anche il ripristino ed adeguamento della rete.
Era prescritta la presentazione, insieme all’offerta economica, di due dichiarazioni, riguardanti la presa di conoscenza e l’accettazione di varie situazioni ed atti, nonché il possesso di taluni requisiti (n. ri 2 e 3 del bando).
Di ciascuna dichiarazione è stata prevista la sottoscrizione, senza ulteriori specificazioni.
2. Uno dei requisiti di partecipazione (n. 2 f) del bando), per le imprese concorrenti, era quello di non trovarsi “in nessuna delle condizioni che costituiscono causa di esclusione dagli appalti, previste dall’art. 11, 1° comma, lettere a), b), c) ed f)” del d.lgs. 24 luglio 1992, n. 358 (T.U. delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture). La prescrizione relativa alla predetta lettera a) – inesistenza di stato di fallimento, liquidazione, amministrazione controllata, concordato preventivo – è stata poi ripetuta, come situazione soggettiva da dichiarare, anche nel successivo n. 3 del bando, lett. f) e g).
La società appellante è stata esclusa, perché la sua istanza di partecipazione alla gara non era autenticata “nei modi di legge”.
La norma violata è stata indicata nell’art. 2, comma 10, della legge 16 giugno 1998, n. 191, che ha sostituito l’art. 3, comma 11, della legge 15 maggio 1997, n. 127. La disposizione stabiliva (le relative disposizioni sono state poi trasfuse nel T.U. 28 dicembre 2000, n. 445) che, per la firma di “istanze”, da produrre ad amministrazioni pubbliche, non occorreva autenticazione, se, fra l’altro, l’istanza fosse stata presentata insieme “a copia fotostatica, ancorché non autenticata, di un documento di identità” di colui che l’aveva sottoscritta.
È giustificato ritenere, e sul punto non vi è controversia fra parti, che l’omissione dell’autenticazione va, più esattamente, riferita alla dichiarazione, della quale si è fatto cenno e che il Comune ha esibito in primo grado. È il documento del 10 novembre 1999, con il quale la società ha dato attestazione (n. ri 6 e 7) di non essere stata dichiarata fallita, né di essere stata sottoposta alle altre procedure sopra indicate, negli ultimi cinque anni, e di non essere oggetto di procedimenti volti alla dichiarazione di una delle situazioni stesse.
3. Si tratta, in sintesi, delle situazioni descritte sopra ai n. ri 2 f) e 3 f) e g) del bando.
3.1. Con riguardo a tali stati, era stabilito che era sufficiente la produzione di un certificato oppure di una dichiarazione rilasciata “con le forme di cui alla legge 4 gennaio 1968, n. 15” (art. 11, comma 2, del d.lgs. 358 del 1992, modificato dall’art. 9 del d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 402).
Le forme della legge n. 15 del 1968 erano stabilite nell’art. 2 (dichiarazioni sostitutive di certificazioni) e nell’art. 4 (dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà). La dichiarazione relativa all’inesistenza dello stato di fallimento e delle altre procedure sopra descritte non rientra fra quelle specificamente elencate nell’art. 2 (data e luogo di nascita, residenza, ed altre ancora). È riconducibile, invece, fra quelle contemplate dall’art. 4, che hanno per oggetto “fatti, stati o qualità personali”, e dunque esigeva l’autenticazione della sottoscrizione.
Per effetto del già menzionato art. 3, comma 11, della L. 127 del 1997, l’autenticazione poteva essere, perciò, sostituita dalla semplice sottoscrizione, accompagnata dalla presentazione della copia fotostatica del documento di identità (v. ora l’art. 38, comma 3, del citato T.U. n. 445 del 2000).
3.2. Dalle precisazioni fin qui esposte, deriva che non sono fondate le censure proposte con l’atto d’appello e consistenti nell’ininfluenza delle norme richiamate dal T.A.R., ma anche dall’Amministrazione resistente, perché il bando non ha previsto l’autenticazione della firma; nel diniego di esistenza di una disciplina generale che fissa l’obbligo di autenticazione della firma per le dichiarazioni di scienza e negoziali, alle quali si è riferito il primo giudice; nell’inesistenza di un obbligo, ex L. n. 15 del 1968, di autenticare le dichiarazioni previste dal bando.
Invero, non è condivisibile la tesi che, ove il bando non contenga la relativa prescrizione circa il tipo di sottoscrizione da apporre ai documenti prodotti dalle imprese concorrenti, non si possa far ricorso alle norme di legge che, in via generale, recano la disciplina dei tipi di dichiarazioni che sono ammesse e delle sottoscrizioni che ad esse si devono apporre. Questo Consiglio, infatti, ha già rilevato che il bando non può considerarsi l’unica ed esclusiva fonte per la previsione e la disciplina dei requisiti di partecipazione ad un concorso: esso non può prescindere, per la precisa individuazione della fattispecie, dalle fonti “esterne”, le quali, rispetto al bando stesso, in quanto disposizioni di legge, devono considerarsi prevalenti o, comunque, integrative (IV Sez. n. 380 del 6 marzo 1998).
Anche con riguardo al bando di gara in esame, si deve far applicazione del medesimo principio. E, perciò, l’omessa precisazione, nel bando, dei modi di sottoscrizione, non esimeva dall’obbligo di osservare, relativamente alla firma delle varie dichiarazioni o attestazioni da presentare, le norme di legge che, in via generale, regolavano la materia. Tali erano le norme sopra esaminate, sicché la dichiarazione circa l’inesistenza di uno stato di insolvenza o delle altre procedure contemplate dall’art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 358 del 1992, doveva essere sottoscritta con autenticazione o con il sistema sostitutivo dell’esibizione di fotocopia del documento di identità, del quale si è sopra detto.
3.3. Nei sensi sopra esposti, va corretta la motivazione della sentenza impugnata, rimanendo ferma la reiezione della diversa tesi della parte appellante.
4. Con l’ultimo motivo, la società insiste nella censura, secondo la quale l’Amministrazione poteva ammettere la regolarizzazione dell’offerta.
4.1. In primo grado, sul punto, erano state esposte varie critiche all’operato del Comune. In questa sede, la società si sofferma sulla critica della motivazione data dal T.A.R. e che si è sopra emendata. Essa quindi contesta la natura sostanziale della forma della dichiarazione rilasciata e anche la tesi della violazione della par condicio, che il primo giudice ha opposto alla possibilità di ammettere la regolarizzazione.
Le osservazioni del T.A.R., alla luce delle considerazioni fatte, non possono essere condivise. Risolvendosi, però, l’omessa autenticazione nella mancanza di una regolare attestazione della sussistenza di un requisito di partecipazione, non si può che esaminare, in questa sede, se l’esclusione possa considerarsi illegittima alla luce dell’insieme delle censure, proposte col ricorso introduttivo, in ordine alla dedotta possibilità di regolarizzazione.
Esse si appalesano però non fondate.
4.2. Col secondo motivo, la società aveva lamentato che la facoltà di ammettere la regolarizzazione diviene un vero e proprio obbligo, nell’ipotesi di clausole del bando lacunose, generiche o equivoche.
Si può, però, osservare, in contrario, che non è individuabile, nella clausola che semplicemente prescriveva la sottoscrizione, uno dei caratteri siffatti. È, invero, dalla legge, come si è visto, che era prescritta la forma di autenticazione in discussione ed il bando non può ritenersi equivoco o generico o lacunoso sol perché non richiama tutte le norme di legge delle quali deve farsi applicazione da parte dei concorrenti.
4.3. Col terzo motivo, era stato dedotto che non era stato illegittimamente applicato l’art. 16 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, che prescrive l’invito ai concorrenti a completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto di certificati, documenti o dichiarazioni presentate.
Anche questa tesi non ha pregio. Invero, anche a trascurare l’indicazione della norma applicabile alla specifica gara, il principio che essa pone riguarda il contenuto dei documenti, non già la loro forma e, in particolare, non la possibilità di far autenticare la firma su di essi, violando, così, con riguardo alle prescrizioni valevoli per tutti gli altri concorrenti, il termine perentorio stabilito per la produzione delle offerte e delle dichiarazioni a loro corredo.
4.4. Con il quarto motivo, si è lamentato che non si è proceduto, come invece si è praticato nei riguardi delle altre imprese concorrenti. Per esse è stata effettuata la verifica della veridicità delle dichiarazioni prodotte in sede di gara, mediante acquisizione d’ufficio della certificazione della Camera di commercio.
Ma tale accertamento, condotto dall’Amministrazione, riguardava il possesso di un requisito, non la forma della dichiarazione prodotta per attestarlo. Esso concerneva espressamente l’iscrizione per l’attività oggetto della concessione. Non si tratta, quindi, di situazioni eguali a quella della società ricorrente, sicché non ne è desumibile disparità di trattamento.
4.5. Quest’ultima censura è stata anche avanzata con riguardo ad altra impresa, che, si afferma, sarebbe stata ammessa a partecipare, pur avendo presentato dichiarazione non autenticata, come la ricorrente.
Va però smentita, in punto di fatto, l’affermazione. L’omessa autenticazione non risulta, invero, né accertata nel verbale di gara, né, in particolare, dalla copia del documento, esibita in giudizio, contenente le varie dichiarazioni ed al quale sono allegate, in fotocopia, le copie di tre documenti di identità.
4.6. In conclusione, in difetto di censure fondate circa il mancato ed illegittimo esercizio del potere discrezionale di consentire la regolarizzazione, anche per questa parte l’appello, con correzione della motivazione della sentenza impugnata, non merita accoglimento.
Alla reiezione dell’appello può farsi seguire, ricorrendo giusti motivi, la compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella Camera di Consiglio del 7 maggio 2002, con l’intervento dei Signori:
Alfonso Quaranta – Presidente
Giuseppe Farina – Consigliere estensore
Francesco D’Ottavi – Consigliere
Claudio Marchitiello – Consigliere
Nicolina Pullano – Consigliere

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