Tag: Gestione, Sentenze, trasporto funebre
Norme correlate:
Massima
Testo
Norme correlate:
Art 22 Legge n. 142/1990
Art 1 Regio Decreto n. 2578/1925
Capo 04 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990
Massima:
Cassazione civile, Sez. I, 23 aprile 1994, n. 3936
La delibera comunale avente ad oggetto l’assunzione diretta con diritto di privativa, e salva la possibilità di successivo affidamento a terzi concessionari, del servizio dei trasporti funebri è legittima, essendo, in tali termini, consentita già dal R.D. 15 ottobre 1925 n. 2578 (art. 1) e poi dai regolamenti di Polizia mortuaria di cui al R.D. 21 dicembre 1942 n. 1880 ed al D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 (art. 17), con la conseguenza che il privato, il quale, in violazione delle relative disposizioni, eserciti l’attività oggetto della detta privativa, è, per questo solo fatto, passibile delle previste sanzioni amministrative, non rilevando in contrario l’eventuale illegittimità della concessione con la quale l’ente abbia poi affidato ad altri l’attività medesima.
Testo completo:
Cassazione civile, Sez. I, 23 aprile 1994, n. 3936
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Antonio SENSALE Presidente
” Antonino RUGGIERO Consigliere
” M. Rosario VIGNALE ”
” Ernesto LUPO Rel. ”
” Giulio GRAZIADEI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
MAURO GIUSEPPE E MERONE MAURIZIO elettivamente domiciliati in Roma
Via Nemea 21 c-o l’Ing. Eugenio Borgia, rappresentati e difesi
dall’avv. Mauro Borgia giusta delega a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
COMUNE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
Intimato
E sul secondo ricorso 11289-91 proposto da
COMUNE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma Largo Bacigalupo 32-E c-o
l’ing. Ernesto Basile, rappresentato e difeso dagli avv.ti Armando
Basile e Giuseppe Garofalo giusta delega in calce al controricorso e
ricorso incidentale.
Controricorrente e ricorrente incidentale
contro
MAURO GIUSEPPE e MERONE MAURIZIO elettivamente domiciliati in Roma
Via Nemea 21 c-o l’Ing. Eugenio Borgia, rappresentati e difesi
dall’avv. Mauro Borgia giusta delega a margine del controricorso.
Controricorrenti
Avverso la sentenza 1964-90 del Pretore di S. Maria Capua Vetere dep.
il 9.7.1990.
È presente per il ricorrente l’avv. Borgia che chiede l’accoglimento
del ricorso.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
7.12.1993 dal Consigliere Rel. Dr. Lupo.
Udito il P.M. nella persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Martone che ha
concluso per il rigetto dei ricorsi.
FATTO
Con ricorso al pretore di S. Maria C.V. depositato il 9 aprile 1990 Giuseppe Mauro e Maurizio Merone, rispettivamente titolare ed autista di una ditta di onoranze e trasporti funebri, proponevano opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione con la quale il sindaco di S. Maria C.V. aveva loro applicato la sanzione di L. 1.000.000 per la violazione degli artt. 1 e 2 del regolamento comunale trasporti funebri, in relazione ad un trasporto eseguito senza autorizzazione.
Gli opponenti esponevano che il consiglio comunale, sulla base del regolamento appositamente emanato, aveva municipalizzato il servizio con diritto di privativa e con facoltà di concessione in appalto; che la giunta municipale aveva concesso, per un anno e con carattere di provvisorietà, la privativa a tale Matilde Vecchione; che tale concessione, per diversi motivi, integrava un abuso d’ufficio, a danno delle altre ditte; che il giudizio di opposizione doveva essere sospeso in attesa della definizione di due procedimenti penali, iniati per gli stessi fatti; che la legge non prevedeva il potere dell’amministrazione di concedere in privativa il servizio, per cui lo stesso poteva essere esercitato in regime di concorrenza; che, in ogni caso, la pena pecuniaria irrogata era eccessiva.
Il comune deduceva che la concessione era stata rilasciata in attesa della gara d’appalto in base a norma cogenti, e che, in ogni caso, i trasporti funebri erano sempre subordinati al rilascio di apposito provvedimento autorizzato.
Il pretore adito, con la sentenza depositata il 9 luglio 1990, riduceva a L. 300.000 la sanzione pecuniaria, respingendo per il resto le opposizioni e compensando integralmente le spese di giudizio. A sostegno della decisione il giudice osserva:
– che il Comune, con delibera commissariale n. 707 del 3.12.1959, aveva disciplinato il servizio funebre disponendo che esso fosse gestito direttamente ma prevedendo anche una gestione privata su concessione approvata con delibera consiliare; che la Giunta comunale, con delibera n. 1165 del 13.5.1986, successivamente ratificata dal Consiglio, in via provvisoria aveva concesso la privativa a tale Vecchione Matilde per il periodo di un anno, poi prorogato;
– che le infrazioni contestate ai ricorrenti attenevano alla violazione delle disposizioni del regolamento comunale che devolveva al Comune la disciplina del servizio, sottraendo al privato ogni iniziativa in materia, per cui la eventuale illegittimità della delibera che aveva concesso la privativa alla Vecchione non escludeva la illeicità dei trasporti funebri eseguiti dagli opponenti senza alcuna autorizzazione del Comune; infatti a norma del D.P.R. 21.10.1975 n. 803 (Regolamento di polizia mortuaria) il trasporto funebre è un servizio pubblico devoluto ai comuni i quali possono dare in concessione a privati il trasporto di cadaveri previa autorizzazione del Sindaco e dietro pagamento di un diritto fisso;
– che era eccessiva la entità della sanzione inflitta dal sindaco nel massimo edittale;
– che infine, sussistevano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
Avverso detta sentenza Giuseppe Mauro e Maurizio Merone hanno proposto ricorso per cassazione deducendo quattro motivi di gravame.
Il Comune di S. Maria C.V., che resiste con controricorso, ha proposto ricorso incidentale articolato su due motivi. I ricorrenti principali hanno proposto, a loro volta, controricorso e presentato memoria.
DIRITTO
1. – Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
2. – Va, pregiudizialmente, dichiarata infondata l’eccezione di tardività del ricorso principale, opposta nel controricorso. La sentenza del pretore, depositata il 9 luglio 1990 e non notificata, è stata impugnata con ricorso per cassazione notificato il 20 agosto 1991, entro il termine annuale previsto dall’art. 327 c.p.c., tenuto conto della sospensione dei termini disposta dalla legge 7 ottobre 1969 n. 742.
3. – Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione degli artt. 273 e seguenti e degli artt. 210 e seguenti c.p.c., nonché dell’art. 23, comma settimo, della legge 24 novembre 1981 n. 689, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. ed all’art. 24 Cost.. I ricorrenti si lamentano che il pretore ha disatteso diverse istanze istruttorie da loro proposte nel corso del giudizio, e precisamente: a) l’istanza di riunione del presente procedimento con altre numerose opposizioni proposte avverso ordinanze-ingiunzioni emanate dal sindaco per altre violazioni dello stesso tipo; b) l’istanza di acquisizione di documenti, in particolare del regolamento comunale violato; c) l’istanza di concessione di un termine per il deposito di note di discussione. I ricorrenti osservano che tali istanze sono state rigettate dal pretore senza alcuna motivazione.
Il motivo di ricorso è infondato.
Per quanto attiene alla censura relativa al mancato accoglimento dell’istanza di riunione, va tenuto presente che le opposizioni – di cui si è chiesta la riunione – hanno ad oggetto diversi provvedimenti amministrativi sanzionatori anche se emanati per lo stesso tipo di violazione. Trattasi, pertanto, di riunione di procedimenti relativi a cause connesse (art. 274 c.p.c.), riunione che rientra nell’apprezzamento discrezionale del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità. Nè può assumere autonomo rilievo il fatto che il pretore non abbia motivato il rigetto (esplicito o implicito) dell’istanza di riunione, una volta che la mancata riunione non abbia comportato vizi della sentenza impugnata, rientranti in uno dei motivi previsti nell’art. 360 c.p.c.
In ordine all’istanza di acquisizione documentale, perché la doglianza davanti a questa Corte viene specificata con esclusivo riguardo al regolamento comunale sui trasporti funebri, va osservato che la sentenza impugnata ha tenuto presente il testo del regolamento, ampiamente e dettagliatamente considerato (e, d’altronde, i ricorrenti non muovono alcuna censura in ordine alla correttezza dei riferimenti che la riguardo sono contenuti in sentenza). Deve, quindi, ritenersi che il regolamento comunale sia stato acquisito in altro dei numerosi giudizi di opposizione proposti dal Mauro e pendenti davanti allo stesso magistrato. Nessuna incidenza sulla sentenza impugnata ha avuto, pertanto, il rigetto della istanza di acquisizione della documentazione di cui si dolgono i ricorrenti.
Per quanto attiene, infine, alla mancata concessione di un termine per il deposito di note difensive va premesso che tale termine è previsto dall’art. 23, settimo comma, della legge n. 689-81 nei soli casi in cui il pretore lo ritenga necessario, così derogando all’iter ordinario del processo configurato nella prima parte dello stesso comma.
I ricorrenti, nel lamentare il rigetto dell’istanza da loro proposta, non indicano alcun motivo che rendeva necessaria la concessione di tale termine e che sarebbe stato ingiustificatamente disatteso dal pretore. Non sussiste, pertanto, la violazione dell’art. 23, settimo comma, della legge 689-81.
4. – Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce “omessa, insufficiente e, insieme, contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; connessa violazione e-o falsa applicazione dell’art. 1 r.d. 15 ottobre 1925 n. 2573 (NDR: così nel testo), degli artt. 1 – 2 regolamento trasporti funebri del Comune di S. Maria C.V. emanato con delibera commissariale n. 707 del 3 dicembre 1959, e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.
Le censure formulate con il motivo di ricorso possono così riassumersi:
a) omessa e contraddittoria motivazione perché il pretore, pur riconoscendo di avere il potere di disapplicare l’atto amministrativo illegittimo (nella specie la delibera comunale che concedeva la privativa del trasporto funebre a Matilde Vecchione) ha poi omesso di esaminare la legittimità del suddetto provvedimento, omettendo, altresì, di disapplicare l’atto di concessione, palesemente illegittimo e costituente il presupposto della irrogazione delle pene pecuniarie ai deducendi;
b) violazione e falsa applicazione degli artt. 1 r.d. n. 25478 del 1925, 14 e 17 del D.P.R. n. 803 del 1975, 1 e 2 del regolamento comunale trasporti funebri, in quanto l’assunzione diretta da parte del comune del servizio di trasporto pubblico con possibilità di concessione del servizio medesimo a privati, è facoltativa e non obbligatoria, con la conseguenza che la mancanza e la invalidità dei necessari provvedimenti amministrativi comunali di assunzione diretta del servizio e di successiva concessione a terzi rendono lecito il trasporto effettuato da privati;
c) vizio di ultrapetizione in quanto il pretore ha giustificato l’irrogazione della sanzione richiamandosi al “diritto fisso” per ogni trasporto funebre riconosciuto al comune dagli artt. 14 e 17 del D.P.R. 21.10.1975 n. 803 (regolamento di polizia mortuaria), benché nelle ordinanze-ingiunzioni fosse stata contestata esclusivamente la violazione degli artt. 1 e 2 del regolamento comunale trasporti funebri.
Il motivo di ricorso è infondato in tutte le sue censure.
Per la comprensione del discorso è necessario promettere lo sviluppo storico degli atti del Comune di S. Maria C.V. che hanno preceduto l’accertamento degli illeciti contestati ai ricorrenti.
Con delibera commissariale del 3 dicembre 1959 fu approvato il regolamento comunale per il servizio dei trasporti funebri, il quale, nell’art. 1, prevede quanto segue: “È istituito in Santa Maria Capua Vetere il servizio dei trasporti funebri, gestito dal Comune o da ditta concessionaria, con diritto di privativa, a norma dell’art. 1 n. 8 del R.D.L. 15.10.1925 n. 2578 e dall’art. 16 del regolamento di polizia mortuaria approvato con R.D. 21.12.1942 n. 1880. La concessione all’industria privata dovrà essere deliberata dal Consiglio comunale.
Da parte dei privati, pertanto, non può essere eseguito alcun trasporto di salme, sia in funzione di funerale, sia per il trasporto diretto, con o senza corteo al cimitero, agli scali ferroviari, o, in caso di morte in ospedale, alberghi od abitazioni, salvo le deroghe di cui al seguente art. 2”.
È pacifico che, nel caso di specie, non ricorre alcuna delle deroghe (al divieto di trasporto di salme) previste dall’art. 2, onde non occorre trascrivere il contenuto di quest’ultimo articolo.
Il 19 novembre 1984 il Consiglio comunale approvò “lo schema di capitolato di appalto per l’affidamento del servizio trasporti funebri”, il cui art. 1, sotto la rubrica “esclusività dei servizi con diritto di privativa”, prevede quanto segue: “Il servizio dei trasporti funebri, per le persone decedute nel Comune di Santa Maria Capua Vetere, ai sensi dell’art. 1 della legge 15.12.1925 n. 2578 e dell’art. 17 del regolamento di polizia mortuaria approvato con D.P.R. 21.10.1975 n. 803, è municipalizzato con diritto di privativa. È in facoltà del Comune di concedere il servizio in appalto a ditta idonea o adeguatamente attrezzata od organizzata”.
Con delibera del 13 maggio 1986 la Giunta municipale concesse la privativa a Matilde Vecchione, con atto che i ricorrenti considerano affetto da “palese illiceità ed illegittimità”, e di cui pertanto lamentano la mancata disapplicazione da parte del pretore (censura sopra trascritta sub a).
Chiaro è l’equivoco in cui cadono i ricorrenti. La violazione, da parte del Mauro (titolare dell’impresa) e del suo dipendente (autista del veicolo), del divieto posto dall’art. 1 del regolamento comunale del 1959 prescinde dall’atto di concessione del servizio alla Vecchione (del 1986), perché deriva esclusivamente dalla privativa comunale di detto servizio, disposta nel 1959 e confermata nel 1984.
Queste due delibere costituiscono i presupposti dell’illecito ascritto ai ricorrenti, mentre non ne è presupposto la concessione del servizio alla Vecchione. Ed invero già il regolamento dal 1959 ha posto il divieto, per i privati, di eseguire alcun trasporto di salme, onde questo divieto era in vigore prima ed a prescindere dalla concessione poi data alla Vecchione Correttamente, perciò, il pretore ha escluso che fosse rilevante l’esame della legittimità della delibera di Giunta del 13 maggio 1986, di cui quindi non interessa, ai fini della sussistenza dell’illecito, l’eventuale illegittimità o illiceità.
Il pretore ha, invece, doverosamente valutato e ritenuto la legittimità della privativa comunale del servizio. E a questa parte della sentenza impugnata si riferisce la censura sopra indicata sub b).
La delibera del 1959 e conforme al r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578, il cui art. 1 consente ai Comuni di assumere l’esercizio diretto del servizio dei trasporti funebri “anche con diritto di privativa”. Il fatto che l’assunzione sia prevista dalla legge come facoltativa, e non obbligatoria (come rilevano i ricorrenti), non ne comporta, per ciò solo, la illegittimità. E non sono stati dedotti motivi per ritenere illegittimo anche il diritti di privativa comunale dal servizio, che la delibera commissariale ha disposto nel 1959.
Il pretore ha ritenuto legittima anche la delibera consiliare del 1984 (che ha confermato la privativa comunale del servizio), perché conforme al regolamento di polizia mortuaria approvato con D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 (successivo alla delibera del 1959, la quale aveva tenuto presente il precedente regolamento statale approvato con r.d. 21 dicembre 1942 n. 1880). L’art. 17, secondo comma, del citato D.P.R. n. 803-1975 prevede espressamente la possibilità che il comune eserciti “con diritto di privativa” il trasporto delle salme con mezzi speciali (quando la famiglia del defunto non richieda tali mezzi speciali, il trasporto delle salme è eseguito sempre a cura del Comune: art. 17, primo comma, e art. 14, lettera b, del regolamento del 1975). Quindi anche il detto regolamento ha confermato la legittimità della privativa comunale del servizio dei trasporti funebri.
È infondata, infine, la doglianza di ultrapetizione (censura sub c), perché la parte della sentenza alla quale essa si riferisce (con cui il pretore ha affermato che, anche si riferisce (con cui il pretore ha affermato che, anche in assenza della privativa comunale, i ricorrenti avrebbero avuto bisogno, per effettuare lecitamente i trasporti delle salme, di un’autorizzazione comunale od avrebbero dovuto pagare un diritto fisso) è priva di rilevanza sulla decisione emanata, la quale si regge, come si è visto, sulla sola considerazione che vi era, sin dal 1959, una privativa comunale violata dai ricorrenti. La parte della sentenza criticata con la censura sub c) contiene, pertanto, “obiter dicta”, ininfluenti sulla decisione di rigetto della opposizione.
5. – Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e-o falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c. e dell’art. 3 del vecchio codice di procedura penale (allora vigente, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).
I ricorrenti lamentano che il pretore non ha disposto la sospensione delle cause civili di opposizione in attesa della definizione del procedimento penale pendente a carico degli amministratori comunali per la concessione della privativa alla Vecchione, motivando sul punto in modo insufficiente e contraddittorio.
L’infondatezza del motivo deriva da quanto si è detto in relazione al secondo motivo del ricorso principale. La concessione del servizio alla Vecchione non costituisce un presupposto delle violazioni ascritte ai ricorrenti, onde nessuna pregiudizialità è stata correttamente ravvisata dal pretore rispetto ai giudizi pendenti in ordine alla liceità di detta concessione. È pacifico, invero, che i giudizi penali non concernevano, neanche indirettamente, le delibere adottate nel 1959 e nel 1984, le quali sono le sole che rilevano ai fini della sussistenza degli illeciti amministrativi per cui è causa.
6 – Con il quarto motivo del ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge 24 novembre 1981 n. 689 e dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.
I ricorrente lamentano che il pretore erroneamente non ha ritenuto applicabile nella fattispecie l’istituto della continuazione di cui all’art. 8 della legge n. 689 del 1981; poiché la normativa sulla depenalizzazione non detta norme specifiche per ciò che concerne l’illecito amministrativo continuato, a giudizio dei ricorrenti dovrebbe farsi riferimento al criterio del cumulo materiale delle sanzioni oppure ritenere estensibile la norma dell’art. 81 cpv. cod. pen..
Il motivo di ricorso è infondato.
L’art. 8 della legge n. 689-81, nel suo testo originario, concerne l’ipotesi che più violazioni della stessa disposizione di legge siano state commesse con un’unica azione od omissione. Il legislatore è successivamente intervenuto per stendere il regime sanzionatorio dell’art. 8 alle ipotesi di violazioni commesse con più azioni od omissioni, la limitatamente alla materia della previdenza ed assistenza obbligatorie (secondo e terzo comma dell’art. 8, aggiunti dall’art. 1-sexies del decreto-legge 2 dicembre 1985 n. 688, convertito nella legge 31 gennaio 1986 n. 11). La specifica disciplina contenuta nell’art. 8 impedisce l’applicazione analogica della normativa dettata dal codice per il reato continuato (Cass. 20 maggio 1992 n. 6063, 21 marzo 1992 n. 3527, 29 novembre 1989 n. 5212).
Tale diversità di disciplina (tra illecito amministrativo e reato) non contrasta con la Costituzione, come ha affermato la Corte costituzionale, con le pronunzie 19 novembre 1987 n. 421 e 27 luglio 1989 n. 468.
7. – Passandosi all’esame del ricorso incidentale proposto dal Comune, con il primo motivo di esso si deduce la omessa ed insufficiente motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) e la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge 24 novembre 1981 n. 689 (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Il comune lamenta che il pretore ha ridotto la pena pecuniaria irrogata ai ricorrenti senza tener conto della volontaria e sistematica violazione delle norme sul trasporto funebre, nonché dei danni subiti e delle spese sostenute dall’ente pubblico a seguito dell’illecito comportamento dei condannati.
Va premesso che il sindaco ha applicato per ogni trasporto funebre effettuato dai ricorrenti la sanzione di L. 1.000.000, che è la misura edittale massima, mentre il limite minimo è di L. 4.000.
Il pretore, nel determinare la sanzione in una misura compresa entro i limiti edittali, si è attenuto all’art. 11 della legge n. 689-81, perché ha tenuto conto della gravità dell’illecito.
È irrilevante la pluralità delle violazioni commesse, poiché, come si è visto in relazione al quarto motivo del ricorso principale, è stata applicata una autonoma sanzione per ogni violazione.
Per quanto attiene alle spese (per contestazione e notifiche) sostenute dal Comune, il loro ammontare poteva esser aggiunto alla sanzione inflitta con l’ordinanza-ingiunzione (art. 18, secondo comma, della legge n. 689-81, che prevede espressamente le spese in aggiunta alla sanzione).
8. – Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 91 e 92 c.p.c., con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Il comune lamenta che il pretore, pur in presenza della soccombenza dei ricorrenti, ha compensato interamente le spese senza indicare i giusti motivi sui quali ha inteso basare il suo potere discrezionale.
Il motivo di ricorso è infondato.
È giurisprudenza costante di questa Corte che la compensazione delle spese del giudizio costituisce una facoltà discrezionale ed insindacabile del giudice del merito, il quale può di esso avvalersi sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nel concorso di giusti motivi, la cui valutazione, rimessa al suo prudente apprezzamento, è sottratta all’obbligo di una specifica motivazione (v., tra le altre, Cass. 22 gennaio 1990 n. 320, 17 dicembre 1986 n. 7614, 6 dicembre 1986 n. 7248).
9. – In conclusione, i due ricorsi, essendo infondati, vanno respinti.
La soccombenza reciproca comporta le compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.
Compensa le spese processuali.
Così deciso a Roma il 7 dicembre 1993.