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Consiglio di Stato, Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4927
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9334 del 2013, proposto dal signor TAMMARO VINCENZO, quale procuratore speciale dei signori Carmela Panaro e Pasquale Cristiano, rappresentato e difeso dall’avvocato Luisa Acampora, con domicilio eletto presso lo Studio Titomanlio-Abbamonte in Roma, via Terenzio, n. 7;
contro
Il COMUNE DI NAPOLI, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari, Anna Pulcini e Bruno Crimaldi, con domicilio eletto presso lo Studio Grez ed associati s.r.l., in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, Sez. VII, n. 4166 del 4 settembre 2013, resa tra le parti, concernente la revoca della concessione di un suolo cimiteriale e l’acquisizione del manufatto funerario al patrimonio comunale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti l’avvocato Iaccarino, per delega dell’avvocato Acampora, e l’avvocato Crimaldi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
I.1. Il Comune di Napoli – con la delibera di Giunta Municipale n. 246 del 30 dicembre 1991 -concedeva al sig. Pasquale Cristiano un appezzamento di suolo nel Cimitero di Poggioreale, Fondo Desiderio, part. 84 (di 5 mq., oltre 3,06 mq. di gaveta), per la costruzione di una cappella funeraria, stabilendo, tra l’altro, che il diritto d’uso della stessa era regolato ai sensi dell’art. 68 del vigente Regolamento di polizia mortuaria e degli artt. 91 e 93 del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803.
I.2. Con provvedimento dirigenziale n. 31 del 15 ottobre 2012, previa la comunicazione di avvio del procedimento agli interessati, signori Pasquale Cristiano, Carmela Panaro e Angelina Solla, e respinte le loro osservazioni, è stata disposta la “revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale di cui alla delibera di G.M. n. 246 del 30 dicembre 1991”, con acquisizione del realizzato manufatto.
I.3. A fondamento della revoca decadenziale, il Comune ha rilevato che:
a) l’art. 53, comma 1, del Regolamento comunale di polizia mortuaria e dei Servizi funebri e cimiteriali, approvato con la delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, prevedeva il divieto di cessione fra privati dei manufatti funebri;
b) con atto notarile rep. n. 95589 del 23 marzo 2010, i signori Pasquale Cristiano e Carmela Panaro avevano alienato il manufatto funerario alla signora Angelina Solla, in violazione del medesimo art. 53 del Regolamento di polizia mortuaria;
c) ai sensi degli artt. 823 e 824 c.c., il cimitero è un bene demaniale e la concessione di sepoltura privata costituisce una concessione amministrativa di bene demaniale con diritto d’uso non alienabile;
d) l’art. 44 del Regolamento di polizia mortuaria stabilisce che non può essere fatta concessione di arre per sepoltura privata a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione; e) l’art. 53, comma 1, del regolamento, che vieta la cessione diretta tra privati, è posta a tutela dell’ordine pubblico e della buona amministrazione ed è preordinata alla salvaguardia delle esigenze pubblicistiche, che impongono all’amministrazione di sovrintendere, vigilare e controllare tutte le attività relative all’area sepolcrale;
f) l’atto di compravendita in data 23 marzo 2010 era pertanto nullo ed inopponibile nei confronti dell’amministrazione concedente, che aveva un interesse concreto ed attuale a rientrare nella disponibilità del manufatto funebre per procedere alla sua rassegnazione nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica.
Quanto alle osservazioni formulate dagli interessati, fondate sulla impossibilità di applicare retroattivamente il nuovo regolamento di polizia mortuaria in violazione dell’art. 11 delle preleggi, sulla asserita violazione del diritto di natura reale sul suolo cimiteriale e sulla mancanza dei presupposti per la revoca, il Comune ha osservato che:
g) il regolamento era pienamente conforme alle norme di rango superiore;
h) l’atto di compravendita era stato concluso successivamente all’entrata in vigore del nuovo regolamento;
i) la revoca decadenziale della concessione era connessa all’inosservanza degli obblighi del concessionario.
II.1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione VII, con la sentenza n. 4166 del 4 settembre 2013, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, ha respinto il ricorso proposto dal signor Vincenzo Tammaro, quale procuratore speciale dei signori Carmela Panaro e Pasquale Cristiano, avverso il sopra citato provvedimento di revoca decadenziale, ritenendo infondati i due articolati motivi di censura (rubricati rispettivamente, il primo “Violazione e falsa applicazione degli artt. 53, 48,49 del Regolamento di Polizia mortuaria del Comune di Napoli approvato con delibera di C.C. n. 11 del 22.2.2006 – Violazione dell’art. 92 del D.P.R. 285 del 1992 – Violazione dell’art. 3 L. 241/90. Mancanza dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria – Eccesso di potere – Violazione dell’art. 44 del regolamento citato” e, il secondo “Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 Cost. e violazione dell’art. 92 – 62 D.P.R. 285 del 1992 – Violazione dell’art. 3 della L. 241/90 – Difetto di istruttoria illegittimità del Regolamento di polizia mortuaria approvato con delibera C.C. 11 del 22.2.2006 – Violazione degli artt. 1418 e 1422 del Codice Civile – Violazione dell’art. 21 septies della legge 241/90 – Violazione dell’art. 11 delle preleggi”.)
II.2. Gli originari ricorrenti hanno chiesto la riforma di tale sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di seguenti motivi di gravame, cosi rubricati: “A. Error in iudicando – Sulla corretta ricostruzione del diritto superficiario del concessionario di area demaniale e sul divieto di integrazione postuma della motivazione”; “B. Error in iudicando per mancata valutazione della commessa – Violazione e falsa applicazione degli artt. 44 e 53 nonché degli artt. 38,43, 48 e 49 del Regolamento – Violazione del principio di tassatività delle sanzioni – Violazione del principio di tipicità – Violazione di autolimite – Violazione dell’art. 3 della legge 241/1990 per difetto di motivazione – Carenza di potere – Contraddittorietà”; “C. Eccesso di potere per sviamento dell’azione amministrativa”; “D. Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del Regolamento e contrasto con i contenuti delle disposizioni del precedente regolamento”; “E. Error in iudicando – Violazione dell’art. 7 della legge 241/1990” e “F. Error in iudicando – Sulla condanna alle spese processuali”.
Il Comune di Napoli si è costituito in giudizio, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui ha chiesto il rigetto.
II.3. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione, le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie tesi difensive, insistendo per il loro accoglimento.
All’udienza pubblica dell’8 luglio 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
III. Ritiene la Sezione che l’appello è infondato.
III.1. Occorre premettere che, come del resto puntualmente rilevato dai primi giudici, nella materia de qua questa Sezione (8 marzo 2010, n. 1330) ha avuto modo di rilevare che, in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario…lo ius sepulchri, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento. Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri non preclude l’esercizio dei poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione concedente, sicché sono configurabili interessi legittimi quando sono emanati atti di autotutela. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000 , n. 3313).
E’ stato anche sottolineato che, “come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell’amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto”, trattandosi “…di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione”, così che, a fronte di successive determinazioni del concedente, il concessionario può chiedere ogni tutela spettante alla sua posizione di interesse legittimo.
È stato precisato che nel corso del rapporto concessorio si devono rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, in quanto “lo ius sepulchri attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.
La giurisprudenza ha anche chiarito che, una volta costituito il rapporto concessorio, questo può essere disciplinato da una normativa entrata in vigore successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene: infatti, non è “pertinente…il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (in termini anche Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608).
Il rapporto concessorio in questione è dunque “pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompresa anche la disposizione sulla “nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.
In definitiva nell’ordinamento nazionale il diritto sul sepolcro già costituito sorge con una concessione amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.): la concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta la sussistenza di posizioni di interesse legittimo – con la relativa tutela giurisdizionale – quando l’amministrazione concedente disponga la revoca o la decadenza della concessione per la tutela dell’ordine e della buona amministrazione (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294).
III.2. Nella specie, rileva anche il Regolamento di polizia mortuaria e dei servizi funebri e cimiteriali, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2006, il quale all’art. 44 ha fissato i principi generali del regime concessorio, prevedendo, tra l’altro, che:
– “Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventando di proprietà dell’Amministrazione Comunale, come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata” (comma 1);
– “non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (comma 5);
– “La concessione può essere soggetta: a) a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b) a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi; c) a rinuncia da parte del concessione con retrocessione del bene” (comma 9).
L’articolo 49, disciplinando specialmente l’ipotesi della decadenza, dispone al comma 4 che “il concessionario è tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area in concessione e del manufatto in diritto d’uso…In difetto dovrà essere dichiarata la decadenza della concessione del suolo e dal diritto d’uso del manufatto”, aggiungendo al comma 5 che “Il Dirigente del Servizio competente procederà alla determinazione della declaratoria della decadenza dalla concessione del suolo e contestuale incameramento del deposito cauzionale e del corrispettivo versato per la concessione del suolo ovvero degli importi a qualunque titolo versati e delle opere edilizie eventualmente realizzate”.
L’articolo 53 (“Cessione tra privati”) dispone che “E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati”.
III.3. Ciò posto, i motivi di gravame, che per la loro intima connessione possono anche essere esaminati congiuntamente, non possono essere accolti.
III.3.1. Deve innanzitutto escludersi che il riferimento, operato dall’intimata amministrazione comunale nell’atto di costituzione nel giudizio di primo grado, alle indagini penali circa presunte attività fraudolenti poste in essere attraverso rogiti notarili di vendita di manufatti funerari, abbia, per un verso, dato luogo ad un’inammissibile integrazione postuma ovvero ad una vera e propria novazione del provvedimento impugnato e, per altro verso, abbia determinato una errata ricostruzione del substrato fattuale della fattispecie in esame, come sostenuto dagli appellanti.
Invero, come si ricava agevolmente dalla sua lettura, l’impugnata revoca è fondata esclusivamente sulla violazione del ricordato articolo 53, comma 1, che vieta la cessione diretta tra privati, violazione obiettivamente conseguita alla stipula dell’atto di compravendita del 23 marzo 2010, intervenuto tra gli originari assegnatari del suolo cimiteriali e la signora Angelina Solla, senza alcun previo coinvolgimento dell’amministrazione concedente, come sarebbe stato necessario: le indagini penali, lungi dal costituire la causa di detta revoca, hanno piuttosto costituito l’occasione per l’amministrazione per la verifica del corretto uso dei suoli cimiteriali da parte dei concessionari e per accertare l’avvenuta illecita alienazione del manufatto funerario.
Non solo quindi non vi è stata alcuna integrazione successiva o addirittura novazione della motivazione della impugnata revoca, per quanto i primi giudici hanno correttamente ricostruiti la fattispecie concreta, senza alcun travisamento né dei fatti, né della normativa ad essa applicabile, convincentemente e motivatamente osservando che il divieto stabilito dal predetto articolo 53, comma 1, deve essere interpretato “…per la sua portata testuale che è quella di vietare che i privati, senza la partecipazione della amministrazione pubblica, possano liberamente disporre della concessione”, costituendo esso ad un tempo “…specificazione ed estrinsecazione del divieto di subentro inautorizzato” e “…formula pienamente esemplificativa di quel venir meno ai propri obblighi di concessione che l’art. 44 sanziona per l’appunto con la decadenza” (obblighi cui il provvedimento impugnato ha fatto puntuale riferimento, rilevando espressamente che “la compravendita realizzata in violazione della normativa regolamentare citata si pone in contrasto con le procedure ad evidenza pubblica di assegnazione dei beni in concessione e deve, pertanto, considerarsi grave inadempimento da parte dell’alienante degli obblighi di conservazione e custodia del bene in concessione posti a suo carico”.
III.3.2. Sotto altro concorrente profilo, richiamando quanto già esposto sub III.1., deve rilevarsi che se è vero che il diritto sul sepolcro è un diritto di natura reale assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso del bene relativo e di trasmissione sia inter vivos e mortis causa, nei confronti degli altri soggetti privati, è altrettanto vero che esso non preclude l’esercizio dei poteri autoritativi spettanti alla amministrazione concedente (con la precisazione che nel caso di emanazione di atti di revoca o di decadenza spetta la tutela prevista per le posizioni di interesse legittimo e che, in ogni caso, titolare del diritto reale, nonché della coesistente posizione di interesse legittimo nel caso di emanazione di atti autoritativi, è esclusivamente il concessionario, cui non può neppure essere assimilato né il richiedente la sub–concessione, in mancanza del formale provvedimento abilitativo, né chi abbia ‘acquistato’ – solo apparentemente, in ragione della nullità del relativo contratto – il bene demaniale).
E’ pertanto del tutto logico e corrispondente ai principi generali dell’ordinamento che l’amministrazione con un proprio provvedimento autoritativo riacquisti la disponibilità di un bene pubblico, dato in concessione ed oggetto, come nel caso di specie, di abusi o di illeciti da parte del concessionario.
Il relativo potere discende invero dai principi generali di diritto pubblico, oltre che dalle disposizioni del codice civile che richiamano tali principi generali: per i beni demaniali e per quelli patrimoniali indisponibili, l’amministrazione concedente è titolare in re ipsa del potere di imporne una gestione conforme alle regole e all’interesse pubblico.
III.3.3. Diversamente da quanto pur suggestivamente argomentato dagli appellanti, l’impugnato provvedimento di revoca della concessione di suolo cimiteriale non viola neppure il principio di tassatività delle sanzioni e tanto meno di tipicità dei provvedimenti amministrativi, il relativo potere essendo esercitabile in ogni caso di inadempimento degli obblighi discendenti dalla concessione, non limitati, secondo il richiamato comma 9, lett. b), dell’art. 44 del regolamento alla sola inosservanza dei termini per l’esecuzione delle opere, ma estesi altresì alla fase della costruzione dei manufatti e del loro mantenimento, profilo al quale ha fatto riferimento l’amministrazione comunale.
E’ da escludere poi che il ricordato articolo 44 abbia un contenuto equivoco o non chiaro ovvero che sia stato formulato in modo non facilmente comprensibile, così come è altresì da escludersi la violazione del principio del principio di proporzionalità, atteso che alla violazione degli obblighi derivanti dal rapporto concessorio poteva derivare soltanto la ‘revoca decadenziale’, come correttamente intesa nel caso di specie (il che rende del tutto pretestuose e comunque irrilevanti le doglianze circa la improprietà giuridica della qualificazione dell’atto impugnato, essendo notoriamente rilevante l’effettivo potere utilizzato e non già la sua qualificazione da parte dell’amministrazione emanante).
E’ appena il caso di rilevare che, avendo l’amministrazione concedente accertato la violazione da parte del concessionario degli obblighi derivanti proprio dal rapporto concessorio, non può neppure predicarsi la sussistenza dell’eccesso di potere per sviamento che, secondo gli appellanti, avrebbe inficiato il provvedimento impugnato, non essendo necessaria neppure una specifica motivazione sull’interesse pubblico, da ritenersi in re ipsa; così come non è ipotizzabile, come sostenuto dagli appellanti, l’esistenza di un obbligo dell’amministrazione concedente di riconoscere (peraltro solo al precedente concessionario e non già all’acquirente senza titolo del manufatto funerario) un’altra area o una sistemazione equivalente, obbligo che è rinvenibile solo nell’ipotesi di revoca dell’originaria concessione per esigenze di pubblico interesse e non già nella diversa ipotesi di decadenza per inadempimento degli obblighi del concessionario.
III.3.4. Sulla scorta di quanto fin qui esposto, l’impugnata revoca non è affetta dal dedotto vizio di motivazione, atteso che risulta sufficientemente agevole la ricostruzione dell’iter logico – giuridico in ragione del quale l’amministrazione è pervenuta all’adozione del provvedimento impugnato, non sussistendo alcun difetto di istruttoria, né emergendo alcun travisamento dei fatti, puntualmente accertati e correttamente ricostruiti, così che neppure può trovare accoglimento la dedotta violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 per non aver l’amministrazione correttamente qualificato, nella comunicazione di avvio del procedimento, il potere che sarebbe stato esercitato, atteso che ai fini della partecipazione procedimentale da parte degli interessati è necessario che questi siano informati dei fatti rilevanti e delle conseguenze giuridiche che da essi possono derivare e non già la corretta qualificazione formale del potere che sarà eventualmente esercitato dall’amministrazione.
III.3.5. Quanto alla presunta violazione dell’art. 11 preleggi, si deve osservare che il principio di irretroattività postula l’inapplicabilità di una disposizione di legge ad un fatto avvenuto nel passato, prima della sua emanazione, fattispecie che tuttavia non si riscontra nel caso di specie in cui, per la natura di ‘provvedimento di durata’ riferibile alla concessione, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella in vigore al momento della emanazione del provvedimento concessorio.
La normativa entrata in vigore dopo il rilascio della concessione si applica a tutti i fatti, gli atti e le situazioni verificatesi dopo la medesima entrata in vigore, oltre che gli effetti che non si siano ancora definitivamente consolidati (salva, in tal caso, la tutela del legittimo affidamento, che tuttavia non rileva nel caso in esame, non solo perché i fatti posti a base della decadenza sono riferibili al periodo successivo all’entrata in vigore del regolamento, ma anche perché non è configurabile un affidamento ‘legittimo’ quando chi lo invochi abbia volontariamente violato la normativa di settore).
III.3.6. Infine, quanto alla contestazione del capo della sentenza impugnata concernente la condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, deve osservarsi che dalla lettura delle motivazioni della predetta sentenza non si evince alcun carattere ingiustamente punitivo della stessa, tanto più che la somma a tal fine liquidata (€. 3.000,00), peraltro non contestata nella sua misura, non risulta essere manifestamente spropositata, irragionevole od eccessiva, non potendo sottacersi che la condanna alle spese costituisce la normale conseguenza della soccombenza giudiziale, laddove la compensazione può essere disposta solo in caso di soccombenza reciproca ovvero in caso di eccezionali ragioni, da indicarsi espressamente.
IV. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello n. 9334 del 2013, proposto dal signor Vincenzo Tammaro, quale procuratore speciale dei signori Pasquale Cristiano e Carmela Panaro, nonché Angelina Solla, avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania n. 4166 del 4 settembre 2013, lo respinge.
Condanna gli appellanti, in solido tra di loro, al pagamento in favore del Comune di Napoli delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre I.V.A., C.P.A. ed altri accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)