La recinzione dei cimiteri

Forse poco si fa attenzione a quanto dispone l’art. 61 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. [1] con cui è stabilito che il cimitero non solo debba avere una propria recinzione, ma anche che questa debba presentare un requisito di altezza (2,50 m.) dal “piano esterno di campagna”, nel senso che a volte non ci pone la domanda su quale sia la motivazione, non tanto sulla recinzione, quanto sulla sua altezza.
Anzi, se accada di accedere a cimiteri, specie se si tratti di cimiteri di minori dimensioni, nelle Province autonome di Bolzano o Trento, spesso si può notare che una qualche recinzione vi possa anche essere, ma che essa non presenti l’altezza così fissata (segno di altre tradizioni cimiteriali), a volte rimanendo attorno al metro (decimetro più o decimetro meno).
Anche un’eventuale visita a Statford-upon-Avon alla (dichiarata) abitazione di Shakespeare consente di notare che un “segno” di recinzione è presente, ma si tratta di alcune lastre di pietra poste in verticale, con qualche arbusto e con un’altezza attorno a 1 – 2 feet.
Per questo, può essere interessante interrogarsi sulle motivazioni che hanno indotto alla previsione, abbastanza consolidata in Italia nelle diverse normazioni susseguitesi, di prevedere una tale altezza della recinzione.
Si ricorda, incidentalmente, come in un comune che, completando un ampliamento del cimitero, aveva approvato un progetto in cui il lato frontale, costituito da archi chiostrali, prevedeva non la chiusura di tali archi con un muro, ma con una serie di cancellate metalliche, alte fino all’arco sommitale, rispetto a cui la Sovraintendenza ebbe ad eccepire, ricusandone l’approvazione, questa scelta progettuale, giungendo, alla fine, ad una sorta di mediazione, per cui è stata adottata una soluzione, per così dire “a metà strada”, costruendo alternativamente per i diversi archi frontali un’occlusione con muratura e una cancellata metallica, alternando le due soluzioni di arco in arco.

Una quale risposta all’interrogativo può trarsi ricorrendo a “fonti” non proprio recentissime. Alla L. (Regno delle Due Sicilie) 11 marzo 1817, n. 655, ha fatto seguito il suo Regolamento di esecuzione del 21 marzo, emanato dal Ministro degli affari interni, il quale, tra l’altro [2], prevedeva: un registro de’ Cadaveri da inumarsi in ogni Camposanto. È necessario, che questo si riporti originalmente, acco possasi da ciascun Comune tenere presente nella costruzione de’ Campisanti, e nella inumazione de’ Cadaveri che dovranno avervi luogo. “Art. 1. Il seppellimento de’ Cadaveri umani ne’ Camposanti, prescritti da S.M. con legge dell’11 marzo 1817, dovrà essere fatto per inumazione, ossia interramento, non già per tumulazione, ossia dentro sepolture.
Quindi un Camposanto di nuova costruzione, altro non sarà, che una estensione di terra nuda, ben dissodata, interamente spogliata di alberi, arbusti, e piante perenni di qualunque specie, circondata di muro di altezza di palmi undici fuori di terra, non compreso in questa misura uno spigone da cui il muro sarà terminato, per rendere il Camposanto inaccessibile agli animali voraci, che gli animali non possano penetrare a traverso di esso.
”.

Per inciso, il successivo art. 5 di tale Regolamento prevedeva: “La estensione di terra da destinarsi a Camposanto sarà proporzionata alla popolazione del Comune. I calcoli statistici dimostrando, che di ogni 31. abitanti ne muore uno in un anno, e che di conseguenza di ogni mille ne muojono ordinariamente in un anno 32., o 33., bisogna per una popolazione di mille abitanti assegnare uno spazio al Camposanto, capace di contenere per dieci anni tutt’i Cadaveri umani, che possano esservi in questo per periodo di tempo; … ”.
Lo si riporta al solo fine di consentire una comparazione con gli attuali tassi di mortalità.

Nella citazione sopra fatta sono state sottolineate alcune parole, che meritano un minimo di approfondimento, cioè il fine di impedire l’accesso al cimitero agli animali voraci. Probabilmente, oggi si ha poca percezione, tranne, e forse, che in poche situazioni, di quanto fosse diffusa non solo la presenza di animali selvatici, ma, principalmente, del randagismo – a prescindere se si trattasse di animali tali per contesto o divenuti tali, venendo meno precedenti processi di domesticazione (c.d. inselvatichimento).
Gli animali non domestici (sopra citati come “voraci”) potevano, accedendo ai cimiteri, provvedere, specie per le inumazioni di più recente effettuazione dove il terreno non si era ancora sufficientemente assestato, porre in essere “attività” (l’etimologia di “vorace”, quale presente nella citazione, è illuminante) costituenti vilipendio, se non anche profanazione, dei corpi dei cadaveri, cosa un tempo ulteriormente agevolata dalla non ancora intervenuta obbligatorietà dell’inumazione con feretro (rectius: cassa), che, in qualche modo, poneva un qualche ostacolo a queste “attività” (e, qui, viene da ipotizzare se la prescrizione dell’inumazione con cassa non abbia avuta una medesima ratio, ipotesi ormai impossibile da provare (anche per carenza di documentazione, più o meno reperibile), stante il profondo cambiamento intervenuto e che, anch’esso, ha origini ormai remote).
Del resto, probabilmente anche le attuali previsioni sulla profondità delle fosse d’inumazione risponde ad analoghe esigenze … preventive. In precedenti interventi, circa i termini: “animali d’affezione” o “animali da compagnia”, vi era stata occasione per richiamare la L. 14 agosto 1991, n. 281 che aveva due obiettivi, uno dei quali la prevenzione del randagismo: si tratta di legge ben lontana dalla situazione che si registrava nel primo ventennio del XIX sec. (si trattava di norme emanate poco dopo il Congresso di Vienna …), per cui può non essere facile cogliere l’entità reale del fenomeno nel tempo, unitamente alla sua evoluzione.
Per altro, una certa quale “memoria” di questa origine della prescrizione di una data altezza, neppure marginale, si ritrova anche nella tendenza a prevedere nei Regolamenti comunali di polizia mortuaria (e/o, a prescindere dalla presenza di specifiche norme regolamentari, comunque in “avvisi”, “cartelli” o simili) che vietano l’accesso nei cimiteri di animali, ancorché debitamente tenuti al guinzaglio. Magari, con la sola eccezione dei cani da accompagnamento per le persone cieche.

[1] D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. – Art. 61
1. Il cimitero deve essere recintato lungo il perimetro da un muro o altra idonea recinzione avente un’altezza non inferiore a metri 2,50 dal piano esterno di campagna.
[2] Le citazioni riprodotte sono tratte da un volume pubblicato a Aquila nel 1822, con approvazione, a firma del dottore di legge Isidoro Carli, Socio Ordinario della Società Economica di Aquila, Corrispondente di quella di Teramo ec., intitolato (manca la pagina antecedente) “… dell’Amministrazione comunale per uso de’ Sindaci, ed altri impiegati minori …”.

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Sereno Scolaro

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