Canti tarantini: anche marce funebri e un lamento funebre

Le registrazioni musicali dell’Archivio Sonoro Alfredo Majorano, primissime sul campo per la Puglia, includono generi e forme molto differenziate. Tra queste abbiamo avuto notizia, leggendo sul web, che i documenti tarantini ammontano a 18 su un totale di 58. Il materiale raccolto è illustrato dallo studioso nel testo “Tradizioni e canti popolari a Taranto e nei paesi di area tarantina” (Manduria, Lacaita, 1989) che riporta anche le trascrizioni musicali di una parte dei canti, oltre ad altri scritti vari di Majorano.
I documenti tarantini presenti nell’Archivio Majorano, tutti del 1950, sono:
– Tre “Inni della strada” (così classificati dallo stesso raccoglitore, che li definisce anche “riti della strada”); rispettivamente destinati al ritrovamento di un bimbo smarrito tramite banditore e alla vendita ambulante di castagne d’u prevete e di limonate;
– Due canti “della malavita”;
– “Mamma lu zite jè”, canto d’amore a ballo (voce femminile e coro sul ritornello) , segnalato come “Frammento non identificato”, a seguito del quale vi è il primo dei due “canti di malavita” (voce maschile);
– Un frammento di “Pizzica pizzica”;
– Tre canti per la Novena dell’Immacolata e di Gesù Bambino (con accompagnamento strumentale bandistico), ovvero i due citati nella seconda puntata (“O Concetta Immacolata” e “Christi eleison”) più la pastorale “Dalla celeste sfera vieni nel mio cuore”, degli stessi esecutori;
– Le tre note marce funebri di autori tarantini del 1800 (“Inno a Cristo morto”, “Gravame”, “A mia madre”);
– Due canti rituali pasquali: “A lu venerdiasande”, una lunga lamentazione per la Passione di Cristo, eseguita da voci miste, e un’altra più breve “Lamentazione drammatica per l’arresto di Gesù” cantata da voce femminile;
– Un lamento funebre: “Pianto di una madre sulla tomba del figlio”;
– Una ninna nanna;
– Due canzoni narrative: “A’canzone de Pipiéle” e “I’so’zi’mònache”.
Negli anni Cinquanta andavano scomparendo i lamenti funebri, usanza dettagliatamente documentata da De Martino per il Sud Italia (si veda il saggio “Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria”, 1958). Riportiamo alcune considerazioni:

Il lamento ritualizzato prevedeva si assoldassero delle cantatrici professioniste, le prefiche, o “reputatrici”, perché accompagnassero la fase della veglia funebre a casa, impostando e agevolando l’elaborazione del lutto in un contesto tradizionale condiviso. Naturalmente erano poi anche le singole donne colpite dal lutto ad esprimere con più o meno analoga vocalità il proprio strazio. Lo stile e gli elementi propriamente musicologici, oltre che le formule verbali, presentavano caratteristiche comuni, modellate sulla naturale espressione vocale ed emozionale del dolore e della disperazione (si vedano i repentini salti melodici verso l’alto, seguiti da “cadute” discendenti della voce, sovente rotta da singhiozzi o modulata in vere e proprie grida). In genere i testi di tali lamenti fanno riferimento alla impossibilità dei parenti del morto a sopravvivere senza di lui, poi elencandone gli aspetti di generosità, probità, laboriosità, bellezza…
I momenti estremi e tuttavia contigui della morte e della nascita, dal punto di vista etnomusicologico rappresentano fasi che producono due tipologie di canti tradizionali caratterizzati più di altri dalla permanenza di elementi arcaici.

 

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