Ma è vera discriminazione? Un caso di oversize proprio over

In una data realtà, alcuni mesi addietro vi è stato il decesso di persona leggermente … sovrappeso (solo 180 kg), quella situazione che è definita quale oversize (fuori misura nel testo italiano) al punto D.1, lett. c) dell’Allegato (Appendice, nel testo in italiano) D “Raccomandazioni minime concernenti l’uso delle bare, relativi accessori e urne cinerarie” dello standard CEN EN UNI 15017:2019 (così anche nella versione precedente), indicando un peso superiore a 120 kg. come criterio di individuazione degli oversize.

La persona defunta aveva espresso la propria volontà ai fini delle pratiche funebri e, tralasciando gli aspetti relativi alle ritualità, aveva optato per l’accesso alla cremazione.
Stante la particolarità della situazione, era divenuto difficile il reperimento sul mercato di un cofano dimensionalmente adeguato, al punto che si era reso necessario far provvedere ad una specifica realizzazione ad hoc, con l’effetto ulteriore che il cofano debitamente confezionato col cadavere della persona defunta raggiungeva un peso complessivo tale da non poter essere trasportato con gli ordinari mezzi di trasporto funebre di cui disponeva l’impresa di pompe funebri cui si era rivolta la famiglia (impresa non proprio di secondo piano e di riconosciuta alta qualificazione).
Dovendo quindi ricorrere a soluzioni alternative, cioè a mezzi di trasporti non precedentemente rispondenti alle disposizioni di cui all’art. 20 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., si è risolto l’aspetto ottenendo la dichiarazione di idoneità (comma 2) una tantum e singolare, valida solo per quel trasporto funebre, trascurando di considerare, stante l’eccezionalità del caso, quanto previsto dall’art. 203, comma 2, lett. n) D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 “Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada”: come noto, tale disposizione riguarda gli “autoveicoli per trasporti specifici ed autoveicoli per uso speciale” e il comma di riferimento individua i “veicoli per uso speciale”. Certo, forse si sarebbe potuto ricercare se altri soggetti, effettuanti il trasporto funebre, disponessero di mezzi di trasporto adeguati (sia per le dimensioni, sia per il peso), cosa che nel caso è anche avvenuta, ma senza esito come conseguenza dei tempi per l’esecuzione del servizio funebre.

La seconda criticità della situazione di oversize è emersa per le plurime operazioni di movimentazione del feretro e, di seguito, una terza si è avuta in relazione all’esecuzione della cremazione, dal momento che il feretro presentava, necessariamente, dimensioni eccedenti quelle della bocca d’inserimento nel crematorio.
I familiari, in presenza di questa difficoltà, hanno pensato di “ripiegare” su di una collocazione del feretro con tumulazione in un loculo, dove è stata riscontrata una quarta criticità, dato che, anche in tal caso, le dimensioni del feretro non consentivano il collocamento in loculo, per quanto di recente costruzione e quindi rispondente per le dimensioni alle indicazioni del Punto 13.2) della circolare del Ministero della sanità n. 24 del 24 giugno 1993.
Non si entra nel merito, per difetto di informazioni sufficienti, sull’eventualità del atto che il peso complessivo del feretro portasse a criticità anche l’aspetto considerato al punto 13.1) della medesima circolare e/o all’art. 76, comma 5 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (ripreso dalla circolare).
A questo punto rimaneva la soluzione di ricorrere alla pratica funeraria dell’inumazione, anche se la realizzazione della fossa doveva avvenire, come poi avvenuto, eccedendo un po’ le dimensioni previste dall’art. 72 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m.

La famiglia della persona defunta non ha apprezzato il tutto, dolendosene anche con la stampa (molto) locale, poi ripresa anche da altre testate (Grandi obesi: difficile la sepoltura e la cremazione?) – quelle situazioni di fronte a cui l’amministrazione comunale locale, così come l’impresa di pompe funebri scelta dalla famiglia, l’eventuale soggetto gestore del cimitero e l’eventuale soggetto gestore dell’impianto di cremazione, si trovano in posizione di oggettiva, sostanziale “indifendibilità” – argomentando di essere stata vittima di comportamenti discriminatori, e di violazione della volontà, espressa dalla persona defunta, di essere cremata, dolendosi di una sofferta lesione di diritti della persona.
Sotto il profilo umano queste doglianze possono anche essere comprese e magari anche condivise l’amarezza. Non condivisibile però è l’assunto sulla discriminazione dal momento che questa richiede un minimo di comportamento volitivo, una qualche intenzionalità specifica, mentre, nella fattispecie descritta, si è dovuto far fronte ad una situazione oggettiva, fisica, di necessità che non è non imputabile ad alcuno dei diversi soggetti coinvolti, e nemmeno è imputabile alla persona deceduta.
Questa condizione fisica non consente di poter parlare di una qualche discriminazione, ma unicamente di impossibilità, altrettanto oggettiva, fisica, di dare esecuzione alle volontà espresse dalla persona defunta e/o dai suoi familiari. Ripetendo considerazioni già fatte, si comprende pienamente l’amarezza della famiglia, ma, in una tale evenienza, appare del tutto fuori luogo parlare di discriminazione.

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Sereno Scolaro

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