I morti in casa fanno paura ?

Di seguito si riporta la risposta di Don Vittorio Chiari ad una lettera pervenuta sul tema della sfortuna a tenere un morto in casa.

LA LETTERA

Eminenza, non sono troppo di chiesa, ma a Gesù Cristo ci credo. Appartengo alla generazione del ’68 e qualcosa del tempo della contestazione mi è rimasta dentro. I miei figli li ho battezzati, in disaccordo con mio marito, che avrebbe voluto rimandare il Battesimo, quando loro erano in grado di esprimere il loro parere. Ora mi è capitato un grave problema: è morta mia mamma, la volevo portare a casa e da là in chiesa. Ci teneva a morire in casa, la sua casa, invece è morta all’ospedale. Mia figlia, che ha quindici anni, mi ha fatto una scenata isterica. Mi ha dato della matta, perché i morti in casa portano sfortuna, “iella” ha detto! E’ sempre stata la sua cara nonnina e adesso che è morta, non la vuole più vedere, neppure per un attimo!

LA RISPOSTA

Mia cara signora, sua figlia riflette la cultura dei nostri giorni, dove alla sepoltura sempre più spesso si sceglie la cremazione. La Chiesa non si oppone, ma io sono dispiaciuto per quello che avviene prima della sepoltura o della cremazione: non si prega più, la veglia in casa per il Rosario è tramontata, il corpo del “caro estinto” viene affidato alle Agenzie funebri e lo si vede, o non lo si vede, alla chiusura della cassa. In città, in certi palazzoni, questo rende tutto più facile, più discreto, non dà fastidio agli inquillini, spesso anonimi, sconosciuti, ma fa sentire la morte come un qualcosa che crea problemi, da eliminare in fretta!

E’ che oggi si ha paura della morte! Non certo quella che si vede in TV: se non è film, è spettacolo, motivo di discussione anche morbosa, se non si trova subito il colpevole e la si riveste di “giallo” poliziesco! Quanto accade nella realtà lo si vorebbe tenere lontano, per non interrogarci su questo Mistero, che è il mistero della vita, del dolore della sofferenza. Interpella la nostra fede, ci pone di fronte a quel che succede dopo: nulla o eternità?

Non mi meraviglia che una quindicenne abbia dentro questo rifiuto. Temo per lei, vittima di una cultura che non la prepara la morte alla lontana, che non insegna più a morire. Non è un colorare la vita di un’adolescente di pessimismo, di malinconia! E’ aiutarla ad apprezzarla maggiormente, illuminandola dell’altro grande Mistero della Resurrezione, della vita nell’Oltre, nel Paradiso.

Anni fa, visitando una mamma all’Ospedale, dove avevano trasportato il corpo della figlia quindicenne, morta in incidente stradale, la trovai che l’accarezzava dolcemente sul volto, come fosse viva: “Sono i miei ultimi gesti d’amore, prima che me la mettano via per sempre!”. In quei gesti di tenerezza, mi è apparsa al vivo la rappresentazione della “Pietà” michelangiolesca o, meglio ancora, della Madre di Gesù che accoglie tra le sue braccia il suo corpo martoriato, crocifisso, appena tolto dalla croce.

Gentile signora, dica a sua figlia che la nonna non porta sfortuna, le ricordi tutti i gesti di affetto che le ha donato: “Colei che tu non vuoi in casa per l’ultima volta, è la Donna che mi ha regalato la vita! Non mi ha portato sfortuna, facendomi vivere, aiutandomi a crescere, insegnandomi ad amare… “. Non la convincerà, ora, ma verrà anche per lei “un certo giorno”, in cui si ricorderà e chiederà perdono per essere stata “piccola” nell’amore.

Don Vittorio Chiari (26-10-2007, 14:17)

Fonte: redacon.radionova.it

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2 thoughts on “I morti in casa fanno paura ?

  1. Buonasera,
    Ho molto paura dei morti
    E temo il giorno che dovesse lasciarmi mio marito
    Penso non potrei più vivere in questa casa sono terrorizzata e spero poter morire prima di lui (io 64 anni ) mio marito 77 ci penso spesso e sono angosciata
    C’è qualcosa che mi possa aiutare ?

  2. L’esposizione estetica dei cadaveri è parte integrante di molte tradizioni culturali ed etniche.

    Molti esperti di tanatologia ritengono che render visita ai morti aiuti il processo di emancipazione dalla figura dell’estinto, aiutando l’animo a riconoscere la realtà della morte.

    Non è, invece, opportuno introdurre anche i bimbi nella camera ardente, perché potrebbero impressionarsi troppo oppure non capire la tragicità del momento.

    Considerazioni diverse meritano invece gli adolescenti: in questo caso i teen-agers hanno una personalità più forte e vedere i morti è pur sempre un segno di crescita, perché si entra nel mondo degli adulti e nella drammatica consapevolezza che lo fonda.

    Vegliare un cadavere è, dunque, pratica da non demonizzare, purché il ragazzino mostri apertamente questa volontà e ne sia cosciente, senza forzature o indebite pressioni.

    Secondo un altro filone della dottrina, parimenti legittimato dalla letteratura medica, ad un’ età molto tenera, i bambini avrebbero già maturato la consapevolezza della morte e cercano seppur in modo elementare una risposta a questa tragica condizione.

    Anche ai bimbi allora dovrebbero essere data la possibilità di entrare nella camera ardente ed assistere ed all’officio funebre.

    In America, ad esempio, Il direttore dell’impresa con la sua discreta presenza è sempre disponibile per un immediato sostegno psicologico ad un minore sconvolto della vista di una salma, può poi, su richiesta della famiglia, offrire il proprio contributo su come aiutare i bambini durante un funerale e può fornire sempre utilissime informazioni assieme ad una ricca bibliografia di testi su cui documentarsi.

    Per costruire una solida cultura funeraria ed un futuro per le stesse imprese d’estreme onoranze bisognerebbe, in ogni caso, lavorare sui bimbi, con un intervento didattico di grande respiro, ispirato all’oggetto ricordo, alla storia dell’antenato.

    Questa catalogazione letteraria del proprio passato dovrebbe coinvolgere anche gli adulti che, sempre con maggior disagio, affrontano con i figli il problema della morte.

    I nostri bambini, invece, vengono invasi ed assillati dalle immagini di una televisione drogata di luci e suoni assolutamente illusorie, così la morte, nel tubo catodico, si risolve in un evento finto e romanzato, diventa solo una banale recita.

    Di morte non si parla quasi mai, salvo quando succede la disgrazia e l’angelo nero entra di prepotenza nella nostra vita, strappandoci una persona cara.

    I bambini, invece, andrebbero, in qualche modo, educati alla fine della vita ma questo crescita della loro coscienza non può certo avvenire nel momento in cui il dolore per un lutto è massimo.

    Il cimitero, in quest’ottica, dovrebbe esser vissuto come una città dei ricordi in cui una comunità riscopre le proprie origini e la storia di ognuno.

    Il camposanto, allora, non deve esser degradato ad un luogo maledetto infestato da fetidi miasmi e paure infernali, dove si va solo a soffrire, dobbiamo saper proporre ai nostri bambini un nuovo codice di valori, un linguaggio trasversale con cui poter parlare liberamente anche della morte.

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