Consiglio di Stato, Sez. V, 18 gennaio 2017, n. 206

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. V, 18 gennaio 2017, n. 206
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 3219 del 2007, proposto da:
API – Anonima Petroli Italiana s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Vittorio Zammit, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Alessandria, n. 130;
contro
Antonio Zingaro, rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Piccolo e Michele Dionigi, con domicilio eletto presso Michele Di Carlo, in Roma, via Raffaele Caverni, n. 6;
Comune di Andria, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe De Candia, con domicilio eletto presso Enzo Augusto, in Roma, viale Mazzini, n. 73, sc. B int. 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari, Sezione III, n. 00435/2007, resa tra le parti, concernente la realizzazione di un impianto di rifornimento carburanti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Antonio Zingaro e del Comune di Andria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2016 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Maria Beatrice Zammit, in dichiarata delega di Vittorio Zammit, De Candia, Piccolo e Dionigi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con sentenza 4/2/2007, n. 435, il TAR Puglia – Bari, ha accolto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dal sig. Antonio Zingaro per l’annullamento, dei seguenti atti:
1) provvedimento con cui il Comune di Andria ha rigettato una sua istanza volta ad ottenere l’autorizzazione all’apertura di un impianto per la distribuzione di carburanti su un’area ubicata nella via Togliatti;
2) determinazione n. 11/2005, con cui la API s.p.a. è stata autorizzata all’apertura di analogo impianto sulla medesima via;
3) permesso di costruire n. 38/2005 rilasciato per la realizzazione della detta struttura;
4) parere igienico-sanitario favorevole alla realizzazione del progetto emesso dalla competente amministrazione sanitaria;
5) artt. 6, lett. d) e 29 del regolamento per l’istallazione di nuovi impianti di distribuzione di carburante, approvato con deliberazione consiliare n. 27 del 30/4/2003;
6) della nota prot. 25565 del 9/6/2003 del Capo Settore Sviluppo;
7) della deliberazione della Conferenza di Servizi del 27/1/2004 ed in particolare del parere favorevole espresso dal Capo Settore Pianificazione del Territorio circa la conformità del progetto al vincolo di rispetto della zona cimiteriale come prescritto dall’art. 338 del R.D. 27/7/1934 n. 1265 e dall’art. 2.14, comma 6, delle N.T.E. del P.R.G.;
8) della nota prot. 9038 del 12/2/2004 del responsabile dello Sportello Unico;
9) dell’atto di autenticazione della firma e di identificazione di Campanile Angela in data 21/1/2004;
10) della nota prot. n. 14450 del 16/3/2004 del funzionario tecnico del Comune di Andria;
11) delle determinazioni dirigenziali n. 19 del 10/1/2006 e n. 23 del giorno 11/1/2006.
12) della determinazione dirigenziale n. 381 del 9/3/2006, con cui l’amministrazione ha annullato in autotutela il provvedimento tacito formatosi sulle istanze di autorizzazione all’apertura di un impianto di distribuzione di carburanti avanzate dal sig. Zingaro.
Ritenendo la sentenza erronea e ingiusta, la API s.p.a. l’ha impugnata chiedendone l’annullamento.
Per resistere all’appello si sono costituiti in giudizio il sig. Zingaro e il Comune di Andria.
Con successive memorie tutte la parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 1/12/2016 la causa è passata in decisione.
Può prescindersi dall’esame dell’eccezione con cui le parti appellate lamentano l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specifici motivi di gravame contro la sentenza impugnata, essendo, comunque, il ricorso da rigettare nel merito.
Va innanzitutto affrontata la doglianza con cui l’appellante deduce che il ricorso di primo grado dovrebbe essere dichiarato improcedibile.
Queste le considerazioni svolte a sostegno della stessa:
a) il sig. Zingaro non aveva potuto ottenere la richiesta autorizzazione all’apertura di un distributore di carburanti nella via Togliatti per l’insussistenza della distanza minima legale dall’impianto dell’API s.p.a.;
b) nelle more del giudizio è intervenuta la L. n. 133/2008, che, liberalizzando il settore della distribuzione dei carburanti, ha superato il limite, precedentemente in vigore, della distanza minima tra impianti;
c) per l’effetto al sig. Zingaro è stata rilasciata l’autorizzazione precedentemente negata;
d) da qui il sopraggiunto difetto d’interesse all’annullamento delle autorizzazioni emesse in favore dell’API s.p.a. impugnata davanti al TAR.
La doglianza non può trovare accoglimento.
Al riguardo è sufficiente rilevare che il sig. Zingaro ha ottenuto l’autorizzazione all’apertura di un impianto per la distribuzione di carburanti da ubicare nella via Togliatti solo con la determinazione n. 53 in data 12/11/2013, per cui la stessa, in mancanza di una contraria dichiarazione di parte, non può dirsi, quantomeno sotto il profilo temporale (il ricorso di primo grado risale all’anno 2005), pienamente satisfattiva dell’interesse azionato.
L’appello va, dunque, esaminato nel merito.
Col primo motivo l’appellante deduce che il giudice di prime cure non avrebbe pronunciato sull’eccezione con cui in primo grado era stata dedotta l’incompetenza dell’adito TAR a pronunciare sulla determinazione n. 381/2006, emanata in ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6649/2005 (di riforma della sentenza impugnata), posto che le censure di nullità del provvedimento per elusione o violazione del giudicato devono essere fatte valere, secondo il rito dell’ottemperanza, davanti al giudice da cui proviene la pronuncia di cui si assume la mancata esecuzione.
La censura è resa inammissibile dall’effetto devolutivo dell’appello.
In secondo grado, infatti, il giudice è chiamato a valutare tutte le domande e le eccezioni, integrando e correggendo – ove necessario – le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 12/11/2015, n. 5142; 21/9/2015 n. 4393, Sez. VI, 5/3/2013 n. 1315 e 24/2/2009, n. 1081, Sez. V, 13/2/2009, n. 824).
Col secondo motivo si lamenta, tra l’altro, che la sentenza avrebbe ritenuto illegittima l’autorizzazione all’apertura di un impianto per la distribuzione di carburanti rilasciata all’appellante, sull’erroneo presupposto che il detto impianto sarebbe da realizzare su area soggetta a vincolo cimiteriale.
A dire dell’appellante, infatti, tale circostanza sarebbe del tutto irrilevante in quanto la distanza minima dal cimitero della detta area sarebbe di mt. 125, per cui sarebbe esterna alla fascia in cui sono consentiti solo quegli interventi elencati nell’art. 2.14, comma 6, delle N.T.A. del P.R.G. (piccole costruzioni a titolo precario e provvisorio per la vendita di fiori e oggetti di culto) e del resto il progetto proposto dall’API non riguarda la realizzazione di residenze o di immobili destinati ad ospitare persone in via permanente e continuativa.
Inoltre, la valutazione della compatibilità della costruzione di edifici all’interno della zona di rispetto cimiteriale sarebbe riservata all’autorità preposta alla tutela del vincolo.
La doglianza è infondata.
Dispone l’art. 338 R.D. 27/7/1934 n. 1265: “I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge”.
Il vincolo di inedificabilità previsto dalla trascritta norma, di carattere assoluto e tale da imporsi anche su contrastanti previsioni di piano regolatore generale, non consente di allocare, all’interno della fascia di rispetto, né edifici destinati alla residenza, né altre opere comunque, incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia intende tutelare e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione ed alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons. Stato, Sz. VI, 9/3/2016, n. 949 e 27/7/2015, n. 3667; Sez. III, 17/11/2015, n. 5257; Sez. IV, 22/11/2013, n. 5571; Sez. V, 14/9/2010, n. 6671).
Nel caso di specie è incontroverso che l’area oggetto d’intervento ricadesse entro la zona di rispetto cimiteriale (mt. 125 dalla cinta dal cimitero).
Conseguentemente l’istanza di autorizzazione avanzata dall’appellante non avrebbe potuto trovare accoglimento.
Trattandosi di vincolo di inedificabilità assoluta nella specie non doveva essere compiuta alcuna valutazione da parte dell’“autorità preposta alla tutela del vincolo” e ciò priva di rilevanza l’adombrata censura di difetto di competenza, censura, comunque, infondata, essendo stata la previsione del vincolo inclusa nelle norme dello strumento urbanistico generale.
Il mancato accoglimento delle doglianze esaminate rende superflua la trattazione dei restanti motivi d’appello rivolti contro le ulteriori motivazioni della sentenza esplicitate dall’adito TAR a sostegno del pronunciato accoglimento del ricorso di primo grado.
Ed invero, quando, come nella fattispecie, la sentenza gravata si fonda su una pluralità di motivi ciascuno dei quali da solo in grado di sostenerla, perché fondato su specifici presupposti logico-giuridici, è sufficiente, ai fini del rigetto dell’appello, che uno soltanto di essi risulti esente dai vizi dedotti.
In definitiva l’appello dev’essere respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che la Sezione ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore delle parti appellate, liquidandole forfettariamente in complessivi € 3.000/00 (tremila) per ciascuna di esse, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Alessandro Maggio
Carlo Saltelli
IL SEGRETARIO

Written by:

Meneghini Elisa

0 Posts

View All Posts
Follow Me :