TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 1° dicembre 2009, n. 2381

Norme correlate:
Art 338 Regio Decreto n. 1265/1934
Art 28 Legge n. 166/2002
Capo 10 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Riferimenti: Cons. Stato V, 19/5/98 n. 616, 1/4/98 n. 400, 2/3/94 n. 120; 9/4/94 n. 275; 20/12/85 n. 482; TAR Toscana, III, 12/2/03 n. 270

Massima:
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 1° dicembre 2009, n. 2381
In materia di vincolo cimiteriale, la salvaguardia del rispetto dei 200 metri prevista dall’art. 338 del T.U. delle leggi sanitarie di cui al r.d. 27.07.1934 n. 1265 nonché dall’art. 57 del d.P.R. 10.09.1990 n. 285 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità, valevole per qualsiasi manufatto edilizio anche ad uso diverso da quello di abitazione. Il vincolo cimiteriale ha infatti una triplice finalità, in quanto, oltre alle esigenze sanitarie ed alla salvaguardia della possibilità di espansioni del perimetro cimiteriale, esso garantisce anche il rispetto della tranquillità, del decoro e della speciale sacralità dei luoghi di sepoltura. Di conseguenza, devono ritenersi compresi nel divieto di edificazione anche i tralicci per telecomunicazioni .

Testo completo:
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 1° dicembre 2009, n. 2381
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 483 del 2007, proposto da:
AGOSTINO GUIZZETTI,
rappresentato e difeso dagli avv. Nicola Laurito, Alessandro Del Dotto, con domicilio eletto presso Enrico Codignola in Brescia, via Romanino,16 (Fax=030/47897);
contro
COMUNE DI COSTA VOLPINO,
rappresentato e difeso dall’avv. Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso Domenico Bezzi, in Brescia, via Cadorna 7;
nei confronti di
A.R.P.A. DELLA LOMBARDIA, non costituita in giudizio;
VODAFONE OMNITEL N.V., non costituita in giudizio;
TELECOM ITALIA SPA,
rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso Elena Pagani in Brescia, via Gramsci, 30 (Fax=030/294724);
per l’annullamento
autorizzazioni rilasciate dal comune in data 5.9.2006 prot. n. 12667 alla soc. Vodafone omnitel n.v. e in data 9.8.2006 n. 11808 alla soc. Telecom Italia Spa per la realizzazione di infrastrutture di telecomunicazioni per impianti radioelettrici per nuove stazioni base ed atti connessi.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Costa Volpino;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Telecom Italia Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11/11/2009 il dott. Carmine Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
L’odierno ricorrente impugna i provvedimenti del 5.9.2006 e del 9.8.2006 con cui il Comune di Costa Volpino ha autorizzato rispettivamente la Vodafone Omnitel e la Telecom Italia alla posa in opera di una infrastruttura per impianti radioelettrici da posizionare all’angolo del territorio comunale posto tra via Donatori di Sangue e via Aria libera, ovvero a circa 30 metri dall’abitazione del ricorrente.
I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:
1. i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi per violazione dell’art. 87 d.lgs. 259/2003 e dell’art. 20 del d.p.r. 380/01 perché emessi senza istruttoria sulla compatibilità urbanistica dell’opera, istruttoria limitata al sintetico richiamo all’art. 53 delle n.t.a. dello strumento urbanistico vigente;
2. i provvedimenti impugnati sarebbero altresì illegittimi per violazione dell’art. 338 r.d. 1265/34 perché, ponendo i tralicci a 20 m. di distanza dal locale cimitero, sarebbe stato violato il relativo vincolo assoluto di inedificabilità;
3. i provvedimenti impugnati sarebbero altresì illegittimi per violazione degli artt. 46 e 53 delle norme di piano, atteso che l’art. 53 delle n.t.a. consente l’impianto delle infrastrutture per telecomunicazioni nelle sole zone S9 (mentre la zona in questione è E6), e l’art. 46 delle stesse n.t.a. ne consente la realizzazione nelle zone E soltanto limitatamente all’indispensabile.
Si costituiva in giudizio il Comune di Costa Volpino, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso.
Si costituiva altresì la Telecom Italia, che deduceva parimenti l’infondatezza dei motivi di ricorso.
Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 11.11.2009, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
Occorre preliminarmente affrontare l’eccezione di irricevibilità per tardività avanzata dalla controinteressata Telecom Italia.
L’eccezione si fonda sulla circostanza che il traliccio per telecomunicazioni è stato realizzato tra ottobre e novembre 2006, mentre la notifica del ricorso è intervenuta a marzo 2007 (in particolare, la Telecom dichiara la realizzazione del manufatto al 20.
11. 2006, la circostanza è sostanzialmente ammessa anche dal ricorrente nei propri scritti difensivi, talchè non si rende necessario procedere ad ulteriore istruttoria sul punto mediante l’acquisizione documentale delle produzioni tardivamente introdotte dalla controinteressata).
Il ricorrente fa, però, decorrere il termine di cui all’art. 21, co. 1, l. 1034/71, entro cui notificare il ricorso, dalla data in cui il Comune ha rilasciato al ricorrente il provvedimento impugnati, che consisterebbe nel 1. 2. 2007, data di esecuzione dell’accesso agli atti.
Tale deduzione è senz’altro corretta. “La piena conoscenza del titolo edilizio, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una concessione, si verifica nella materia edilizia con la consapevolezza del contenuto specifico di essa o del progetto edilizio ovvero quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e la eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica” (ex plurimis Tar Salerno 4225/09). Per far decorrere il termine d’impugnazione non basta, pertanto, che la realizzazione dell’opera ne riveli le caratteristiche fisiche, ma occorre anche che ne riveli “in modo inequivoco l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica” (CdS, IV, 4015/09).
In un caso quale quello in esame, la cognizione completa della regolarità della situazione abilitativa si ottiene soltanto con l’accesso (si ricorda sul punto che per costante giurisprudenza – Cons. Stato V, 19.5.98 n. 616, 1.4.98 n. 400, 2.3.94 n. 120; 9.4.94 n. 275; 20.12.85 n. 482; TAR Toscana, III, 12.2.03 n. 270 -, la mera affissione all’albo pretorio del comune non costituisce formalità idonea alla decorrenza dei termini per l’impugnazione di una concessione edilizia).
La difesa della controinteressata deduce che, attribuendo un valore decisivo all’acquisizione documentale ottenuta in sede di accesso, si finirebbe con l’eludere i termini entro cui si determina l’inoppugnabilità del provvedimento, in quanto il soggetto potrebbe ritardare l’accesso ad libitum ed essere sempre ritenuto in termini anche a fronte di costruzioni realizzate anni prima.
La deduzione è senz’altro corretta, e ben formulata, in termini generali, ma si ritiene non sia applicabile al caso in esame, in cui la costruzione dell’opera (durata circa 3 settimane) è terminata il 20.11.2006, e la richiesta di accesso agli atti è stata depositata dal ricorrente il 24.11.2006 (seguita dalle ulteriori richieste integrative del 11.12.2006, del 20.12.2006 e del 18.1.2007, con provvedimento abilitativo ottenuto il 1.2.2007).
Il ricorso, pertanto, deve essere giudicato tempestivo.
Nel merito esso è fondato.
Il punto di partenza è la norma attributiva del potere (non) esercitato in concreto dall’amministrazione, che è l’art. 338 del t.u. leggi sanitarie, secondo cui:
“I cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge Le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano ai cimiteri militari di guerra quando siano trascorsi 10 anni dal seppellimento dell’ultima salma.
Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa fino a lire 200.000 e deve inoltre, a sue spese, demolire l’edificio o la parte di nuova costruzione, salvi i provvedimenti di ufficio in caso di inadempienza.
Il consiglio comunale può approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni:
a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;
b) l’impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi,
Per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienicosanitarie, il consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell’area, autorizzando l’ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici. La riduzione di cui al periodo precedente si applica con identica procedura anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre.
Al fine dell’acquisizione del parere della competente azienda sanitaria locale, previsto dal presente articolo, decorsi inutilmente due mesi dalla richiesta, il parere si ritiene espresso favorevolmente”.
Il posizionamento dell’opera nella fascia di rispetto di 200 m. dal perimetro del cimitero è dato di fatto pacifico ed incontestato (il manufatto sarebbe posizionata a circa 20 m. dal muro del cimitero).
La difesa del Comune e della controinteressata affermano, peraltro, che non vi sarebbe stata violazione sostanziale del vincolo in quanto il manufatto in questione, per le sue caratteristiche peculiari (si tratta di un traliccio per telecomunicazioni) non avrebbe violato la ratio del divieto di edificazione. Esso, infatti, non sarebbe destinato alla presenza stabile di persone (con il che verrebbero meno quelle esigenze sanitarie che sono sottese alla creazione del vincolo di inedificabilità). In fatto, inoltre non sarebbe violata neanche l’ulteriore ratio cui presidia il vincolo di tutela, e cioè la possibilità di ulteriore espansione dell’area cimiteriale, in quanto tra il manufatto ed il cimitero corre una piccola via che costituisce ostacolo fisico preclusivo a qualsiasi possibilità di allargamento dell’area cimiteriale.
Si ritiene che queste argomentazioni non siano corrette.
Anzitutto, ci si permette di ricordare che in realtà il vincolo cimiteriale ha una triplice finalità, in quanto, oltre alle esigenze sanitarie ed alla salvaguardia della possibilità di espansioni del perimetro cimiteriale, esso garantisce anche il rispetto della tranquillità e del decoro dei luoghi di sepoltura (cfr. per tutti Tar L’Aquila 1141/08: In forza dell’art. 338 r.d. 27 luglio 1934 n. 1265, il vincolo cimiteriale impone un divieto assoluto di edificazione e persegue la triplice finalità di assicurare condizioni di igiene e di salubrità mediante la conservazione di una “cintura sanitaria” intorno allo stesso cimitero, di garantire la tranquillità e il decoro ai luoghi di sepoltura, di consentire futuri ampliamenti del cimitero), che vengono incise da una struttura impattante quale un traliccio di telecomunicazioni che non è più rispettoso della pietas nei confronti dei defunti di quanto non lo sia una abitazione di residenza.
Occorre, inoltre, aggiungere che le valutazioni in fatto sulla concreta compatibilità dell’opera con l’area cimiteriale (quali quelle sulla non lesione delle esigenze sanitarie, e sulla impossibilità di espansione in fatto dell’area cimiteriale) sono estranee alla disciplina del vincolo di inedificabilità, che si fonda su valutazioni astratte prese in considerazione una volta per tutte dal legislatore (cfr. sul punto CdS, IV, 4256/08: Il vincolo di rispetto cimiteriale preclude il rilascio della concessione edilizia, anche in sanatoria ai sensi dell’art. 33, l. 28 febbraio 1985 n. 47, senza necessità di valutazioni in ordine alla concreta compatibilità dell’opera con i valori tutelati dal vincolo).
Da ultimo si aggiunge che la valutazione introdotta in giudizio sulla estraneità di un traliccio di telecomunicazioni dalla disciplina del vincolo di inedificabilità non trovano alcun fondamento nella norma attributiva del potere. In nessuna disposizione dell’art. 338 sopra citato, infatti, il vincolo di inedificabilità viene limitato soltanto alle abitazioni dove è prevista la stabile residenza di persone. Il primo comma dell’art. 338 stabilisce in modo molto più generale, che “è vietato costruire” nel perimetro della fascia di rispetto senza limitare il divieto a tipi specifici di manufatti (cfr., in giurisprudenza, Tar Toscana 1712/08: In materia di vincolo cimiteriale, la salvaguardia del rispetto dei 200 metri prevista dall’art. 338 del T.U. delle leggi sanitarie di cui al r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 nonché dall’art. 57 del d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285 si pone alla stregua di un vincolo assoluto di inedificabilità, valevole per qualsiasi manufatto edilizio anche ad uso diverso da quello di abitazione e tanto in ragione dei molteplici interessi pubblici nella specie in rilievo relativamente alla tutela delle esigenze di natura igienico-sanitarie e della speciale sacralità dei luoghi). Ne consegue che le deduzioni del Comune e della controinteressata tendenti ad escludere dall’applicazione del vincolo un manufatto quale quello di specie devono essere respinte.
Si affronta da ultimo, per mera completezza, l’argomento introdotto dalla sola difesa della controinteressata sulla possibilità prevista dall’art. 338, co. 5, t.u., secondo cui sono pur sempre possibili deroghe alla fascia di rispetto, in quanto “per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il Consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell’area, autorizzando l’ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici”.
A questo argomento la difesa del ricorrente ha replicato che non esistono i presupposti per l’applicazione in concreto di questa norma, atteso che essa prevede l’approvazione della deroga ad opera del Consiglio comunale laddove nel caso in esame il provvedimento abilitativo è stato rilasciato direttamente dall’ufficio tecnico. La difesa della controinteressata ha dichiarato di non accettare il contraddittorio sul punto dell’organo competente a rilasciare la deroga, in quanto non sollevato a suo tempo in ricorso, ma si tratta di pretesa del tutto incongrua.
Non è stato, infatti, il ricorrente ad introdurre l’argomento della possibilità di deroga alla fascia di rispetto, ma la controinteressata Telecom, che però non ha ritenuto necessario evidenziare adeguatamente che la deroga è sì possibile, ma solo con delibera del Consiglio comunale. La difesa del ricorrente, evidenziando che nel caso in esame non v’era stata alcuna delibera del Consiglio comunale autorizzante la deroga, si è limitata a replicare ad un argomento introdotto dalla controinteressata, e non ad un introdurre un ulteriore motivo di ricorso, per cui non ha titolo la controinteressata per accettare o meno il contraddittorio sul punto.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi formulati in ricorso. Infatti, “nel giudizio amministrativo, l’accoglimento di una censura, che sia in grado di provocare la caducazione dell’atto impugnato, fa venire meno l’interesse del ricorrente all’esame degli altri motivi da parte del giudice e la potestà di questi di procedere a tale esame, autorizzando la dichiarazione di assorbimento” (Cons. Stato, sez. VI, 7 ottobre 2008, n. 4829).
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. staccata di Brescia, I sezione interna, così definitivamente pronunciando:
Accoglie il ricorso, e, per l’effetto, annulla i provvedimenti del 5. 9.2006 e del 9. 8. 2006 emessi dal Comune di Costa Volpino.
Condanna le controparti in solido tra loro al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, che determina in euro 3.000, più i.v.a. e c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 11/11/2009 con l’intervento dei Magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 01/12/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

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