Norme correlate: Art. 92 d.P.R. 10/9/1990, n. 285
Massima
La disciplina dei loculi cimiteriali esclude del tutto la possibilità di compravendita degli stessi tra privati, potendo il bene essere oggetto di concessione solo per il tramite dell’autorità amministrativa. Si tratta quindi di un bene che non può essere oggetto di un negozio tra privati e in quanto tale è da ritenere un bene extra commercium.
Testo
Corte dei Conti
Sezione giurisdizionale Campania
Giudizio R.G. n. 74161
Sentenza n. 319/2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte dei Conti
sezione giurisdizionale regionale per la Campania
composta dai Magistrati:
Paolo Novelli Presidente
Eugenio Musumeci Giudice
Alessandra Molina Giudice relatrice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 74161 R.G., instaurato a istanza della Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale nei confronti di:
Enrico M. (C.F.: < omissis >), nato il 21.11.1956 a Napoli (NA) e residente a Cercola (NA), Viale dei Platani, n. 1, scala D, piano rialzato, interno 1; Roberto R. (C.F.: ), nato il 28.09.1968 a Napoli (NA) e residente a San Giorgio a Cremano (NA), Via Alcide De Gasperi, n. 13/Oves, scala B, interno 6; Z. (C.F. < omissis >), società cooperativa sociale, con sede legale in San Giorgio a Cremano (NA), Via San Giorgio vecchio, n. 162, in persona del legale rappresentante pro tempore,
Giovanni R., tutti rappresentati e difesi in base a procura alla memoria di costituzione dall’Avv. Fabio Maria Mignano, del Foro di Napoli e con lo stesso elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore in San Giorgio a Cremano (NA), Via Cavalli di Bronzo, n. 9, e che indica il numero di fax: 081.275018 e l’indirizzo pec: fabiomariamignano@avvocatinapoli.legalmail.it presso i quali intende ricevere le comunicazioni;
Alessio A. (C.F.: < omissis >), nato il 29.01.1981 a Cercola (NA) e residente a Portici (NA), Via Moretti, n. 81, scala C, interno 8;
VISTI l’atto di citazione, gli altri atti e documenti di causa;
CHIAMATA la causa nella pubblica udienza dell’11.04.2024, con l’assistenza del segretario dott. Francesco Fiordoro, sono presenti il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Raffaele Cangiano, nonché l’Avv. Fabio Maria Mignano per la parte convenuta.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. Con atto di citazione del 24.11.2024, ritualmente notificato, la Procura regionale citava in giudizio, dinanzi a questa Sezione giurisdizionale, Enrico M., Roberto R., Alessio A. (all’epoca dei fatti Alessia, il cui sesso è stato rettificato dal Tribunale di Napoli con la sent. n. 4018/2022) e la Z., società cooperativa sociale, per sentirli condannare al pagamento in favore del comune di San Giorgio a Cremano dell’importo complessivo di euro 211.737,469 oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di giustizia in relazione agli addebiti descritti e contestati nel predetto atto.
Esponeva la Procura che il M., il R. e l’A. venivano segnalati come tutti destinatari di misura cautelare personale degli arresti domiciliari per violazione, in concorso tra loro, degli artt. 319 c.p. (“corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio”), 319-quater (“induzione indebita”), e 479 c.p. (“falso in atto pubblico”) in quanto, attraverso accordi clandestini, avrebbero violato le disposizioni di cui al regolamento di polizia mortuaria per inseguire il profitto personale, effettuando lavori non autorizzati di moltiplicazioni di loculi cimiteriali, poi ceduti a privati dietro il pagamento di somme di danaro dall’importo più o meno significativo.
Dall’attività istruttoria condotta dalla Procura al riguardo risultava altresì pendente un procedimento penale presso il Tribunale di Napoli innanzi alla IV sezione penale. La Procura contabile procedeva quindi ad acquisire informazioni e documentazione dalla Procura della Repubblica, dal Comune di San Giorgio a Cremano, nonché dall’Anac riguardo al provvedimento adottato, in relazione alla medesima vicenda, nei confronti del R.
Dall’ordinanza di custodia cautelare sarebbe emersa la condotta incriminata, consistente nel far presentare artatamente un soggetto quale erede della famiglia As., al fine di avviare le pratiche per il rifacimento della relativa cappella, così occultando al Comune lo stato di abbandono e pericolo di crollo in cui si trovava il monumento funerario degli eredi As.
Il degrado del monumento avrebbe permesso, secondo il regolamento di polizia mortuaria (art. 63 del D.P.R. n. 285/1990), di dichiarare la decadenza della concessione, con conseguente nuova assegnazione delle concessioni e introito relativo alla pratica.
Invece, i convenuti, mediante lavori di ristrutturazione straordinaria della cappella stessa, avrebbero ottenuto undici nuovi loculi dai tre preesistenti e proceduto essi stessi alla vendita illecita così lucrando i corrispettivi a danno del Comune.
Più in particolare, dalle indagini espletate e dai documenti acquisiti sarebbe emerso che il R. avrebbe commissionato i lavori all’edicola As., realizzati tramite operai che lavoravano in ambito cimiteriale “di cui il R. dispone a proprio piacimento, essendo l’amministratore di fatto della ditta L.M., che ha in appalto e gestione tutte le operazioni cimiteriali”.
Il M., Comandante di Polizia Mortuaria, ne avrebbe autorizzato i lavori, attestandone falsamente la natura di lavori di ordinaria manutenzione, provvedendo altresì ad autorizzare la traslazione dei resti mortali all’interno dei nuovi loculi, l’apposizione di marmi, nonché il trasferimento della concessione di uso dal vecchio titolare al nuovo acquirente.
L’A. avrebbe reperito, all’interno dello stesso cimitero, gli acquirenti dei nuovi loculi, provvedendo a predisporre e presentare loro una scrittura privata denominata “dichiarazione di concessione in uso” a firma di tal B. Antonio (il quale figurava falsamente come il titolare della concessione dei nuovi loculi); nonché a riscuotere i relativi importi.
Agli atti del giudizio penale risulterebbero anche le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, nonché i verbali delle sommarie informazioni raccolte da diversi soggetti, che avrebbero consentito di ricostruire, con certezza, anche i corrispettivi versati da ciascuno dei privati per l’acquisto del loculo.
Inoltre, con riguardo alla posizione del M., le indagini penali avrebbero consentito di disvelare un sistema corruttivo, messo in piedi dal R., che avrebbe garantito al comandante, ora in quiescenza, di percepire, dal 2014 al 2016, un corrispettivo una tantum e una quota fissa mensile per il suo operato.
Dalla trascrizione della conversazione intrattenuta tra i due il 20.11.2014, regis trata dallo stesso R., risulterebbe che i due si erano accordati per una tangente mensile di euro 700 al M.; risulterebbe altresì la quota parte spettante per la vendita dei loculi, percepita dal M. e pari ad almeno 3.800 euro.
Dall’integrazione della richiesta originaria di applicazione delle misure cautelari risulterebbe altresì la dazione di euro 2.500 come somma restante della suddivisione concernente la illecita vendita di parte dei loculi cimiteriali ricavati nella cappella As., nonché continui contatti tra il R. e il M.
Risulterebbe altresì che l’operazione di vendita delle concessioni di loculi all’interno del cimitero di San Giorgio a Cremano non aveva interessato il solo monumento funerario della famiglia As., ma anche altri loculi presenti all’interno del cimitero.
In merito alla posizione del R., sarebbe altresì emerso che egli, in quanto titolare della ditta Z. cui era stato affidato l’appalto, per nove anni, della gestione dei servizi cimiteriali con decorrenza 1.10.2016, non avrebbe più rivestito, formalmente, da quella data, il ruolo di custode del cimitero, pur continuando a svolgerlo di fatto.
Elementi utili alla ricostruzione dei fatti sarebbero stati desunti anche dal provvedimento dell’ANAC n. 3989/2018, indirizzato al prefetto di Napoli, all’esito dell’istruttoria condotta sul R., nella sua qualità di responsabile della gestione di un servizio di pubblica utilità in regime di concessione, quali i servizi cimiteriali.
1.2. La Procura riteneva sussistenti tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa dei tre incolpati, in rapporto di servizio con la pubblica amministrazione.
Enrico M., all’epoca dei fatti pubblico ufficiale, in quanto tenente colonnello di polizia municipale, Comandante della Polizia Mortuaria del cimitero di San Giorgio a Cremano e funzionario responsabile del servizio, incaricato di rilasciare le autorizzazioni per le operazioni cimiteriali, nonché di compiti di controllo, vigilanza e sicurezza all’interno del cimitero.
Il R. e l’A. sarebbero stati incaricati di pubblico servizio e comunque avvinti da rapporto di servizio con l’amministrazione comunale concedente in virtù dei loro ruoli gestionali di diritto e di fatto nelle società concessionarie.
Difatti, il R. ricopriva ruoli di responsabilità in entrambe le società costituenti l’ATI affidataria della concessione della gestione dei servizi cimiteriali all’epoca dei fatti, composta da “L.M. coop.” in veste di mandataria e la Z. in veste di mandante. In particolare, sarebbe stato amministratore unico della Z. dal 2011 al 2017. Inoltre, nell’ambito de L.M. società cooperativa sociale, avrebbe ricoperto le cariche di Consigliere e Vice presidente del Consiglio di Amministrazione (con poteri di rappresentanza della società) dal 2013 al marzo 2016.
Alessia A. sarebbe stato formalmente dipendente della società concessionaria “L.M.”, ma di fatto dipendente della società Z.
La citazione veniva altresì notificata alla società Z., all’epoca dei fatti concessionaria della gestione dei servizi cimiteriali; e non anche alla società L.M., risultata medio tempore estinta.
I tre, ciascuno per la propria parte, avrebbero messo a punto un’organizzazione criminale intesa alla realizzazione e vendita di nuovi loculi cimiteriali, ricavati da preesistenti edicole votive, all’insaputa dei titolari delle relative concessioni, allo scopo di procurare per sé un illecito profitto, in danno alle casse dell’amministrazione comunale. Tanto avveniva in violazione del disposto di cui all’art. 94, comma 1, del D.P.R. n. 285/1990, nonché del regolamento di polizia mortuaria.
L’elemento soggettivo veniva declinato a titolo di dolo, in quanto, come accertato nei provvedimenti emessi in sede penale, gli stessi avrebbero coscientemente abusato del proprio ruolo pubblico per trarne un indebito vantaggio personale.
La Procura riteneva che la condotta degli odierni incolpati avrebbe sicuramente arrecato un danno patrimoniale all’amministrazione comunale, del quale sarebbero chiamati a rispondere, in solido, tutti gli odierni incolpati, che avrebbero impedito al comune di San Giorgio a Cremano di incassare i diritti relativi ai permessi di costruire non rilasciati, nonché quelli relativi al rilascio delle concessioni per i nuovi loculi.
Fissando un costo medio per ogni loculo pari a euro 2.000,00 (come quantificato dalla stessa amministrazione comunale) e moltiplicandolo per gli undici loculi oggetto di contestazione, si otterrebbe un mancato introito pari a euro 22.000,00.
Inoltre, al Comandante M. veniva contestato il danno da tangente, in quanto avrebbe pattuito e incassato 4.800 euro quale quota parte del ricavato dalla vendita dei loculi di nuova costruzione, oltre a un fisso mensile di 700 euro, corrisposto dal R. almeno dall’aprile 2014 (mese in cui sarebbe stato accertato che egli autorizzasse, sia pure solo verbalmente, il trasferimento delle spoglie degli eredi Ascione per preparare il campo ai lavori) fino al novembre 2016 (quando veniva trasferito ad altro incarico).
Moltiplicando 700 euro per i 31 mesi documentati (per un totale parziale di 21.700 euro) e aggiungendo i 4.800 euro di cui sopra, sarebbe possibile quantificare tale voce di danno in complessivi 26.500 euro.
Al Comandante M. veniva contestato anche il danno consistente nell’indebita corresponsione di parte della retribuzione per sopravvenuta interruzione del nesso sinallagmatico, per aver egli destinato buona parte della propria attività lavorativa a finalità egoistiche e comunque contrarie agli obblighi di servizio, con la conseguente disutilità della relativa spesa.
Tale voce di danno veniva quantificato, in via equitativa, in misura pari al 40% della retribuzione complessivamente percepita dal M. nei mesi in cui si sarebbero stati registrati gli episodi corruttivi. Ebbene, l’amministrazione aveva comunicato che tra il 2014 e il 2016, il comandante aveva ricevuto una retribuzione pari a euro 109.433,66.
Sottraendo da tale retribuzione lo stipendio relativo ai mesi da gennaio a marzo 2014 e dicembre 2016, si otterrebbe un totale pari euro 95.927,90. Dunque, il 40% di tale ultimo importo consente di quantificare il danno relativo a tale voce in euro 38.371,16.
Analoga posta di danno veniva contestata anche alla società Z. s.a.s, facente parte dell’ATI cui, nel 2014, a seguito dell’interdittiva antimafia che aveva colpito la precedente concessionaria, la società Caronte, l’amministrazione comunale aveva affidato, per una spesa complessiva di euro 416.221,03, la gestione di tutti i servizi cimiteriali, dall’1.03.2014 fino al 30.06.2016, nelle more dello svolgimento della nuova gara.
Riteneva la Procura che una parte del canone corrisposto in quegli anni dall’amministrazione all’ATI avesse rappresentato una spesa inutile, perché intesa a remunerare un’attività in parte distratta dagli obblighi di cui al contratto di concessione.
Sotto tale profilo, riteneva congruo quantificare tale posta di danno nel 30% dell’importo totale versato all’ATI dal comune di San Giorgio al Cremano, pari a euro 124.866,309, da imputarsi in solido al R. e alla società Z.
Pertanto, il danno complessivamente imputabile agli odierni incolpati ammonterebbe a euro 211.737,469 di cui: euro 22.000,00 contestati in solido al M., R. e A., nonché alla società concessionaria Z. a titolo di danno patrimoniale da mancato incasso; euro 124.866,309 contestati, in solido, al R. e alla società concessionaria a titolo di danno da interruzione del nesso sinallagmatico; mentre i restanti euro 64.871,16 (risultanti dalla somma di euro 26.500 e euro 38.371,16) contestati al solo M. a titolo di danno da tangente e danno da interruzione del nesso sinallagmatico.
2. Con memoria del 21.03.2024 si costituivano in giudizio R. Roberto, M. Enrico e la società cooperativa sociale Z., chiedendo preliminarmente di dichiarare la prescrizione dell’azione e, in subordine nel merito il rigetto dell’atto di citazione, invocando altresì l’esercizio del potere riduttivo, nonché la condanna alle spese di giudizio.
2.1. Più nello specifico, in via preliminare, eccepivano l’intervenuta prescrizione dell’azione per decorso del termine quinquennale tra l’accertamento dei fatti o comunque il momento in cui il danno si sarebbe delineato in tutte le sue componenti e l’invito a dedurre.
Invero i fatti sarebbero risalenti al mese di novembre 2014, ma sarebbero stati accertati solo nell’aprile 2016, così come anche evidenziato nell’ordinanza di custodia cautelare adottata dal GIP del Tribunale di Napoli il 3.04.2018. Successivamente, l’Ufficio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli avrebbe esercitato l’azione penale con la richiesta di giudizio immediato che veniva depositata in cancelleria il 9.07.2018 e successivamente notificata al R. ed al M.
Pertanto, l’Ufficio di Procura avrebbe ricevuto la notizia del presunto danno con atto assunto al prot. n. 10195 del 12.07.2018, mentre l’invito a dedurre sarebbe stato emesso solo il 22.09.2023.
Quand’anche si volesse individuare l’esordio della prescrizione nel momento in cui il danno stesso viene delineato in tutte le sue componenti e, dunque, nella data del rinvio a giudizio in sede penale, allora comunque sarebbe prescritto perché sono trascorsi i 5 anni sia dalla notifica dell’invito a dedurre che dalla notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio, avvenuta soltanto il 28.11.2023.
2.2. Nel merito, eccepivano che nessun danno erariale potrebbe essere stato cagionato dall’aver ristrutturato, seppur senza autorizzazione, un bene di natura privata. Inoltre, nessun accertamento sarebbe stato eseguito circa la mancanza della qualità di erede di Antonio B., né sull’effettivo aumento di volumetria dell’edicola Ascione, essendo stata accertata solo la difformità tra il progetto del 1903 e lo stato attuale.
Eccepivano altresì che dall’ordinanza di custodia cautelare emergerebbe come nessuna condotta sarebbe stata mai contestata alla Z., che non avrebbe mai avuto nessun coinvolgimento né sarebbe contestato l’ottenimento di benefici e/o vantaggio economici dalle eventuali condotte illecite, poste in essere eventualmente esclusivamente dal R. Roberto (non certo nella qualità di amministratore pro tempore), dal M. e dall’A.
Infatti tutti i capi di imputazione atterrebbero, se accertati, a reati propri commessi dagli imputati al fine di: compravendere alcuni loculi cimiteriali; promettere al M. un compenso al fine di consentire al R. la fornitura di marmi cimiteriali.
In conclusione, ad oggi non vi sarebbe nessun elemento riferibile a condotte illecite poste in essere dalla società Z.
Con riferimento al R., diversamente da quanto contestato dall’Ufficio della Procura, deducevano che lo stesso non sarebbe incaricato di pubblico servizio (né pubblico ufficiale) così come chiarito anche dalla Corte di cassazione.
Quanto al danno da interruzione del nesso sinallagmatico contestato al M. e calcolato in via equitativa per un importo pari al 40% dell’orario di lavoro per complessivi euro 38.371,16, veniva eccepita la mancanza di prova, in quanto non si comprenderebbe quali sarebbero le numerose giornate lavorative destinate all’attività delittuosa, né come si arrivi a calcolare il 40% dell’orario di lavoro. Inoltre, i fatti, se accertati, sarebbero tutti risalenti al 2014 e non al 2016, data della scoperta.
Sul danno richiesto alla Z. nella qualità di componente della ATI L.M., precisavano che il Comune di San Giorgio a Cremano non avrebbe ancora versato ad oggi l’importo totale del corrispettivo dell’appalto, posto a base del calcolo effettuato dalla Procura per determinare il 30% richiesto alla Z. in solido con il R.. Inoltre, trattandosi di ATI verticale, la Z. possedeva una percentuale di esecuzione delle opere e, quindi di ripartizione degli utili, pari solo al 25%, pari a euro 104.055,00 lordi, cui dovrebbe essere detratta sia l’IVA, che le altre imposte e quanto relativo alla materiale esecuzione delle lavorazioni. Nessun danno sarebbe stato subito dall’Ente che avrebbe invece usufruito della concessione dei servizi cimiteriali in maniera regolare e con buon esito.
Sarebbe altresì inesistente il danno subito dal Comune per il mancato incasso dei diritti o comunque sarebbe apoditticamente quantificata la relativa somma di euro 22.000.
Vi sarebbe invece la prova, come risulterebbe dalla delibera dell’Ente n. 118/2020, che all’interno del cimitero comunale non vi erano né loculi né nicchie liberi da poter essere assegnati e/o da poter essere realizzati; nessun mancato incasso di diritti sarebbe stato quindi possibile ipotizzare visto che nulla poteva essere incassato dall’Ente stante la mancanza di loculi da poter assegnare in concessione.
Vi sarebbe comunque un errore di fondo nella quantificazione dell’importo richiesto, laddove nella nota dell’Amministrazione comunale il costo indicato di euro 2.000,00 per ogni loculo sarebbe comprensivo anche delle spese materiali per la sua costruzione e realizzazione tecnica, mentre al più potrebbe essere richiesto il danno dal mancato introito.
Precisavano altresì che nell’ambito dell’edilizia cimiteriale non esisterebbero permessi di costruire né diritti di concessione poiché il T.U. sull’edilizia, ossia il D.P.R. n. 380/2001, non troverebbe applicazione.
Invero, per lo svolgimento di attività edilizia all’interno dei cimiteri anche da parte dei privati non occorrerebbe il rilascio di alcuna concessione edilizia, essendo sufficiente il giudizio da parte del Sindaco di conformità del progetto alle prescrizioni edilizie contenute nel piano regolatore cimiteriale e non alle norme comuni in tema di edilizia ed urbanistica.
Pertanto, anche sotto questo aspetto, nessun danno avrebbe subito l’Ente semplicemente perché nessun permesso di costruire avrebbe dovuto essere richiesto.
Nel merito del danno da tangente, deducevano che la citazione si baserebbe sul divieto di cui all’art. 70 del regolamento di polizia mortuari, che però non potrebbe essere applicato alle società alle quali negli anni è stato affidato il servizio cimiteriale poiché tale norma punirebbe il dipendente pubblico.
Inoltre, il dirigente del settore comunale avrebbe affermato che “la concessionaria dei servizi cimiteriali nel suo complesso del Comune di San Giorgio a Cremano – ex contratto 5359 Rep del 29/09/2016 – possa attendere a commesse dei privati per l’apposizione di manufatti marmorei nel cimitero comunale”.
Completamente destituita di fondamento sarebbe quindi nel merito la richiesta del danno da tangente poiché il R., diversamente da quanto sostenuto, avrebbe potuto attendere alle commesse dei privati; pertanto, il M. non avrebbe in nessun modo garantito al R. l’esecuzione di lavorazioni e/o commesse non consentite.
Errata sarebbe altresì la quantificazione del danno da tangente. Nella captazione alla quale fa riferimento la Procura si discuterebbe dell’importo di euro 700,00 mensili, nel novembre 2014. Successivamente, non esisterebbe, né sarebbe stata fornita una prova relativa all’effettiva percezione di tale importo nei mesi successivi al novembre 2014 né vi sarebbe prova che il pagamento sia stato effettivamente corrisposto nel mese di dicembre 2014, né nei mesi successivi. Pertanto, la richiesta di euro 26.500 a titolo di danno da tangente sarebbe del tutto infondata.
3. Alessio A., non si costituiva in giudizio.
4. In data 8 aprile 2024, la Procura depositava la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 16570/2022, emessa nei confronti di Alessio A..
5. All’udienza dell’11.04.2024, udita la Relatrice, interveniva come da verbale il Pubblico ministero, che chiedeva di dichiarare la contumacia dell’A., ribadiva quanto affermato nell’atto di citazione, chiedendone l’integrale accoglimento e contestava la ricostruzione difensiva con riguardo all’eccezione di prescrizione e alla dedotta insussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa in riferimento alle tipologie di danno contestato. Indi interveniva l’Avv. Mignano, il quale richiamava e specificava le argomentazioni già svolte nella comparsa di costituzione e concludeva insistendo per l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione e per il rigetto nel merito della pretesa attorea.
All’esito della discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’odierno giudizio è finalizzato all’accertamento della pretesa risarcitoria avanzata dalla Procura regionale in ordine ad una fattispecie di danno erariale relativa ad un’ipotesi di mercimonio di loculi cimiteriali, asseritamente commessa all’interno di un sodalizio tra Roberto R., Enrico M. e Alessio A., evocati in giudizio unitamente alla Z. scs.
2. Preliminarmente deve essere dichiarata la contumacia di Alessio A., data la regolare instaurazione del contraddittorio in ragione dell’avvenuto perfezionamento dell’iter notificatorio, come risulta ex actis.
3. Indi, la progressione logica delle questioni da trattare segue il sistema delineato dagli articoli 276 e 279 c.p.c., attualmente disciplinato dall’art. 101, n. 2, del c.g.c., con conseguente disamina prioritaria delle questioni pregiudiziali di rito, delle preliminari di merito e, infine, del merito in senso stretto (Cass. S.U. n. 29/2016, Cass. S.U. n. 26242 del 2014; Corte dei conti, Sez. 2^ App., v. sent. nn. 138 e 139 dell’11.2.2016), fermo restando che l’ordine di trattazione delle questioni preliminari e di merito è rimesso al prudente apprezzamento del Giudice, secondo motivate ragioni di logica giuridica, di coerenza e ragionevolezza (cfr. Corte Cost. sent. n. 272/2007; Cass., sent. n. 23113/2008; S.R. Corte dei conti, sent. n. 727/1991).
4. In via pregiudiziale deve essere quindi verificata la sussistenza del rapporto di servizio dei convenuti con la Pubblica amministrazione, rilevabile con riferimento a tutti i convenuti anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 15 c.g.c., in quanto impinge nella giurisdizione (Sez. Giur. Campania, n. 790/2021, e giurisprudenza della Cassazione civile ivi richiamata; Sez. II appello, n. 449/2019, e giurisprudenza della Cassazione civile ivi richiamata; Sez. III appello, n. 203/2021)
Al riguardo, il Collegio osserva come la Corte di Cassazione abbia ripetutamente affermato che la condotta di un soggetto privato deve ritenersi fonte di responsabilità amministrativa, con conseguente assoggettamento al sindacato del giudice contabile, solo ove sia ravvisabile un rapporto di servizio (cfr. Corte Cassazione SS.UU., sentenze n. 15599/2009, n. 3165/2011, n. 6022/2016; ordinanza n. 16240/2014), per tale intendendosi una relazione funzionale in virtù della quale tale soggetto debba ritenersi inserito – in considerazione dell’attività svolta, ancorché temporaneamente o solo in via di fatto – nell’apparato organizzativo e nell’iter procedimentale dell’ente, sì da rendere il primo compartecipe dell’operato del secondo.
La giurisprudenza di legittimità ha definito con chiarezza i contorni della relazione di servizio costituente presupposto indefettibile della giurisdizione contabile su soggetti esterni alla P.A., costantemente individuandoli (Cass., Sez. Un., 1 aprile 2020, n. 7640; Cass., Sez. Un., 14 settembre 2020, n. 19086):
– nell’attribuzione al soggetto privato esterno dell’incarico di svolgere, nell’interesse e con le risorse della P.A., un’attività o un servizio pubblico in sua vece e con suo inserimento nell’apparato organizzativo della stessa;
– nella idoneità della relazione instauratasi tra privato ed ente pubblico a rendere il primo compartecipe dell’operato del secondo, così da assumere la veste di vero e proprio agente dell’amministrazione, come tale tenuto ad osservare particolari vincoli ed obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali cui l’attività amministrativa dell’ente, nel suo complesso, è preordinata;
– nella irrilevanza del titolo della gestione dell’attività pubblica di cui il privato risulti investito, potendo questo titolo essere costituito tanto da un formale rapporto di pubblico impiego o di servizio, quanto da una concessione amministrativa o anche da un contratto di diritto privato; così come anche mancare del tutto, con l’instaurazione di un rapporto non formalizzato e puramente di fatto;
– nella conseguente ininfluenza della circostanza che le concrete modalità di svolgimento del servizio rispondano a quelle rientranti negli schemi generali previsti e disciplinati dalla legge per un determinato tipo di rapporto, oppure in tutto o in parte se ne discostino (v. Corte di cassazione, SS.UU., 27 aprile 2023, n. 11186).
5. Orbene, calando queste posizioni di principio nel caso di specie, nessuno dubbio al riguardo si pone con riferimento al M. che, nella sua qualità, all’epoca dei fatti di Comandante della Polizia Mortuaria e dipendente del Comune di San Giorgio a Cremano, era avvinto dal rapporto di servizio con l’amministrazione danneggiata.
Nessun dubbio circa la sussistenza del rapporto di servizio con conseguente radicamento della giurisdizione di questa Corte, può aversi anche per il R. e la società Z., sulla base di quanto emerge ex actis dalle risultanze del procedimento penale e dal provvedimento dell’ANAC n. 3989/2018.
E difatti, Roberto R. ha rivestito cariche sociali dal 2013 al marzo 2016 nella società L.M., oggi non evocata in quanto medio tempore estinta, della quale era dipendente, ed era altresì titolare della società Z., entrambe costituite in ATI per la gestione del servizio cimiteriale, servizio di pubblica utilità affidato all’ATI in regime di concessione nel 2014 dal Comune di San Giorgio a Cremano e più volte reiterato fino allo svolgimento di apposita gara, al cui esito con determinazione dirigenziale n. 95 del 3.08.2016 è stato nuovamente affidato alla sola Z.
Più in particolare, il R. ricopriva una duplice veste: di custode sovrintendente alle attività del cimitero e, in quanto tale, in grado di esercitare un metus publicae potestatis tale da indurre i privati ad acconsentire all’acquisto dei loculi cimiteriali; di titolare dell’impresa che gestiva i servizi cimiteriali e, in quanto tale, non solo in grado di esprimere la posizione propria dell’ATI nei confronti dei terzi, ma altresì di disporre degli operai che lavoravano in ambito cimiteriale.
Viene quindi in considerazione da parte del R. e della Z. lo svolgimento di un servizio di pubblica utilità in regime di concessione, cioè nell’ambito di una funzione con finalità pubbliche, il cui espletamento ha costituito l’occasione necessaria per il realizzarsi del fatto causativo di danno.
Più in particolare, il concessionario del servizio cimiteriale riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio, poiché svolge le proprie attività in funzione e in dipendenza della concessione e in adempimento degli obblighi con essa impostigli al fine di assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico. “Tali atti conservano la natura di attività amministrativa in senso oggettivo e il concessionario assume il ruolo di organo indiretto dell’amministrazione” (Del. ANAC n. 3989/2018).
Alla luce delle considerazioni svolte deve quindi ritenersi ritenersi sussistente in capo al R. e alla Z. quella relazione funzionale richiesta della giurisprudenza di legittimità per il radicamento della giurisdizione del giudice contabile.
Con riferimento invece all’A., il Collegio non può non osservare come rispetto a costui difetti il rapporto di servizio con la P.A.
Invero, pur essendo stato l’A. capo del personale della società “L. M.”, la condotta contestata consisterebbe nell’aver avvicinato i privati per proporre loro l’acquisto dei loculi. Si tratta quindi di una condotta non collegata alla qualifica ricoperta nell’ambito della società (cioè di capo del personale) e che quindi è stata posta in essere al di fuori delle attività svolte dalla società concessionaria per conto dell’amministrazione. Peraltro, trattandosi di un’attività di carattere materiale, che non è espressione di un servizio o una funzione pubblica, la stessa non ridonda nella definizione di incaricato di pubblico servizio ed esula dall’esercizio di funzioni pubblicistiche.
Pertanto, difettando rispetto all’A. l’esistenza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, si impone rispetto a costui la declaratoria di difetto di giurisdizione.
5. In via preliminare, occorre ora procedere ad esaminare l’eccezione di prescrizione per asserito decorso del termine. Assume la difesa dei convenuti che, rispetto all’invito a dedurre del 22 settembre 2023, il termine di prescrizione quinquennale dovrebbe ritenersi decorso sia ritenendo che l’esordio debba coincidere con la commissione del fatto illecito risalente al novembre 2014, sia che debba avere inizio dall’ordinanza di custodia cautelare del 3 aprile 2018, sia che la decorrenza inizi dalla richiesta di giudizio immediato dell’8 luglio 2018.
L’eccezione è priva di fondamento.
L’art. 1, comma 2, della legge n. 20/1994, prevede che «Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta».
“Secondo la regola generale, quindi, il fatto dannoso non si perfeziona con il semplice scostamento della condotta dal paradigma legale di carattere imperativo, ossia con la realizzazione della condotta con connotazioni censurabili, ma con il momento in cui, verificandosi le conseguenze di quella condotta, si realizza l’eventus damni – quale effettivo depauperamento del patrimonio pubblico – e si abilita il Requirente all’esercizio della pertinente azione di responsabilità. Tale regola generale subisce una deroga nell’ipotesi di “occultamento doloso del danno”, circostanza richiedente lo spiegamento di mirati approfondimenti finalizzati a rendere possibile la percezione e comprensione di accadimenti di non immediata percepibilità (siccome dolosamente occultati). In tali evenienze, integranti, di norma, condotte penalmente rilevanti, l’inizio della decorrenza della prescrizione coincide con il momento della conoscenza effettiva del danno. Perciò, per la scoperta di un danno dolosamente occultato non è sufficiente la conoscenza o conoscibilità ipotetica di un illecito, ma occorre la conclusione del processo di valutazione istruttoria degli elementi fattuali, con la qualificazione giuridica degli stessi e l’individuazione dei soggetti cui le medesime condotte sono causalmente riconducibili.” (cfr. Sez.II App. sent. n. 178/2019)
Si tratta di un’applicazione, anche in materia di responsabilità amministrativa, della regola generale dell’art. 2935 c.c., secondo cui ‘la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere’.
Per poter esercitare il diritto al risarcimento del danno è, infatti, ‘indispensabile che il titolare sia adeguatamente informato non solo dell’esistenza del danno, ma anche della sua ingiustizia, non potendo altrimenti riscontrarsi nel suo comportamento l’inerzia che è alla base della prescrizione’ (Così Sez. I App. 336/2022 e Cass., Sez. III, 6 dicembre 2011 n. 26188, ivi richiamata).
Nel caso in esame, la conoscibilità obiettiva del fatto da cui è generato l’evento dannoso per l’amministrazione non può che farsi risalire alla richiesta di giudizio immediato del 05.07.2018, comunicata alla Procura il 12.07.2018
Tuttavia, il Collegio ritiene al riguardo che, alla fattispecie risulti applicabile l’art. 85, quarto comma, del decreto-legge n. 18/2020, il quale recita: “in caso di rinvio, con riferimento a tutte le attività giurisdizionali, inquirenti, consultive e di controllo intestate alla Corte dei conti, i termini in corso alla data dell’8 marzo 2020 e che scadono entro il 31 agosto 2020, sono sospesi e riprendono a decorrere dal 1° settembre 2020. A decorrere dall’8 marzo 2020 si intendono sospesi anche i termini connessi alle attività istruttorie preprocessuali, alle prescrizioni in corso ed alle attività istruttorie e di verifica relative al controllo”.
Tale norma – di limitata vigenza temporale (dal 20.03.2020 al 31.08.2020) e a carattere eccezionale in quanto “legata all’emergenza epidemiologica e agli effetti negativi che la stessa avrebbe potuto produrre sullo svolgimento delle attività istituzionali della Corte dei conti finalizzate a realizzare il bene comune e, quindi, poste a garanzia delle ragioni erariali” (Corte conti, sez. giur. Campania, sent. n. 212/2022) – trova nondimeno applicazione, stante il tenore letterale della stessa, con riferimento al decorso del termine di prescrizione quinquennale entro il quale l’illecito amministrativo-contabile deve essere fatto valere (Corte conti, sez. giur. Campania, sent. n. 641/2022).
Viene pertanto in considerazione, nel caso di specie, una sorta di sospensione ex lege del decorso del termine di prescrizione dall’8.03.2020 al 31.08.2020, con conseguente slittamento in avanti dello spirare del termine, che verrebbe a scadere a gennaio 2024.
Da ciò consegue che l’azione della Procura erariale deve ritenersi tempestivamente esercitata mediante l’emissione dell’invito a dedurre notificato in data 23.09.2023 a Roberto R., in data 22 settembre alla società Z., in data 3 ottobre a Enrico M. e, pertanto, ampiamente entro il termine di prescrizione quinquennale.
L’eccezione di prescrizione deve essere quindi respinta.
5. Venendo al merito, il Collegio reputa la pretesa attorea parzialmente fondata, per quanto di seguito esposto.
Invero, sulla base delle risultanze del procedimento penale, risulta agli atti che il M. e il R., per il tramite della società Z., hanno messo a punto un’organizzazione intesa alla realizzazione e vendita di nuovi loculi cimiteriali, ricavati da preesistenti edicole votive, all’insaputa dei titolari delle relative concessioni, procurandosi un profitto, in danno dell’amministrazione comunale.
Più in particolare, il M., nella sua qualità di Comandante della Polizia mortuaria attestava falsamente che i lavori di ordinaria manutenzione di recupero e messa in sicurezza del nicchiario-lotto 64, di proprietà eredi Ascione, erano avvenuti nel rispetto del sito e delle volumetrie preesistenti, mentre, in realtà, si trattava di opere edilizie di carattere innovativo comportanti un aumento delle volumetrie preesistenti ed una modifica del prospetto, necessitanti di un permesso di costruire non rilasciato.
In particolare, diversamente da quanto affermato dalla difesa dei convenuti, l’aumento della volumetria e la realizzazione degli 11 loculi, risulta dalla Relazione di sopralluogo presso il Cimitero comunale, effettuata in data 14.03.06 dal Tecnico del Settore 5 – Ambiente e Urbanistica del Comune di San Giorgio a Cremano e dalla documentazione allegata agli atti. Lo stesso M. provvedeva altresì ad autorizzare la traslazione dei resti mortali all’interno dei nuovi loculi, l’apposizione di marmi, nonché il trasferimento della concessione di uso dal vecchio titolare al nuovo acquirente, operazioni non consentite dal regolamento di Polizia Mortuaria e della cui illiceità egli non poteva non essere a conoscenza considerata la sua posizione di Comandante della Polizia Mortuaria. Inoltre, dalle intercettazioni telefoniche agli atti risulta che il M. riceveva quale corrispettivo dal R. un compenso mensile il cui importo veniva stabilito in 700 euro, oltre ad avere percepito 3.800 euro quale quota per la vendita dei loculi.
Il R. che, come dianzi esposto, cumulava di fatto i ruoli di custode del cimitero e di titolare della società Z., commissionava i lavori cimiteriali. I convenuti procedevano indi alla realizzazione e alla vendita di nuovi loculi ricavati da lavori di ampliamento volumetrico dell’edicola funebre degli eredi As., illegittimamente assentiti dal M.
Quanto all’antigiuridicità della condotta, rileva in primo luogo l’art. 94, comma 1, del D.P.R. n. 285/1990, il quale stabilisce che “i singoli progetti di costruzioni di sepolture private debbono essere approvati dal sindaco su conforme parere della commissione edilizia e del coordinatore sanitario della unità sanitaria locale competente”.
Questa disposizione è riprodotta all’art. 63, comma 1, del regolamento comunale di polizia mortuaria del Comune di San Giorgio a Cremano.
E d’altra parte che l’operazione congegnata dai convenuti fosse volta a superare i precetti fissati dal regolamento di polizia mortuaria per finalità di arricchimento personale è vieppiù confermato dal precetto di cui all’articolo 92, comma 4, del D.P.R. n. 285/1990, secondo cui “Non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione”.
In tal senso, la disciplina dei loculi cimiteriali esclude del tutto la possibilità di compravendita degli stessi tra privati, potendo il bene essere oggetto di concessione solo per il tramite dell’autorità amministrativa. Si tratta quindi di un bene che non può essere oggetto di un negozio tra privati e in quanto tale è da ritenere un bene extra commercium.
Si afferma infatti dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 3313/2000), con valutazione che questo giudice condivide, che lo ius sepulchri, ossia il diritto ad essere tumulato nel sepolcro, “concerne un manufatto costruito su terreno demaniale, che partecipa di tale natura. Esso trae origine da una concessione amministrativa, appartenente alla categoria generale delle concessioni su beni pubblici”.
“La concessione sul bene demaniale garantisce al concessionario ampi poteri di utilizzo del bene … Si tratta, in breve, di una posizione soggettiva che trova fonte esclusiva nel provvedimento di concessione”.
Tuttavia, “è indubbio che il rapporto concessorio debba rispettare le norme di legge e di regolamento che via via sono emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti. In particolare, lo ius sepulchri attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina, invero, si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.
Si è anche successivamente affermato, così consolidandosi la giurisprudenza del giudice amministrativo, che il rapporto concessorio inerente ai loculi cimiteriali è “… pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore sin dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompresa anche “…la nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 6113/2014).
Da questo punto di vista, “il cd. ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un “diritto affievolito in senso stretto” che quindi deve soggiacere ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico, inclusi quelli autoritativi della P.A. concedente, a fronte dei quali sono configurabili “… solo interessi legittimi, atteso che dalla demanialità del bene discende l’intrinseca cedevolezza del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su un bene pubblico …” (Cons. Stato, sez. VII, sent. n. 2111/2024).
La normativa in materia è dunque chiara nel vietare gli atti giuridici aventi per effetto la cessione dello ius sepulchri senza una previa autorizzazione da parte del Comune (art. 824 c.c.; art. 93 D.P.R. n. 285/1990). Poiché il cimitero è un bene appartenente al demanio comunale, la cessione del diritto di sepolcro e sul sepolcro deve essere considerata come voltura di concessione demaniale; pertanto, “il subingresso nel rapporto concessorio, come ogni altra modifica del lato soggettivo della concessione, è sottoposto al requisito di efficacia della autorizzazione del concedente, ovvero del Comune” (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 110/2024).
6. Al riguardo, deve ritenersi che i convenuti fossero perfettamente consapevoli, anche in ragione della posizione rivestita, della illeceità della condotta posta in essere e cioè dall’aver proceduto alla ristrutturazione senza autorizzazione dei loculi cimiteriali ed alla loro alienazione in violazione della disciplina pubblicistica.
L’elemento soggettivo deve essere quindi declinato a titolo di dolo, data la piena consapevolezza da parte degli stessi di agire contra legem e in violazione dei doveri di servizio e degli obblighi di cui alla concessione stipulata con il Comune, abusando coscientemente del proprio ruolo pubblico per trarne un indebito vantaggio personale.
Per quanto riguarda il M., il suo ruolo di comandante della Polizia mortuaria e quindi di responsabile delle operazioni di controllo e vigilanza all’interno del cimitero, come emerso nei provvedimenti della magistratura penale, lo hanno reso pienamente consapevole dell’abusività dei lavori effettuati sul monumento funerario posto che questi non potevano essere considerati lavori di ordinaria manutenzione, ma di ampliamento e modifica delle originarie volumetrie delle nicchie sepolcrali che avrebbero richiesto un’apposita autorizzazione da parte dei competenti uffici comunali.
Anche per quanto concerne il R., l’elemento soggettivo del dolo si evince dal materiale probatorio raccolto in sede penale. Tanto emerge chiaramente anche dall’intercettazione telefonica della conversazione intrattenuta tra lui e il M., ove si è negoziato il compenso da corrispondere per le attività che lo stesso M. avrebbe dovuto compiere.
7. Venendo al danno, è indubbio che dalla descritta condotta antigiuridica sia derivato un danno patrimoniale diretto per mancato introito derivante dalle mancate autorizzazioni comunali per il rilascio delle concessioni dei nuovi loculi.
Il M. e il R. hanno infatti commissionato lavori non autorizzati e rilasciato titoli concessori nulli e in tal modo si sono sostituiti agli organi e uffici comunali nell’adozione dei necessari atti e provvedimenti amministrativi, con conseguente danno patrimoniale per l’ente.
Per la quantificazione del danno da mancato introito, occorre fare riferimento ai valori di cui alla concessione di costruzione dei nuovi loculi n. 6079/2022 di rep., laddove è fissato un costo medio per ogni loculo pari a euro 2.000,00. Moltiplicando tale importo per gli undici loculi oggetto della condotta illecita, si ottiene un mancato introito pari a euro 22.000,00, come correttamente quantificato dalla Procura.
Tale posta di danno è addebitabile in solido al M., il R. e alla Z.
7.1. Quanto alle ulteriori fattispecie di danno contestate dalla Procura al M. e relative al danno da tangente e al danno da interruzione del nesso sinallagmatico, si tratta a ben vedere di due componenti del danno da disservizio, entrambe sussistenti.
In particolare, come correttamente argomentato dal Requirente, il danno da tangente percepito dal M., costituisce il corrispettivo percepito per la svendita della funzione pubblica, di cui il Comandante era investito, e per il conseguente disservizio arrecato all’amministrazione di appartenenza, i cui interessi sono stati calpestati per il perseguimento di utilità personali.
Con riferimento alla quantificazione di detta posta di danno, occorre tuttavia precisare che risulta agli atti che egli abbia percepito quale corrispettivo per la vendita dei loculi 3.800 euro, anziché 4.800 euro, non essendovi prova della dazione effettiva degli ulteriori 1000 euro, richiesti dalla Procura, di cui pure si fa menzione nelle intercettazioni telefoniche. Risulta altresì una dazione mensile di 700 euro. Riguardo a tale dazione mensile, il danno da tangente è stato quantificato dalla Procura calcolandolo per 31 mesi, asseritamente documentati e cioè dall’aprile 2014, allorquando il M. autorizzava oralmente lo spostamento delle salme dalla cappella As. all’ossuario al fine di far realizzare i lavori, al novembre 2016, quando il Comandante veniva trasferito ad altro incarico.
Va tuttavia evidenziato che è nella conversazione telefonica del 20.11.2014, oggetto di intercettazione agli atti, che tra il M. e il R. viene “concordato” un fisso mensile di 700 euro ed è quindi da tale momento che l’accordo inizia a produrre i suoi effetti.
Inoltre, non vi è prova della successiva percezione della tangente mensile fino a novembre 2016. È tuttavia verosimile che tale dazione mensile sia stata effettuata per tutto il tempo dell’attività illecita di mercimonio dei loculi, di cui vi è prova, nelle risultanze del procedimento penale, fino all’aprile 2016, per un totale di mesi 18, anziché 31, per un totale di euro 12.600. Sommando tale importo di euro 12.600 all’importo di euro 3.800 percepito per il ricavato della vendita, il danno da tangente può essere complessivamente quantificato in euro 16.400, quale corrispettivo per la vendita della funzione pubblica sviata al perseguimento di utilità personali.
7.2. Quanto al danno da interruzione del nesso sinallagmatico, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, questo “sorge nel caso in cui le energie lavorative del dipendente vengano distolte dallo svolgimento dei propri doveri professionali ed indirizzati verso il compimento di atti illeciti e, come nel caso in esame, anche di rilievo penale. In questi casi, pertanto, la retribuzione corrisposta risulta indebita in quanto non remunera lo svolgimento della prestazione lavorativa del dipendente, con conseguente lesione del rapporto sinallagmatico fra remunerazione e attività lavorativa” (Corte conti, sez. giur. Toscana, sent. n. 270/2023).
Inoltre, “per la configurabilità del danno da lesione del rapporto sinallagmatico non è necessario provare l’inadeguato svolgimento del rapporto lavorativo, ma soltanto il compimento, in servizio, di attività illecite estranee ai doveri lavorativi così da privare di causa la corresponsione di parte della retribuzione” (Corte conti, sez. giur. Toscana, sent. n. 270/2023).
Nel caso in esame, pertanto, si configura un danno da lesione del rapporto sinallagmatico in capo al M. poiché le condotte da egli poste in essere sono non solo estranee, ma anche contrarie ai doveri d’ufficio, rendendo così priva di causa l’erogazione di una parte della retribuzione percepita dal convenuto.
Il Collegio ritiene che tale danno da interruzione del nesso sinallagmatico debba ritenersi sussistente da aprile 2014 sino a quando il M. viene trasferito ad altro incarico, ossia sino al mese di novembre 2016 e che vada quantificato in via equitativa, considerate le energie lavorative che si presume possano essere state distratte dallo svolgimento dei propri doveri d’ufficio e finalizzate al compimento dell’attività illecita.
Tenuto conto delle attività d’Ufficio in capo al Comandante della Polizia Mortuaria si ritiene congruo quantificare tale posta di danno nel 10 per cento delle retribuzioni percepite nel periodo di riferimento. Ne consegue un danno da interruzione del nesso sinallagmatico in capo al M. pari a euro 9.592. Il danno da disservizio da addebitare al M., dato dalla somma del danno da tangente e del danno da interruzione del nesso sinallagmatico, è quindi complessivamente pari a euro 25.992.
7.3 Analoga posta di danno da interruzione del nesso sinallagmatico deve riscontrarsi in capo al R. e alla società Z. data la violazione degli obblighi di servizio così come definiti nel contratto di concessione e nei regolamenti di polizia mortuaria, sistematicamente disattesi, con conseguente sviamento dell’attività lavorativa svolta per il perseguimento della condotta illecita foriera di danno erariale. È pertanto ragionevole ritenere che una parte del canone di cui al rapporto contrattuale oggetto di concessione abbia rappresentato una spesa inutile, perché intesa a remunerare un’attività in parte distratta dagli obblighi contratti.
Irrilevante al riguardo è la circostanza eccepita dalla difesa dei convenuti secondo cui il comune sarebbe allo stato inadempiente agli obblighi patrimoniali del rapporto concessorio. Ciò in quanto le pretese patrimoniali intercorrenti tra le parti del rapporto di affidamento esulano dal presente giudizio che verte esclusivamente sull’accertamento del danno cagionato all’amministrazione.
Tale posta di danno, considerata l’attività illecita svolta, come risulta dagli atti del procedimento penale, può essere equitativamente determinata nel 10 per cento dell’importo complessivo dell’affidamento oggetto di concessione, considerate anche le proroghe fino al 30 giugno 2026, risultanti agli atti e può quindi esser quantificato in euro 41.622.
Tuttavia, considerato che la società Z. possedeva una percentuale di esecuzione delle opere pari al 25 per cento, appare congruo addebitare alla stessa il 25 per cento di detto importo pari a euro 10.405 di cui dovrà rispondere in solido con il R. Pertanto, il R. sarà tenuto a corrispondere al Comune di San Giorgio a Cremano l’importo di euro 41.622, di cui 10.405 in solido con la società Z.
8. Conclusivamente, alla luce di quanto premesso, in parziale accoglimento della domanda attorea, Enrico M., Roberto R. e la Z. società cooperativa sociale sono condannati a corrispondere in solido al Comune di San Giorgio a Cremano
l’importo di euro 22.000, oltre interessi, a titolo di danno patrimoniale da mancato introito.
Enrico M. è condannato a corrispondere al Comune di San Giorgio a Cremano la somma di euro 25.992, oltre interessi, a titolo di danno da disservizio.
Roberto R. è condannato a corrispondere al Comune di San Giorgio a Cremano, a titolo di danno da interruzione del nesso sinallagmatico, l’importo di euro 41.622, oltre interessi, di cui 10.405 in solido con la società Z.
A tali somme dovrà essere aggiunta la rivalutazione monetaria dalla data del deposito della presente decisione sino al soddisfo.
9. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione:
– dichiara la contumacia di Alessio A.;
– declina la propria giurisdizione limitatamente ad Alessio A.;
– in parziale accoglimento della pretesa attorea, condanna:
1) Enrico M., Roberto R. e la Z. società cooperativa sociale a corrispondere in solido al Comune di San Giorgio a Cremano l’importo di euro 22.000, oltre interessi, a titolo di danno patrimoniale da mancato introito;
2) Enrico M. a corrispondere al Comune di San Giorgio a Cremano la somma complessiva di euro 25.992, oltre interessi, a titolo di danno da disservizio;
3) Roberto R. a corrispondere al Comune di San Giorgio a Cremano, a titolo di danno da interruzione del nesso sinallagmatico, l’importo di euro 41.622, oltre interessi, di cui 10.405 in solido con la società Z.
A tali somme dovrà essere aggiunta la rivalutazione monetaria dalla data del deposito della presente decisione sino al soddisfo.
Condanna altresì Enrico M., Roberto R. e la Z. scs al pagamento in favore dell’Erario, delle spese di giudizio liquidate dal funzionario di Segreteria con nota a margine del presente atto ex art. 31, comma 5, c.g.c.
Manda alla segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso a Napoli, all’esito della camera di consiglio del 16.04.2024.
L’ESTENSORE (Alessandra Molina)
IL PRESIDENTE (Paolo Novelli)
Depositato in Segreteria il 11.06.2024
IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA
(Maurizio Lanzilli)