Consiglio di Stato, Sez. V, 26 settembre 2014, n. 4832

Testo completo:
Consiglio di Stato, Sez. V, 26 settembre 2014, n. 4832
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9348 del 2013, proposto dalla signora Anna Penturo, rappresentata e difesa dall’avvocato Fulvio De Angelis, con domicilio eletto presso l’avvocato Massimo Letizia in Roma, via Monte Santo n. 68;
contro
il Comune di Napoli in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Anna Pulcini, Fabio Maria Ferrari e Bruno Crimaldi, con domicilio eletto presso la s.r.l. Grez e associati in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo della Campania, sede di Napoli, Sezione VII, n. 3982/2013, resa tra le parti, concernente la revoca di una concessione di suolo cimiteriale;
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il consigliere Manfredo Atzeni e uditi per le parti gli avvocati Letizia, per delega dell’avv. De Angelis, e Crimaldi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I.1. Il Comune di Napoli con delibera di Giunta Municipale n. 227 del 16 ottobre 1981 concedeva al sig. Carlo Cristarelli un appezzamento di suolo nel Cimitero di Poggioreale, Z.A., Viale della Virtù – giardinetto 11 (di 4,08 mq., oltre 2,82 mq. di gavetta) dove veniva realizzato un monumento funerario.
Quest’ultimo, nel corso degli anni, veniva alienato fino a giungere al signor Luigi Varriale (atto notaio Prattico dell’8 marzo 2005, rep. 110772), il quale a sua volta lo alienava alla signora Anna Penturo con atto a rogito del notaio Improta in Napoli del 6 maggio 2010, rep. 95970.
I.2. Con provvedimento dirigenziale n. 2 del 2 ottobre 2012, previa rituale comunicazione di avvio del procedimento, è stata disposta la “…revoca decadenziale della concessione di suolo cimiteriale di cui alla delibera di G.M. n. 227 del 16 ottobre 1981”, con acquisizione del realizzato manufatto.
I.3. A fondamento della predetta revoca decadenziale è stato rilevato che: a) l’art. 53, comma 1, del Regolamento comunale di Polizia Mortuaria e dei Servizi funebri e cimiteriali, approvato con delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, prevedeva il divieto di cessione fra privati dei manufatti funebri; b) con atto notarile rep. n. 95970 del 6 maggio 2010 il sig. Luigi Varriale aveva alienato il manufatto funerario alla signora Anna Penturo in violazione del predetto art. 53 del nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria; c) ai sensi degli artt. 823 e 824 c.c. il cimitero è un bene demaniale e la concessione di sepoltura privata costituisca una concessione amministrativa di bene demaniale con diritto d’uso non alienabile; d) l’art. 44 del Regolamento del Regolamento di Polizia Mortuaria stabilisce che non può essere fatta concessione di arre per sepoltura privata a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione; d) l’art. 53, comma 1, del predetto regolamento, che vieta la cessione diretta tra privati, è posta a tutela dell’ordine pubblico e del buon governo ed è preordinata alla salvaguardia delle esigenze pubblicistiche che impongono all’amministrazione di sovrintendere, vigilare e controllare tutte le attività relative all’area sepolcrale; f) l’atto di compravendita suddetto era pertanto nullo ed inefficace nei confronti dell’amministrazione concedente, che aveva un interesse concreto ed attuale a rientrare nella disponibilità del manufatto funebre per procedere alla sua rassegnazione nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica.
II.2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli sezione VII, con la sentenza n. 3982 del 29 luglio 2013, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, ha respinto il ricorso proposto dalla signora Anna Penturo avverso il provvedimento di revoca decadenziale, ritenendo infondati tutti i motivi di censura (imperniati sulla violazione di legge ed illegittimità della revoca per illegittimità ovvero falsa applicazione dell’art. 53 del regolamento e per violazione degli artt. 4 e 11 delle preleggi, nonché degli artt. 953 e 1379 del codice civile; sulla violazione di legge e carenza di potere, eccesso di potere per sviamento, illogicità manifesta, difetto di motivazione, contraddittorietà manifesta, illegittimità o nullità della revoca ovvero inesistenza del potere di revoca per violazione degli artt. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, degli artt. 2 e 19, 42 e 97 Cost., dell’art. 1 del Primo Protocollo della CEDU, eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e violazione del precetto di logica, contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà, violazione dei principi di affidamento o proporzionalità, mancata osservanza dei limiti auto – imposti, travisamento ed erronea valutazione dei fatti).
II.3. L’originaria ricorrente ha chiesto la riforma di tale sentenza, lamentando l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di sei motivi di gravame, cosi rubricati: “1. Error in procedendo; error in judicando in relazione alla violazione del principio tempus regit actum; eccesso di potere; violazione e falsa applicazione dell’art. 53, primo comma, del regolamento comunale di polizia mortuaria e dei servizi funebri e cimiteriali; violazione e falsa applicazione del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285. 2. ”.
Gli appellanti hanno altresì proposto anche un “domanda subordinata”, chiedendo che, laddove fosse riconosciuta la legittimità del provvedimento per qualsiasi ragione, “…il Comune venga condannato ad assegnare un nuovo spazio all’acquirente, a sue spese e cure, ai sensi dell’art. 48 comma 2…ovvero a indennizzare lo spesso per un importo pari al valore del manufatto”.
Il Comune di Napoli si è costituito in giudizio, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui ha chiesto il rigetto.
Con ordinanza n. 986 del 5 marzo 2014 è stata respinta la domanda incidentale di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
II.4. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie tesi difensive, insistendo per il loro accoglimento.
All’udienza pubblica dell’8 luglio 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
III. L’appello è infondato, potendo pertanto prescindersi dall’esame dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva degli appellanti sollevata dalla difesa dell’appellata amministrazione comunale.
III.1. Occorre premettere che, come del resto puntualmente rilevato dai primi giudici, nella materia de qua questa Sezione (8 marzo 2010, n. 1330) ha avuto modo di rilevare che “…in coerenza con gli indirizzi consolidati del giudice ordinario…lo “ius sepulchri”, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento. Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica amministrazione concedente, un “diritto affievolito” in senso stretto, soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico. In questa prospettiva, infatti, dalla demanialità del bene discende l’intrinseca “cedevolezza” del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 14 giugno 2000 , n. 3313)”.
E’ stato sottolineato che, “…come accade per ogni altro tipo di concessione amministrativa di beni o utilità, la posizione giuridica soggettiva del privato titolare della concessione tende a recedere dinnanzi ai poteri dell’amministrazione in ordine ad una diversa conformazione del rapporto”, trattandosi “…di una posizione soggettiva che trova fonte, se non esclusiva, quanto meno prevalente nel provvedimento di concessione”, così che, a fronte di successive determinazioni del concedente, il concessionario può chiedere ogni tutela spettante alla sua posizione di interesse legittimo.
È stato precisato che il rapporto concessorio deve rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, in quanto “ lo ius sepulchri attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico”.
La giurisprudenza ha anche chiarito che, una volta costituito il rapporto concessorio, questo può essere disciplinato da una normativa entrata in vigore successivamente, diretta a regolamentare le modalità di esercizio del ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene”: infatti, non è “…pertinente…il richiamo al principio dell’articolo 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti” (in termini anche Cons. St., sez. V, 27 agosto 2012, n. 4608).
Il rapporto concessorio in questione è dunque “pienamente sottoposto alla disciplina contenuta nell’articolo 92, comma 4, del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, il quale, a sua volta, riprende, sostanzialmente, i principi cardine della regolamentazione contenuta nell’articolo 93, comma 4, del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, in vigore sin dal 10 febbraio 1976”, tra cui è ricompressa anche “…la nullità degli atti di cessione totale o parziale del diritto di uso dei sepolcri”.
In definitiva nell’ordinamento nazionale il diritto sul sepolcro già costituito nasce da una concessione da parte dell’autorità amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio) in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.) e tale concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta la sussistenza di posizioni di interesse legittimo – con la relativa tutela giurisdizionale – quando l’amministrazione concedente disponga la revoca o la decadenza della concessione (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294).
III.2. Nella specie, rileva anche il Regolamento di Polizia Mortuaria e dei Servizi Funebri e Cimiteriali, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 11 del 21 febbraio 2006, il quale all’art. 44 ha fissato i principi generali del regime concessorio, prevedendo, tra l’altro, che:
– “Ai sensi degli articoli 823 e 824 del Codice Civile, il Cimitero ha carattere demaniale. La concessione di sepoltura privata è concessione amministrativa di bene demaniale con diritto di uso non alienabile, data la natura demaniale dei beni cimiteriali, il diritto d’uso di una sepoltura lascia integro il diritto alla nuda proprietà dell’Amministrazione Comunale. I manufatti costruiti da privati su aree cimiteriali poste in concessione diventando di proprietà dell’Amministrazione Comunale, come previsto dall’art. 953 del C.C., allo scadere della concessione, se non rinnovata” (comma 1);
– “non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone o enti che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (comma 5);
– “La concessione può essere soggetta: a) a revoca per esigenze di pubblico interesse, assegnando però fino alla scadenza della concessione originaria altra area e sistemazione equivalente; b) a decadenza, per inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere oppure per inadempienza agli obblighi del concessionario in fase di costruzione dei manufatti e di mantenimento degli stessi; c) a rinuncia da parte del concessione con retrocessione del bene” (comma 9).
L’articolo 49, disciplinando specialmente l’ipotesi della decadenza, dispone al comma 4 che “il concessionario è tenuto a provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’area in concessione e del manufatto in diritto d’uso…In difetto dovrà essere dichiarata la decadenza della concessione del suolo e dal diritto d’uso del manufatto”, aggiungendo al comma 5 che “Il Dirigente del Servizio competente procederà alla determinazione della declaratoria della decadenza dalla concessione del suolo e contestuale incameramento del deposito cauzionale e del corrispettivo versato per la concessione del suolo ovvero degli importi a qualunque titolo versati e delle opere edilizie eventualmente realizzate”.
L’articolo 53 (“Cessione tra privati”) afferma che “E’ vietata qualunque cessione diretta tra privati”.
III.3. Ciò posto, con riferimento ai singoli motivi di gravame, si osserva quanto segue.
III.3.1. Deve innanzitutto respingersi il primo motivo di doglianza, con cui gli appellanti hanno lamentato “errata ricostruzione del fatto”, sostenendo che i primi giudici avrebbero erroneamente interpretato (pronunciando in tal senso una sentenza punitiva, con condanna alle spese) come una machinatio ai danni del Comune l’atto di compravendita stipulato tra il sub – concessionario ed altro (accompagnato da una procura in favore dell’acquirente per la gestione ordinaria e straordinaria del manufatto), giacché esso costituiva invece una semplice vendita del manufatto, del tutto lecita e consentita, senza alcun intento di lucro o speculativo (peraltro solo asserito, ma non provato).
In realtà, al di là della pur suggestiva prospettazione di parte, dalla lettura delle motivazioni della sentenza impugnata non emerge alcun carattere punitivo della stessa, tanto più che la condanna alle spese (la cui liquidazione nel caso di specie, fissata in €. 3.000,00, misura non contestata, non è neppure manifestamente irragionevole od eccessiva) costituisce la normale conseguenza della soccombenza giudiziale, costituendo la compensazione delle spese potendo essere disposta solo in caso di soccombenza reciproca ovvero in caso di eccezionali ragioni, da indicarsi esplicitamente.
La legittimità dell’impugnato provvedimento di revoca è stata infatti riconosciuta in ragione della violazione del ricordato articolo 53, comma 1, che vieta la cessione diretta tra privati, violazione obiettivamente conseguita all’atto notarile di compravendita.
I primi giudici hanno al riguardo convincentemente e motivatamente osservato che quel divieto deve essere interpretato “…per la sua portata testuale che è quella di vietare che i privati, senza la partecipazione della amministrazione pubblica, possano liberamente disporre della concessione”, costituendo detto divieto ad un tempo “…specificazione ed estrinsecazione del divieto di subentro inautorizzato” e “…formula pienamente esemplificativa di quel venir meno ai propri obblighi di concessione che l’art. 44 sanziona per l’appunto con la decadenza”, obblighi cui il provvedimento impugnato ha fatto puntuale riferimento rilevando espressamente che “la vendita realizzata in violazione della normativa regolamentare citata si pone in contrasto con le procedure ad evidenza pubblica di assegnazione dei beni in concessione e deve, pertanto, considerarsi grave inadempimento da parte dell’alienante degli obblighi di conservazione e custodia del bene in concessione posti a suo carico”.
III.3.2. Ugualmente infondato è l’ulteriore motivo di gravame, con cui gli appellanti hanno denunciato “Violazione art. 19 Cost. Diritto di sepolcro, suo rilievo costituzionale e carattere “in affievolibili”.
Rileva al riguardo quanto già esposto sub. III.1., in quanto, se è vero che il diritti sul sepolcro è un diritto di natura reale assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di possesso e di trasmissione sia inter vivos e mortis causa, nei confronti degli altri soggetti privati, è altrettanto vero che esso non preclude l’esercizio dei poteri autoritativi spettanti alla amministrazione concedente, sicché nel caso di emanazione di atti di revoca o di decadenza spetta la tutela prevista per le posizioni di interesse legittimo.
D’altra parte il titolare del diritto reale, nonché della coesistente posizione di interesse legittimo nel caso di emanazione di atti autoritativi,è esclusivamente il concessionario, cui non possono neppure essere assimilato il richiedente la sub – concessione, in mancanza del formale titolo abilitativo, ovvero chi abbia ‘acquistato’ (solo apparentemente, in ragione della nullità del relativo contratto) e l’acquirente del bene demaniale dal richiedente la sub – concessione, qual è la posizione giuridica degli appellanti.
III.3.3. Le considerazioni svolte escludono anche la fondatezza del terzo motivo di gravame.
Il principio di irretroattività postula invero l’inapplicabilità di una disposizione di legge ad un fatto avvenuto nel passato, prima della sua emanazione, fattispecie che tuttavia non si riscontra nel caso di specie in cui, per la natura di ‘provvedimento di durata’ riferibile alla concessione, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella in vigore al momento della emanazione del provvedimento concessorio: la normativa entrata in vigore dopo il rilascio della concessione si applica a tutti i fatti, gli atti e le situazioni non ancora verificatesi dopo la medesima entrata in vigore, oltre che agli effetti non si siano ancora definitivamente consolidati (salva, in tal caso, la tutela del legittimo affidamento, che tuttavia non viene in rilievo nel caso in esame, non solo perché i fatti posti a base della decadenza sono riferibili al periodo successivo all’entrata in vigore del regolamento, ma anche perché non è configurabile un affidamento ‘legittimo’ quando chi lo invochi abbia volontariamente violato la normativa di settore).
Quanto poi alla prospettata violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con cui gli appellanti hanno dedotto che il provvedimento impugnato darebbe luogo ad un’ipotesi paradigmatica di espropriazione della proprietà senza indennizzo, va rilevato, come già evidenziato in precedenza, che l’appellante non vanta nei confronti del Comune di Napoli alcuna posizione legittimante né quanto al bene concesso in uso, né quanto al manufatto su di esso realizzato, spettando eventualmente tale legittimazione solo all’originario concessionario, nei confronti del quale tuttavia risulta correttamente esercitato il potere di decadenza dalla concessione stessa.
III.3.4. Prive di fondamento giuridico sono le censure mosse con il quarto (Violazione art. 23 e artt. 44 e 53 del regolamento del Comune di Napoli. Inesistenza di una ipotesi di revoca – sanzione. Violazione del principio di proporzionalità” ed il quinto motivo di gravame (“Violazione art. 44 Regolamento comunale. Diritto sul manufatto costruito dal privato e diritto sul suolo o sul manufatto comunale. Differenze. Ambito applicativo del divieto di cessione”, che possono essere esaminate congiuntamente.
Non possono infatti condividersi le tesi degli appellanti, secondo cui, per un verso, la legittimità della revoca–sanzione in esame richiedeva una specifica previsione normativa di rango legislativo in tal senso, in omaggio al principio di legalità e dei corollari di chiarezza e prevedibilità, e, per altro verso, la decadenza prevista dall’art. 44, comma 9, lett. b), avrebbe riguardato esclusivamente l’inadempimento concernente la fase di costruzione del manufatto (insussistente nel caso di specie): fermo restando infatti il rilievo che tali censure potevano essere al più prospettate dal concessionario e non dagli appellanti che, ancora una volta si ribadisce, non hanno alcun titolo al riguardo, va osservato che la revoca in questione è stata espressamente prevista dal Regolamento comunale di polizia mortuaria approvato con la delibera consiliare n. 11 del 21 febbraio 2006, che non è stato oggetto di apposita impugnazione.
Peraltro, ritiene la Sezione che è del tutto logico, e rispondente ai principi generali dell’ordinamento, che l’amministrazione con un proprio provvedimento autoritativo riacquisti la disponibilità di un bene pubblico, dato in concessione ed oggetto di abusi o illeciti da parte del concessionario.
Il relativo potere discende dai principi generali di diritto pubblico, oltre che dalle disposizioni del codice civile che richiamano tali principi generali: per i beni demaniali e per quelli patrimoniali indisponibili, l’amministrazione concedente è titolare in re ipsa del potere di imporne una gestione conforme alle regole e all’interesse pubblico.
In altri termini, il richiamato regolamento approvato dal Comune si fonda sui medesimi principi generali e sulla normativa statale riguardante la gestione dei cimiteri.
Il potere di disporre la decadenza è così esercitabile in ogni caso di inadempimento degli obblighi discendenti dalla concessione, non limitati, secondo il richiamato comma 9, lett. b), dell’art. 44 del regolamento alla sola inosservanza dei termini per l’inosservanza dei termini fissati per l’esecuzione delle opere, ma estesi altresì alla fase della costruzione dei manufatti e del loro mantenimento, proprio a quest’ultimo profilo avendo fatto riferimento l’amministrazione comunale, come già rilevato in precedenza.
Deve poi escludersi che l’art. 44 del regolamentare abbia un contenuto equivoco e non chiaro o irragionevole ovvero che esso sia formulato in modo tale da non essere facilmente comprensibile, così come è da escludersi la violazione del principio di proporzionalità, atteso che alla violazione degli obblighi derivanti dal rapporto concessorio poteva derivare soltanto la revoca – decadenziale.
In altri termini, il principio di proporzionalità non è stato violato né con la normativa che ha attribuito al Comune il potere di disporre il recupero del bene in sede di autotutela, né con l’emanazione del provvedimento che – riscontrata la violazione – ha concretamente disposto il recupero.
Una volta dichiarata la decadenza dalla concessione del suolo cimiteriale del tutto coerentemente e correttamente, ed in ogni caso in puntuale applicazione del comma 1 dell’art. 44 del regolamento comunale, sono state acquisiste alla proprietà dell’amministrazione comunale le opere realizzate sul suolo demaniale ai sensi dell’art. 953 c.c., anche a tal riguardo dovendo richiamarsi il difetto di legittimazione degli appellanti a dolersene.
IV. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 9348/2013, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune di Napoli delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre I.V.A., C.P.A. ed altri accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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