Cassazione civile, Sez. II, 24 gennaio 2003, n. 1134 [1]

Norme correlate:  

Massima

Testo

Norme correlate:
Capo 18 Decreto Presidente Repubblica n. 285/1990

Massima:
Cassazione civile, Sez. II, 24 gennaio 2003, n. 1134
Posto che, ai fini della determinazione della cerchia dei soggetti che hanno diritto alla sepoltura in un edificio sepolcrale, la concessione amministrativa fa soltanto presumere la coincidenza della figura del fondatore con quella del titolare della concessione stessa, assume rilevanza preminente la volontà del fondatore, che può essere manifestata in qualunque forma e risultare anche da elementi indiziari e presuntivi (nella specie, è stato qualificato cofondatore di un sepolcro il soggetto che, sebbene non titolare della concessione amministrativa, aveva contribuito per metà alle spese di costruzione e di mantenimento del sepolcro e il cui nome era inciso sul frontespizio della cappella, dove era stato seppellito insieme ad altri familiari).

Testo completo:
Cassazione civile, Sez. II, 24 gennaio 2003, n. 1134
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Antonio VELLA – Presidente –
Dott. Alfredo MENSITIERI – Consigliere –
Dott. Rosario DE JULIO – Consigliere –
Dott. Roberto Michele TRIOLA – Consigliere –
Dott. Giovanna SCHERILLO – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DARCHINI OMERO, DARCHINI MARIO, elettivamente domiciliati in ROMA VIA
BARBERINI 87, presso lo studio dell’avvocato FRANCO SALVUCCI, che li
difende unitamente all’avvocato PIETRO BACCARINI, giusta delega in
atti;
– ricorrente –
contro
PIFANI ALVARO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ZANARDELLI 20,
presso lo studio dell’avvocato FABIO LAIS, che lo difende unitamente
all’avvocato CARLO ZAULI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
nonché contro
SANDRINI CESARINA (deceduta 16-05-1999);
– intimata –
avverso la sentenza n. 2413-99 del Tribunale di BOLOGNA, depositata
il 02-11-99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27-09-02 dal Consigliere Dott. Giovanna SCHERILLO;
udito l’Avvocato Francesco DU BESSE che deposita delega dell’Avv.
SALVUCCI Franco difensore del ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Guido RAIMONDI che ha concluso rigetto del ricorso.
FATTO
Con citazione del 18-1-1996 Alvaro Pifani e Cesarina Sandrini, rispettivamente figlio e vedova del defunto Arrigo Pifani, convenivano in giudizio davanti al Pretore di Bologna Omero e Mario Darchini, figli ed eredi del defunto Darchini Arcangelo, per sentir dichiarare che essi attori avevano il diritto di collocare le salme nel sepolcro familiare per il quale il defunto Darchini Arcangelo aveva ottenuto dal Comune di Mordano la concessione, a suo nome, di una porzione dell’area cimiteriale.
Deducevano in particolare gli attori che i defunti Pifani Arrigo e Darchini Arcangelo, in vita coniugati rispettivamente con Cesarina e Severina Sandrini, tra loro sorelle, si erano accordati per costruire insieme una tomba per le rispettive famiglie sul terreno oggetto della concessione cimiteriale rilasciata al solo Darchini, suddividendo tra loro al 50% tutte le spese, anche future; che la costruzione della tomba era stata effettivamente eseguita a spese comuni e su di essa era stata apposta l’intestazione “Famiglie Darchini – Pifani”; che nella tomba erano stati sepolti, senza alcuna opposizione da parte di Darchini Arcangelo, dapprima Arrigo Pifani, deceduto nel 1967, e successivamente erano stati trasferiti i resti dei genitori delle sorelle Sandrini e dei genitori del Darchini; che dalla famiglia Pifani venivano usati i loculi del lato destro e dalla famiglia Darchini quelli posti sul lato sinistro; che pertanto ad essi attori spettava la quota indivisa corrispondente alla metà del sepolcro ed anche la cointestazione del medesimo; che, non avendo il defunto Darchini Arcangelo provveduto a variare l’intestazione della concessione, i suoi eredi contestavano il diritto degli attori di poter seppellire i propri familiari nella tomba in questione.
I convenuti, costituitisi, eccepivano preliminarmente la nullità dell’atto di citazione per assoluta incertezza del petitum, essendo stata domandata la pronunzia, al tempo stesso, di una sentenza dichiarativa e di una sentenza costitutiva di un diritto reale. Nel merito, contestavano la domanda attorea negando l’esistenza dell’accordo tra i defunti Pifani Arrigo e Darchini Arcangelo e sostenendo che, invece, quest’ultimo aveva concesso la sepoltura al Pifani e ai genitori delle loro mogli per mera cortesia ditalché l’esborso delle spese da parte degli eredi Pifani era dovuto solo a motivi di gratitudine; aggiungevano che, in ogni caso, un eventuale accordo tra i due doveva ritenersi nullo sia perché la concessione rilasciata dal Comune al Darchini consentiva la sepoltura solo al concessionario e ai suoi parenti fino al secondo grado, non consentendola, quindi agli affini, sia perché, trattandosi di bene immobile, l’eventuale accordo necessitava della forma scritta.
Con sentenza n. 82-98 il Pretore rigettava la domanda ritenendo che la concessione comunale rilasciata al solo Darchini Arcangelo per sè e per suoi parenti entro il secondo grado non consentiva di cointestare il sepolcro ai Pifani, che, inoltre, non era provato l’accordo tra i defunti Pifani Arrigo e Darchini Arcangelo ed infine che non era configurabile l’usucapione del sepolcro trattandosi di bene demaniale oggetto di concessione.
La decisione veniva riformata dal Tribunale di Bologna che, con sentenza 2-11-1999, accoglieva la domanda di Pifani Alvaro e di Sandrini Cesarina e, in riforma della sentenza del Pretore, dichiarava che costoro avevano diritto di collocare le salme nel sepolcro oggetto di causa per avere acquistato tale diritto dal dante causa Pifani Arrigo, quale fondatore, insieme a Darchini Arcangelo, del sepolcro e, in ogni caso, per usucapione ultraventennale.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i soccombenti Mario ed Omero Darchini formulando tre motivi di censura.
Dei due intimati si è costituito soltanto Pifani Alvaro con controricorso.
DIRITTO
I.1 – Con riferimento al decesso dell’intimata non costituita Sandrini Cesarina, avvenuto il 16-5-1999 (prima, cioè, della pubblicazione della sentenza d’appello) e di cui ha dato notizia il resistente con il controricorso, depositando il relativo certificato di morte, va rilevato che, non essendo stato l’evento dichiarato né notificato durante il processo d’appello dal procuratore costituito, unico soggetto legittimato ai sensi dell’art. 300 c.p.c., né reso noto dal medesimo all’atto della notifica della sentenza d’appello (la quale è stata effettuata su istanza del predetto difensore “costituito come in atti”), il presente giudizio di cassazione deve ritenersi validamente instaurato in quanto il ricorso per cassazione è stato notificato nei confronti di entrambi gli appellanti presso il detto difensore (sul punto v. Cass. 4237-97).
I.2 – Il resistente ha inoltre segnalato col controricorso (pag. 22) il mancato deposito da parte dei ricorrenti dell’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio ricordando, in proposito, che tale mancanza determina l’improcedibilità del ricorso, qualora la consultazione del fascicolo sia rilevante ai fini della decisione della suprema Corte.
L’eccezione va disattesa.
La giurisprudenza di questa Corte, richiamata dallo stesso ricorrente, ha sì affermato che il mancato deposito dell’istanza di trasmissione del fascicolo determina l’improcedibilità del ricorso, ma ha altresì precisato che l’improcedibilità si verifica “qualora il fascicolo non risulti comunque acquisito e la sua consultazione, in dipendenza del tenore del motivo di impugnazione, appaia indispensabile ai fini della decisione” (così Sez. Un. 145-99).
Nel caso di specie, il fascicolo d’ufficio risulta acquisito.
Pertanto, indipendentemente dalla rilevanza del fascicolo d’ufficio ai fini della decisione, il mancato deposito dell’istanza di trasmissione è del tutto ininfluente.
I.3 – Va parimenti disattesa l’eccezione, sollevata dal resistente, di inammissibilità del ricorso per difetto della procura speciale ai sensi dell’art. 365 c.p.c.
Integra il requisito della specialità della procura, richiesto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 365 c.p.c., il mandato al difensore rilasciato a margine dell’atto di impugnazione che, pur senza indicare specificamente la sentenza impugnata, sia stato richiamato espressamente nel corpo dell’atto, perché in tal caso l’incorporazione del mandato nell’atto contenente il ricorso, consente di ritenere soddisfatta la finalità perseguita dalla norma e cioè che esso sia stato conferito anteriormente alla notifica dell’impugnazione (v. Cass. Sez. Un. n. 2642-98).
I.4 – Infondata è, infine, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata specificazione dei motivi di gravame.
Ai fini della specificazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, richiesta dall’art. 366 n. 4 c.p.c. a pena di inammissibilità del gravame, non occorre che venga specificamente denunciata una violazione di legge, ma è sufficiente l’indicazione delle ragioni addotte a sostegno della contestazione delle parti della sentenza sottoposte a censura, sì da consentire al giudice di legittimità, mediante la lettura globale dell’atto, l’identificazione del principio di diritto che si assume violato e il controllo diretto sulla decisività dei punti controversi (ex plurimis: Cass. 7673-2000).
Nel caso di specie, come più diffusamente si dirà nell’esposizione dei singoli motivi, gli elementi contenuti nel ricorso sono più che sufficienti ad individuare sia le parti della sentenza sottoposte a censura che le ragioni che sorreggono i rilievi mossi alla sentenza impugnata.
Anche tale eccezione va pertanto disattesa e si può, quindi, procedere all’esame delle singole censure.
II – Col primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 164 comma quarto c.p.c. per non avere la sentenza rilevato la nullità della citazione introduttiva per assoluta indeterminatezza della domanda attorea, essendo questa volta ad ottenere la pronunzia, al tempo stesso, di una sentenza costitutiva e di una sentenza dichiarativa del diritto di sepolcro, tra loro inconciliabili.
La censura non merita accoglimento.
Risulta dalla sentenza che il giudice d’appello ha esaminato la domanda proposta da Alvaro Pifani e Cesarina Sandrini con la citazione introduttiva del giudizio di primo grado, ed ha ritenuto che non sussisteva l’incertezza del petitum eccepita dai convenuti, apparendo dall’atto che erano state proposte non già due distinte domande, ma una domanda sola, volta a far dichiarare l’avvenuto acquisto del diritto di sepolcro in capo a Pifani Arrigo, dante causa degli attori, quale fondatore della tomba, trasmesso agli attori in forza dell’appartenenza alla famiglia Pifani.
Trattasi di un giudizio non censurabile in questa sede, in quanto il giudicante ha esercitato il potere che è proprio del giudice di merito di interpretazione della domanda che non è sindacabile dal giudice di legittimità allorché, come nella specie, l’esame venga compiuto sulla base non solo della formulazione della domanda ma, soprattutto, del suo contenuto sostanziale in relazione alle finalità perseguite dalla parte e al provvedimento richiesto (ex plurimis: Cass. 13535-00).
La doglianza va quindi respinta.
III – Col secondo motivo si censura l’impugnata sentenza per avere affermato che il diritto di sepolcro, di cui era titolare il defunto Darchini Arcangelo in forza della concessione amministrativa rilasciatagli dal Comune nel 1962, spettava non soltanto ai familiari del predetto, attuali ricorrenti, ma anche agli attori, quali familiari del defunto Arrigo Pifani, in forza dell’accordo, intervenuto all’epoca della fondazione della tomba, tra i predetti Pifani e Darchini.
Secondo i ricorrenti, la sentenza ha erroneamente ritenuto derogabile con un atto di autonomia privata, quale il suddetto accordo tra i defunti Darchini e Pifani, il provvedimento concessorio della PA che, invece, aveva attribuito il diritto in questione esclusivamente al Darchini con la limitazione di non potere depositare nella tomba che la propria salma e quelle dei parenti fino al secondo grado.
Inoltre, sostengono ancora i ricorrenti, non ha tenuto conto la sentenza che le disposizioni del R.D.L. n. 1880-1942 in base al quale nel 1962 il defunto Darchini aveva ottenuto la concessione, avevano carattere imperativo in quanto dettate da finalità di interesse pubblico e, quindi come tali non derogabili iure privatorum, ma solo iure publico ditalché il diritto di sepolcro poteva essere trasferito dal concessionario a terzi, qual’era il Pifani e i suoi aventi causa solo previa autorizzazione della PA. L’avvenuto rigetto della domanda di cointestazione del sepolcro avanzata dai Pifani in sede amministrativa confermava, secondo i ricorrenti, l’erroneità della sentenza nel ritenere possibile iure privatorum incidere sull’atto concessorio emesso iure publico dalla PA.
Inoltre, fanno ancora rilevare i ricorrenti, le nuove disposizioni del Regolamento di Polizia Mortuaria, introdotte dal DPR. 803-75 e, successivamente, dal DPR 285-90, che aveva abrogato l’art. 71 del Regolamento del 1942, vigente all’epoca del rilascio della concessione al Darchini, che permetteva la trasmissione dei diritti di uso del sepolcro, confermavano che, nella concessione di un’area cimiteriale, l’interesse privato non solo è subordinato, ma è strumentale all’interesse del Comune di affidare a determinate condizioni a soggetti estranei la cura dei luoghi di sepoltura degli estinti.
La doglianza può essere esaminata congiuntamente a quella esposta nella prima parte del motivo successivo, con cui si censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto provato l’accordo intervenuto in vita tra i defunti Pifani e Darchini in ordine alla comune fondazione della tomba.
Al riguardo i ricorrenti deducono in particolare che:
a) il giudice d’appello, erroneamente considerando l’accordo in questione come un semplice presupposto storico, anziché come elemento costitutivo del diritto preteso, non ha tenuto conto che esso necessitava della forma scritta, in quanto aveva per oggetto un diritto su bene immobile, tale essendo la tomba, quale bene artificialmente legato al suolo;
b) non vi era alcun elemento certo da cui desumere, presuntivamente, l’esistenza del patto, sia in relazione all’esito della prova testimoniale (sfavorevole agli attori), sia in relazione alle altre risultanze processuali (le quali deponevano a favore dei convenuti, odierni ricorrenti);
c) pur volendo ammettere l’esistenza del patto, occorreva pur sempre dimostrare che esso non era limitato alla sepoltura di alcune salme soltanto (quella del Pifani e quelle dei rispettivi suoceri), ma riguardava la sepoltura anche dei familiari del Pifani;
d) in presenza di un rapporto di parentela tra le rispettive mogli del Darchini e del Pifani, il comportamento tenuto dal Darchini Arcangelo, di consentire cioè la sepoltura anche ad estranei alla propria famiglia, doveva essere valutato con particolare rigore ben potendo essere stato causato da tolleranza o cortesia.
Le censure non meritano accoglimento.
Va anzitutto osservato che la concessione amministrativa fu rilasciata al Darchini Arcangelo nel 1962, quando era ancora vigente il Regolamento di Polizia Mortuaria del 1942 che, all’art. 71, prevedeva la trasferibilità del diritto di sepolcro.
A tale disciplina ha fatto riferimento la sentenza impugnata, per cui ogni questione concernente le successive modificazioni introdotte da norme sopravvenute, sono estranee al thema decidendum.
Ciò premesso, sulla scorta dei principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte in tema di diritto di sepolcro (v. in particolare, Cass. 9838-93 citata nella sentenza, nonché le recenti Cass. 532-97; Cass. 8197-94 e Cass. 5923-99), va ricordato che dalla concessione amministrativa del terreno demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba deriva in capo al concessionario un diritto di natura reale sul bene (cosiddetto diritto di sepolcro), la cui manifestazione è costituita prima dall’edificazione e poi dalla sepoltura.
Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente personale del titolare, è dal punto di vista privatistico disponibile da parte del titolare stesso, il quale può quindi trasferirlo a terzi, ovvero associare terzi nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei rapporti con l’ente pubblico concedente, il quale può revocare la concessione soltanto per interesse pubblico, ma non mettere in discussione le modalità di esercizio del diritto, le quali restano libere e riservate all’autonomia privata.
Dal che discende che, ai fini della determinazione della cerchia dei soggetti che hanno diritto alla sepoltura in una determinata tomba, assume rilevanza preminente la volontà del fondatore. Solo in mancanza di una diversa volontà del fondatore assume rilievo la concessione amministrativa, dovendo in tal caso presumersi che la figura del fondatore coincide con quella del titolare della concessione.
La volontà del fondatore può essere manifestata in qualunque forma, potendo risultare anche da elementi indiziari e presuntivi, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito.
I suddetti principi sono stati esattamente osservati nel caso di specie.
Il giudice d’appello, infatti, nell’affermare, sulla base di un attento esame delle risultanze probatorie, che il Pifani Arrigo era stato il cofondatore del sepolcro insieme al Darchini Arcangelo, titolare della concessione, e che in tale qualità aveva acquistato sin dall’inizio lo ius sepulchri, cioè il diritto di collocare le salme, propria e dei familiari, in un determinato luogo, ha tenuto ben presente la distinzione tra i due diversi piani su cui si colloca il cosiddetto diritto di sepolcro. In particolare, ha sottolineato come la concessione amministrativa assume rilievo nei rapporti con la PA, mentre sul piano privatistico implica solo una presunzione iuris tantum in ordine all’identificazione del fondatore con il soggetto intestatario del provvedimento amministrativo, superabile dalla prova contraria, che può essere costituita anche da presunzioni. Ha correttamente ritenuto disponibile il diritto in questione e, di conseguenza, possibile che il titolare della concessione, e cioè Darchini Arcangelo, ne avesse disposto sin dall’origine associandosi nella fondazione del sepolcro un altro soggetto, e cioè Pifani Arrigo. Altrettanto correttamente ha escluso la necessità della forma scritta per provare la qualità di fondatore.
Sulla base di queste premesse nonché di una valutazione delle varie risultanze probatorie non scalfita dai rilievi di merito mossi dal ricorrente, ma articolata e logica (la sentenza richiama in particolare, le dichiarazioni dei testi Rani, Castellani e Bernardi, trascurate dal Pretore, i quali avevano riferito che l’incarico di costruire l’edifico sepolcrale fu conferito congiuntamente nel 1967 dal Darchini Arcangelo e dal Pifani Arrigo, i quali in parti uguali provvidero al pagamento delle somme necessarie alla costruzione e fecero apporre sin dall’inizio l’intestazione della tomba alle rispettive famiglie; il pagamento delle bollette effettuato dal Pifani; il seppellimento del Pifani nel sepolcro, avvenuto nel 1982 senza alcuna opposizione da parte del Darchini), il giudicante è pervenuto alla conclusione che vi era stato sin dall’origine un accordo tra i due, in forza del quale anche il Pifani doveva ritenersi fondatore del sepolcro e, quindi, considerarsi superata la presunzione di coincidenza del fondatore con l’intestatario della concessione amministrativa.
Infine, poiché la comune fondazione conferiva il medesimo diritto ai rispettivi familiari dei due fondatori, ha esattamente osservato che era ininfluente nel caso di specie l’individuazione del carattere familiare o gentilizio del sepolcro.
Le doglianze vanno quindi respinte.
IV – Con la restante parte del terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza per aver ritenuto che, indipendentemente dalla prova del patto tra il Pifani e il Darchini, il diritto di sepolcro doveva essere comunque riconosciuto agli eredi Pifani a titolo di usucapione.
Anche tale doglianza va disattesa.
La sentenza è sorretta da due autonome rationes decidendi, l’una, censurata dai ricorrenti con il secondo motivo e con la prima parte del terzo, è costituita dal riconoscimento del diritto in questione in forza del patto, ritenuto provato dal giudicante, intervenuto in vita tra i defunti Darchini Arcangelo e Pifani Arrigo, in ordine alla cofondazione di un sepolcro familiare; l’altra, censurata con la restante parte del terzo motivo, è costituita dall’avvenuto acquisto del diritto per usucapione ultraventennale, ritenuto provato dal giudicante in base alle risultanze processuali.
Poiché la prima di tali rationes è rimasta confermata per effetto del rigetto delle censure finora esaminate, diventa superfluo l’esame della restante censura volta ad attaccare la seconda, autonoma, ratio decidendi, la quale va dichiarata inammissibile per difetto di interesse (Cass. Sez. Un. 1484-97).
Consegue il rigetto del ricorso.
La particolare natura della causa rende opportuna la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Roma, 27 settembre 2002