Atti di disposizione post mortem – Principi generali

L’ordinamento italiano di polizia mortuaria, pur nella labirintica e eclettica poliedricità delle sue fonti, almeno per le sepolture a sistema di inumazione e di tumulazione, non individua con norma positiva i soggetti legittimati a disporre delle spoglie mortali di un defunto.
Si tratta di una grave lacuna legis.
Nella prassi, invero, i familiari più vicini all’estinto provvedono alla tradizionale sepoltura (terra o loculo) sulla base di un accordo che spesso non traspare o non viene posto in discussione.
Pertanto, la carenza di una norma precisa e dirimente si percepisce solo quando sorga aspra controversia tra più soggetti che rivendichino parimenti la titolarità a disporre del defunto, in via esclusiva per di più.

Ed è stata proprio la giurisprudenza intervenuta sul tema ad elaborare già prima alcuni principi pretori per cui è possibile reperire risposte nelle situazioni di conflitto endo-familiare. Di seguito si riportano alcune pronunce di interesse.
Nella sentenza del 13 marzo 1990, n. 2034 la Corte di Cassazione ha espressamente affermato che:

“a) le spoglie mortali possono costituire oggetto di disposizione da parte del “de cuius” in ordine al luogo e al modo della sepoltura e tale diritto, preminente su quello di analogo contenuto spettante “iure proprio” ai congiunti più prossimi, rientra, – come gli atti di disposizione del proprio corpo di cui all’art. 5 del codice civile e comunque secondo una radicatissima consuetudine, tra i diritti della personalità, per loro natura assoluti e intrasmissibili (vedi Cass. sent. n. 1527 del ’78 e 1584 del ’69);
b) il predetto “ius eligendi sepulcrum”, (…) può ben dar vita ad un mandato “post mortem exequendum”, perfettamente ammissibile nel nostro ordinamento non intaccando il divieto posto alla volontà del “de cuius” di operare “post mortem” relativamente ai beni dell’eredità al di fuori del testamento (vedi Cass. sent. n. 1584 del ’69;2804 del ’62);

(… ) Quanto all’individuazione del destinatario del mandato di cui qui trattasi, la consuetudine e la coscienza collettiva attuale sembrano richiedere che, in mancanza della designazione da parte dello “stesso “de cuius” di un determinato destinatario, detto mandato (valido anche se soltanto verbale, non trattandosi di disposizione testamentaria, purchè, ovviamente, manifestato con la dovuta precisione e risolutezza) debba intendersi conferito presuntivamente al congiunto più prossimo ovvero, cumulativamente, alle persone stesse alle quali “l’electio” sia stata confidata e legata al “de cuius” da particolari vincoli di affetto di amicizia e di stima, essendo da supporre, salvo prova contraria che, in casi del genere, la scelta della persona, cui si voglia far conoscere la propria volontà ultima relativa al destino delle proprie spoglie mortali, coincida con la scelta della persona cui si voglia raccomandarne, magari insieme ad altri, l’esecuzione”.

Tra le varie fattispecie giuridiche attraverso le quali si può esprimere la scelta della sepoltura c’è quindi il testamento.
Esso può contenere ai sensi dell’art. 587 C.C. Anche quelle “disposizioni di carattere non patrimoniale”, che la giurisprudenza ha interpretato come riferentesi anche alla destinazione della propria salma (Cass. sent. n. 12143/2006).
In mancanza di scheda testamentaria (ab intestato), secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. sent. n. 12143/2006) la volontà del defunto può essere manifestata in qualsiasi forma e può risultare anche indirettamente, in base ad elementi indiziari presuntivi. Tale forma di volontà si concretizza sia nelle scelte fatte dal defunto quando era in vita, sia in una manifestazione di atto personalissimo di disposizione per il proprio post mortem, espressa oralmente ma in maniera chiara ed univoca (Cass. sent. n. 2034/1990).
Nel caso in cui il defunto non abbia dichiarato alcuna precisa volontà, si pone, dunque, il problema di quali siano i soggetti deputati ad esercitare il diritto di decidere la sepoltura, non ci sono, infatti, norme esplicite in tal senso.

Dai rilievi dei Tribunali Italiani, poi fatti propri dal giudice della nomofilachia si evince che tale scelta può essere operata dai prossimi congiunti, senza alcun rigore di forme, con prevalenza dello ius coniugis sullo ius sanguinis e di questo sullo ius successionis. (Cass. sent. n. 9168 dell’11 dicembre 1987 e più recentemente Cass. sent. n. 194/2021)
La stessa facoltà viene riconosciuta nel caso di traslazione della salma in altra sepoltura nonostante l’opposizione degli altri parenti (così Cass. sent. n. 519/1986), ciò in quanto si ritiene che questa soluzione non si ponga in contrasto con la pietas verso i defunti poiché la coscienza collettiva, cui tale sentimento si riferisce, non disapprova né percepisce negativamente la traslazione dei resti mortali per una tumulazione ritenuta ragionevolmente più conveniente dal coniuge superstite.
Si ricorda che al coniuge è assimilata la persona convivente ai sensi dell’art. 1, comma 20 L. 20 maggio 2016, n. 76.
In conclusione, per quanto concerne il quesito posto prima, come domanda volutamente retorica, il diritto di eleggere il luogo e le modalità di sepoltura della salma di una persona spetta alla persona stessa e, solo in mancanza di disposizioni date in vita dal defunto, deve essere riconosciuto:
– al coniuge (e a persona a questi assimilata ai sensi dell’art. 1, comma 20 L. 20 maggio 2016, n. 76);
– in difetto di questi, al parente (non sono considerati gli affini) nel grado più prossimo;
– o, in subordine, agli eredi.

Come si diceva in premessa, in assenza di una norma apposita, affidandoci, dunque, alla sola prammatica quando esista una pluralità di familiari (del medesimo grado) più vicini al defunto, si provvede alla sepoltura sulla base di un accordo ad sustantiam tra questi soggetti legittimati, che spesso non è formalizzato in atto ufficiale o non viene contestato, nelle competenti sedi.
È quasi una consuetudine praeter legem, perchè è comune sentire che sia giusto e doveroso comportarsi così, secondo i nostri più antichi costumi funerari, ossia per quel sostrato ancestrale di cultura, valori morali e religiosi di pìetas, da cui, poi tutto il diritto funerario trae il proprio momento genetico e costitutivo.
Ma può succedere che non vi sia concordia negli atti di disposizione sulle spoglie mortali e in tal caso, se non viene raggiunto un consenso tra i soggetti di diritto, occorre risolvere la vicenda per vie giudiziali.
Sarebbe opportuno che l’avvio della relativa azione venisse comunicato documentalmente al comune e al soggetto gestore del cimitero (nei casi di affidamento del servizio a soggetti terzi) per porli a conoscenza della vicenda e così mantenere ferma la situazione in attesa di soluzione del contenzioso.
Proprio per integrare una lacuna normativa, e per garantire una certa tutela del soggetto responsabile dei servizi cimiteriali, il regolamento comunale può prevedere che l’operazione cimiteriale si effettui anche a richiesta di uno solo dei familiari, il quale si intende agisca in nome e per conto e con il preventivo consenso di tutti gli interessati.

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Carlo Ballotta

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