Nel nostro ordinamento la dispersione delle ceneri è lecita solo se l’Ufficiale di stato civile (USC) la autorizza “sulla base di espressa volontà del defunto”.
È la scriminante penale introdotta dall’art. 2 della L. 30 marzo 2001, n. 130, che ha aggiunto all’art. 411 c.p. due commi: quando manca quell’autorizzazione, o quando la dispersione avviene in modo difforme da quanto voluto dal de cuius, scatta la fattispecie di reato.
“Espressa” non vuol dire necessariamente “scritta”, ma chiara e univoca
Il codice penale non tipizza la forma della volontà (“per iscritto”, “davanti a…”).
La chiave è data dal diritto civile: la scelta del luogo e delle modalità di sepoltura (il c.d. ius eligendi sepulchrum) è un diritto della personalità del defunto, esercitabile “in qualunque modo” idoneo a renderne certo il contenuto.
Solo se manca subentrano i congiunti ma per ciò che è loro consentito.
Dunque, la volontà può risultare da atti non formali, purché sia riconoscibile con certezza e attribuibile al de cuius.
La gerarchia pratica dei mezzi di prova davanti all’USC
Nella prassi amministrativa, per evitare incertezze (e riflessi penali), vale una graduazione di affidabilità probatoria:
- Testamento che menzioni la dispersione (olografo/pubblico/segretissimo): via maestra.
- Certificazione dell’associazione cremazionista (es. SOCREM) con opzione dispersione: idonea se specifica.
- Dichiarazione resa in vita al Comune (atto all’USC / dichiarazione sostitutiva): sufficiente se indica esplicitamente la dispersione.
Altre espressioni di volontà (scritti informali, email, moduli firmati, video, mandato post mortem): sono ammissibili se consentono un convincimento serio, univoco e documentabile; in caso di dubbio, meglio negare l’autorizzazione e rinviare al giudice civile per l’accertamento.
Si noti che la semplice iscrizione alla cremazione senza una specifica indicazione della dispersione non basta.
La cremazione è una cosa; la dispersione richiede un quid pluris voluto dal defunto.
Questo risulta tanto dal disegno della L. 130/2001 (art. 3 individua luoghi e soggetti della dispersione, ma sempre “nel rispetto della volontà del defunto”), quanto dalla funzione penale dell’art. 411 c.p.
Il ruolo dell’USC (e quando serve il giudice)
Non serve una sentenza preventiva: la competenza è amministrativa.
L’USC valuta gli atti prodotti e autorizza solo se la volontà risulta chiara e riferibile al de cuius.
Se la documentazione è debole o contestata (familiari in conflitto; scritti ambigui), l’USC deve negare l’autorizzazione o sospendere l’istruttoria.
Le parti potranno chiedere al giudice civile l’accertamento della vera volontà del defunto.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ammette anche prove testimoniali/indiziarie sulla volontà, ma il loro peso è valutato in sede giudiziale, non “d’ufficio” dall’amministrazione.
“Volontà dei congiunti” è diversa dalla “volontà del defunto”
Quando la volontà del de cuius manca, i congiunti possono esercitare il loro ius eligendi (scelta affidamento o tumulazione dell’urna).
Ma questa non può mai sostituire la volontà del defunto sulla dispersione.
È qui che opera la clausola penale dell’art. 411 c.p.: disperdere senza o contro la volontà del de cuius (o senza autorizzazione) espone a responsabilità.
Dove e chi può disperdere
Anche con volontà provata di dispersione delle ceneri, occorre rispettare quello che è previsto dall’art. 3, co. 1 L. 130/2001:
luoghi consentiti (aree dedicate in cimitero; in natura o in aree private all’aperto, non nei centri abitati; in acque libere da natanti/manufatti) e soggetti legittimati a eseguire (coniuge/familiare, esecutore testamentario, rappresentante dell’associazione; in mancanza, personale autorizzato dal Comune).
Se la volontà non c’è (o non è provabile): le alternative lecite
Quando la volontà non è dimostrabile, la dispersione non può essere autorizzata.
Restano le forme di conservazione (sepoltura dell’urna in cimitero; affidamento, se ammesso dalla normativa regionale e regolamentare) o, in difetto, il cinerario comune, che ogni cimitero deve avere (art. 80 D.P.R. 285/1990).
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