Prove tecniche di federalismo fiscale

128 parlamentari, di cui 88 deputati e 40 senatori, appartententi alla maggioranza (80) e opposizione (48) sono la ‘forza d’urto’ presentata dal presidente della commissione Affari costituzionali di palazzo Madama, Enzo Bianco, nel corso del convegno sul Titolo V della Costituzione organizzato come prima iniziativa proprio dall’Associazione dei parlamentari amici dei Comuni.
Il testo del ddl sul federalismo fiscale che sta per approdare in Senato “e’ in progress”, ha spiegato il ministro Lanzillotta.
Ma innanzitutto non bisogna incrinare i rapporti con gli Enti locali. L’indirizzo pertanto e’ quello di varare una riforma ”che aiuti a valorizzare il ruolo legislativo delle Regioni, saltando quei passaggi che nel trasferimento di fondi da un livello istituzionale ad un altro drenano i contributi”.
”Abbiamo la possibilità di fare una grande riforma del paese che renda il federalismo umano e sostenibile – ha spiegato il ministro – il sentimento di antipolitica che si respira negli ultimi tempi nasce dal fatto che il cittadino si trova davanti agli occhi un grande apparato, per il funzionamento del quale paga un tributo, che però non funziona bene e non riesce a dare le risposte giuste”.
Uno degli obiettivi che al momento non sono stati centrati, ha spiegato il ministro, e’ quello della riforma del sistema delle Conferenze. ”Dobbiamo portare nelle sedi di concertazione tra il Governo e gli enti locali – ha concluso Lanzillotta – la possibilità di adottare linee strategiche di indirizzo politico, piuttosto che una più semplice difesa di carattere corporativo”.
Il presidente della prima commissione di palazzo Madama, Enzo Bianco, ha spiegato l’iniziativa: “Noi vogliamo fare del Parlamento la lobby trasparente e virtuosa dei Comuni” ha esemplificato Bianco, ricordando la sua passata esperienza di presidente dell’Anci, tenendo conto che “moltissimi parlamentari sono sindaci, assessori” e la domanda che viene dagli enti locali e’ di “arrivare ad una riforma del Titolo V cambiando ciò che va cambiato (a partire dalle competenze su energia e infrastrutture, che vanno riportate a livello nazionale), ma senza per questo rimettere in discussione l’impianto generale della riforma”.
Bianco, in previsione dell’approvazione del Codice delle autonomie, ha sottolineato che “il federalismo che vogliamo realizzare non e’ di tipo gerarchico-piramidale, (un’idea che, come dicono a Roma, ‘riciccia’ ogni tanto) ma quello in cui i diversi livelli stanno sullo stesso piano” e da questo punto di vista “anche alcuni disegni di legge governativi presentano qualche contraddizione”. Fra le priorità, ha specificato Bianco, c’e’ la necessità di “sospingere le Regioni ha occuparsi più della legislazione anziché di compiti di gestione e amministrazione che dovrebbero essere esercitati dai Comuni”.
Infine la stessa Lanzillotta ha sottolineato come il nuovo Codice delle Autonomie debba “arrivare ad una semplificazione dei rapporti tra i diversi livelli, altrimenti si incrina il rapporto con i Comuni, ossia l’istituzione più vicina e più amata dai cittadini”.

“Una volta approvata la riforma – ha detto il Segretario Generale dell’ANCI, Angelo Rughetti nel suo intervento – deve esser chiaro cosa fa ogni livello di governo su tutto il territorio nazionale, senza duplicazioni e complicazioni”. Rughetti si è soffermato in particolare sulle funzioni e i compiti fondamentali dei Comuni. “Cittadini, famiglie e imprese hanno trovato nei Comuni un punto di riferimento per la conoscenza delle persone, dei gruppi, dello status degli individui. Nei Comuni ha sempre risieduto il compito di autorizzare e controllare lo sviluppo edilizio ed urbanistico di un territorio. La cura sociale delle categorie svantaggiate, il sostegno alle famiglie, i servizi all’infanzia. Insomma, esiste un nucleo di competenze amministrative che i Comuni svolgono in quanto chiamati a rispondere a domande sociali in prima persona e non perché esiste un quadro giuridico statico che le configura come tali. La risposta del legislatore quindi non può non essere una risposta articolata non solo strettamente giuridica e molto diversificata da ente ad ente. Le funzioni fondamentali – ha detto – non sono l’elenco burocratico di una interpretazione tecnica di una norma ma sono la conseguenza normativa della domanda sociale e della capacità organizzativa di dare risposte”.

Ma chi paga le funzioni fondamentali e quelle amministrative dei Comuni? “Il principio da cui partire – ha spiegato Rughetti – è la coincidenza fra responsabilità amministrativa e politica, da un lato, e responsabilità fiscale dall’altro. Non è immaginabile un sistema che consegni nelle mani di un ente la titolarità di un compito amministrativo e nella mani di un altro il potere di deciderne il finanziamento. Questo principio, visto con gli occhi delle persone, delle famiglie e delle imprese è imprescindibile. Non pensiamo di deresponsabilizzare gli enti che gestiscono funzioni amministrative perché abbiamo già visto che questo provoca inefficienza, sprechi e aumento della pressione fiscale. Allo stesso modo non è pensabile creare un Paese con 8102 sistemi fiscali totalmente diversificati. Allora lo sforzo che dobbiamo fare è quello di dar vita ad un sistema istituzionale e fiscale che sia efficiente, responsabile, cooperativo, garantisco e solidale. “All’interno di questo quadro – ha concluso – un ruolo strategico e rafforzato dovrà avere anche l’ANCI che potrà essere trasformata in una associazione riconosciuta che in via esclusiva svolge una funzione di rappresentanza istituzionale che, salvaguardando la natura volontaristica della adesione dei comuni, possa diventare il motore tecnico e di servizio che sta alla base dei lavori delle sedi di concertazione e di cooperazione, portando così a frutto la centenaria esperienza maturata dalla sua istituzione”.
Fonte: www.regioni.it e www.anci.it

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