Covid: i conti dei morti non tornano

La maggior parte dei 12 sindaci lombardi interpellati dall’AGI conferma la tesi del sindaco di Bergamo Giorgio Gori: esiste un ‘sommerso’ di persone decedute col coronavirus, soprattutto nelle case di riposo, ma anche persone che spirano nella loro abitazione, che non emerge dai dati ufficiali.

Eclatante il caso di Albino, provincia del capoluogo orobico, il più colpito assieme a Brescia: “Lo scorso anno, dal 23 febbraio al 27 marzo erano morte 24 persone, quest’anno sono 145 – spiega il sindaco Fabio Terzi – tra i deceduti, quelli con coronavirus ‘certificati’ sono 30. E’ chiaro che i conti non tornano”. Restando in questa provincia, a San Pellegrino Terme, il primo cittadino Vittorio Milesi fa sapere che “dal primo marzo si sono contati 45 morti di cui 11 con coronavirus accertato da tampone. Lo scorso anno, erano mancate solo due persone”. “Da noi dall’inizio dell’emergenza abbiamo messo in fila 135 morti, l’anno passato era una novantina in meno – afferma Davide Casati, sindaco di Scanzorosciate,sempre provincia bergamasca – Quelli covid sono non più di 20, una minima parte, in linea con quello che sostiene Gori. Da tenere cpresente che di quei 135, 80 sono deceduti nella casa di riposo, di cui solo alcuni risultano residenti nel paese”. Marco Milesi, che guida il comune di San Giovanni Bianco,ancora Bergamo, ha assistito alla morte di 42 compaesani, “la quasi totalità sono morti certificati di Covid”. 

La situazione sembra simile nel cremonese. A Castelleone, il sindaco Pietro Fiori ha messo insieme dal primo marzo 25 morti, 23 in più rispetto al 2019. “Non ho dati ufficiali, di alcuni i familiari mi hanno detto che il virus è stata la causa e lo hanno scritto sul certificato di morte. Ma il numero è troppo esiguo rispetto al totale, tanti sono morti in casa, presumo almeno una quindicina”. Poco lontano, a Soresina, il sindaco Diego Vairani annota che “sono mancati 18 residenti con Covid, qualche unità in più rispetto allo scorso anno. Il dato più forte riguarda la casa di riposo dove nel 2019 ne morirono 2, quest’anno oltre una decina. Di questi ipotizziamo, ma non c’è il tampone, che molti siano deceduti col virus”. Vairani ci tiene a chiarire che “i dati reali di positivi e deceduti nel comune, discordanti rispetto a quelli della Regione che arrivano dopo, vengono ricavati grazie alla rete di medici e farmacisti di buona volontà che operano sul territorio. Sono dati che servono a ricostruire la rete di contatti di chi è stato colpito dal virus per evitarne l’ulteriore diffusione. La politica regionale e nazionale è molto distante da noi sindaci, come dimostrano i 12 documenti sui comportamenti da tenere, difficili da capire anche per un esperto”. 

Anche a Mediglia, nel milanese, decisiva nella triste contabilità è la casa di riposo. “Non ho una stima precisa – dice il primo cittadino Paolo Bianchi – ma posso affermare che i morti sono più del triplo dello scorso anno dall’inizio dell’emergenza. Sono 61 i deceduti nella casa di riposo più altre 8 persone. Quanti di Covid? Non lo so, sono i famosi dati ‘disallineati’ che ci arrivano sempre in ritardo e senza referti medici da parte di Ats Città Metropolitana”. In controtendenza Trezzano sul Naviglio, sempre provincia di Milano, Fabio Bottero: “L’anno scorso è stato un anno molto sfortunato, con molti decessi. Da noi di Covid ci sono solo 3 deceduti. Non abbiamo registrato incrementi”.

Il sindaco di Pisogne (Brescia), Federico Laini, sta raccogliendo i dati precisi che saranno pronti lunedì, ma per adesso osserva che “nelle ultime settimane non ho avuto un numero considerevole di casi di persone con sintomi di coronavirus poi deceduti, ma ho un aumento notevole di morti per arresto cardiaco di individui che non avevano sintomi di coronavirus”. Nel bresciano, a Robbio, c’è il primo sindaco Roberto Francesco che ha rotto il ‘muro’ lombardo del no tamponi agli asintomatici e che vuole seguire il metodo  di Vo Euganeo: “Noi abbiamo avuto 4 morti certificati da Covid su 8 persone positive. Oggi è morta la moglie di una persona positiva in casa di riposo, ma il tampone non le è stato fatto, casi così ce ne sono molti di sicuro. Io però ho cominciato a fare il test a tutti gli oltre 3mila abitanti. Gente convinta di esserlo perché aveva la polmonite non era positiva e chi non aveva sintomi  aveva il virus. Per esempio tra questi ultiimi due lavorano con due ditte con centinaia di dipendenti”.

In Lombardia c’è poi il caso Codogno, col sindaco Francesco Passerini con “125 decessi a fronte dei 51 dello scorso anno tra fine febbraio e marzo. Quanti siano morti col virus non si sa, quelli in casa di riposo non sono sottoposti al test. Ma non sono convinto che questo sia un errore perché, a quanto mi dice Ats, la contagiosità va analizzata nelle prime 24 ore dal decesso, dopo la vitalità del virus quasi sicuramente scompare. Quindi molto dipende dalla tempistica del tampone, non farlo entro tempoi certi significa sprecare tempo, soldi ed energie”. Nel comasco, provincia tra le meno interessate dal contagio, a Gravedona, spiega il sindaco Fiorenzo Bongiasca, a “marzo di quest’anno ci sono stato 51 morti, nel 2019 erano 24”. Da tenere presente che però nel paese lacustre c’è un ospedale dove hanno perso la vita residenti in altri comuni del comprensorio. I morti ‘certificati’ coronavirus sono solo 5. Il comune di Dongo, stando a quanto riferito dal vicesindaco Mauro Robba, pare confermare la tesi di Gori: “Nel marzo scorso erano mancate 2 persone, quest’anno 8, solo uno accertato coronavirus”.

Fonte:AGI

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