Si da per nota la previsione dell’art. 93, comma 1 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m. (trascurandosi qui quanto disponga il suo comma 2 in quanto non rilevante).
Disposizione che regola la riserva del diritto di sepoltura nei sepolcri privati nei cimiteri a favore delle persone dei concessionari e dei loro familiari.
A qualche osservatore superficiale parrebbe che la disposizione sia in qualche modo carente, in particolare nel senso di non definire quali siano le persone dei familiari dei concessionari.
Cosa che non sussiste non spettando a questa fonte normativa una tale individuazione, dal momento che si tratta di aspetti pertinenti ad altra fonte normativa, anch’essa di rango secondario (regolamento).
Essa è afferente alla potestà regolamentare riconosciuta ai comuni alla luce dell’art. 7 T.U.E.L., D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e s.m. e – prima sotto il profilo del rango normativo – dall’art. 116, comma 6, 3° periodo Cost.
Anche se qualcuno potrebbe preferire che l’individuazione dei familiari dei concessionari fosse altrimenti allocata, questa titolarità costituisce uno degli aspetti contenutistici del contenuto della disposizione dell’art. 5 Cost. (all’interno dei principi fondamentali).
Ciò consente ai comuni di individuare, quali familiari dei concessionari, una pluralità di persone sulla base di aspetti giuridico-relazionali, principalmente quelli di parentela ed affinità, ma anche altri vincoli giuridici.
Per quanto non manchino quanti richiamino (con quali motivazioni?) anche figure differenti, ad esempio gli eredi, cosa che potrebbe avere un minimo di significato unicamente per i sepolcri ereditari (sia che lo siano fin dal loro sorgere, sia che lo diventino in corso della durata della concessione).
Ma potrebbero essere considerate anche altre relazioni giuridiche.
Si citano, ad esempio, trattandosi di istituto soppresso ormai da decenni, che potrebbe essere rilevante per i casi sorti quando ancora vigente, le figure degli affiliati.
In materia di cremazione, tanto l’art. 79 D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 e s.m., nella materia ancora applicabile, che l’art. 3, comma 1, lett. b) n. 3), così come la successiva lett. g), non fanno riferimento al termine di “familiari”, quanto al parente (o ai parenti in caso di pluralità) individuati ai sensi degli artt. 74, 75, 76 e 77 C.C..
Cosa che appare sufficientemente specifica e che, per inciso, esclude gli affini (art. 78 C.C.).
Se ne ricava che le persone da prendere in considerazione non sono coincidenti.
Ai fini della riserva all’accoglimento in un sepolcro privato operano pre-determinati criteri.
E, ai fini della cremazione, altri criteri o, meglio, un’eventuale coincidenza va considerata come meramente accidentale.
Altrettanto può dirsi in tema di successione, richiamando, per semplicità, unicamente la posizione dei legittimari, cioè delle persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità od altri diritti successori.
Posizione definita all’art. 536 C.C., che individua: a) il coniuge, i figli, gli ascendenti e (comma 2) con la previsione che ai figli sono equiparati gli adottivi.
Equiparazione che non può trascurare quanto preveda il successivo art. 567 C.C.
In altre parole, l’adozione non determina parentela, in quanto questa è data dal vincolo (leggi: legame giuridico) tra persone che discendono da uno stesso stipite.
Se ne ricaverebbe la necessità di distinguere all’interno degli istituti adottivi i differenti effetti, ricordando come questi istituti possano essere raggruppati, per gli effetti, in due tipologie:
– quelli in cui, per effetto dell’adozione, l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, (art. 27 L. 4 maggio 1983, n. 184 e s.m.) e
– gli altri istituti adottivi, quali l’adozione nei casi particolari, l’adozione di persone maggiori di età, ecc.
L’affermazione precedente secondo la quale “l’adozione non determina parentela”, va, in qualche modo, ridimensionata alla luce della disposizione, testuale dell’art. 74 C. C., che per la sua rilevanza a questi fini, si riporta:
“Art. 74 (Parentela).
[I] La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti.”.
Il punto su cui si richiama l’attenzione è quello rappresentato dal secondo periodo, laddove il tema qui affrontato non presenta equivocità, per il fatto che l’enunciazione è del tutto esplicita ed esente da interpretazioni.
Nell’eventualità di applicazione delle disposizioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3) L. 30 marzo 2001, n. 130 e, qualora una delle persone che si auto-percepiscano quali parenti sia stata adottata ai sensi degli artt. 291 e ss. C.C., non potrà che tenersene conto.
Si aggiunge che, per effetto dell’art. 55 L. 4 maggio 1983, n. 184 e s.m., i medesimi effetti si hanno anche per l’adozione di minori, nei casi particolari ex artt. 44 e ss. della stessa legge.
Nello stesso senso, cioè in termini di qualificazione/equiparazione ai parenti, si veda anche l’art. 91 D. Lgs. 1° agosto 2025, n. 123, vigente dal 13 agosto 2025 (pur dovendosi tenere presente l’art. 205).
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