Il Corriere esamina vita e morte degli obituaries.

Di seguito si riporta l’articolo a firma di Guido Santevecchi pubblicato sul www.corriere.it dell’1 luglioo 2008, dal titolo “Esperti cercano il «necrologio perfetto»”
.

Quest’anno per la Decima Conferenza Internazionale, sotto il titolo From Here to Eternity, «Da qui all’eternità», si sono riuniti in un albergo di Las Vegas. Mancava qualcuno e i colleghi si sono augurati che le assenze non fossero legate a irreparabili motivi di forza maggiore. La professione dei protagonisti del convegno è legata alla morte, perché la loro qualifica è Great Obituary Writers: scrittori di grandi necrologi. Si tratta di un genere popolare e raffinato nel giornalismo anglosassone. Mentre sulla stampa italiana si parla delle personalità venute a mancare nelle sezioni di cui sono stati protagonisti, dalla politica alla cultura, allo sport, agli spettacoli, sui giornali inglesi e americani gli Obituaries sono raccolti ogni giorno in una sezione centrale, di almeno due pagine, in posizione «nobile » subito dopo i commenti.

GRANDE RILIEVO NEL GIORNALISMO ANGLOSASSONE – È un servizio da giornale di qualità, non da tabloid: a Londra lo hanno il Times, il Daily Telegraph, il Guardian, l’Independent, il Financial Times e l’ Economist. Dall’altra parte dell’Atlantico Washington Post e New York Times si sfidano in accuratezza anche in questo campo. La concorrenza è dura. Al Times, che recentemente ha lanciato una rivoluzione grafica e di contenuti, ammettono che «gli obituaries, con le lettere al direttore e le parole crociate, servono a mantenere il pubblico tradizionale di fronte ai cambiamenti». Vale a dire che quei profili ragionati di persone più o meno celebri scritti da bravi giornalisti fanno vendere copie. Bisogna essere tempestivi, la morte spesso arriva inaspettata.

I PEZZI «IN MEMORIA» – Il Times ha cominciato a preparare in anticipo i suoi lunghi pezzi «in memoria» verso il 1850 e oggi si vanta di tenerne già pronti 5 mila. Questo crea qualche problema, come spiega Ian Brunskill, capo obituarista del Times: può capitare che l’autore muoia prima della persona a cui si è dedicato con tanta passione. Così magari si tratta di pezzi a più mani, su cui si sono alternati diversi autori nel corso degli anni. Anche per questo i necrologi del glorioso quotidiano londinese sono anonimi.

IL «CASO MANZONI» – Così oggi non possiamo sapere chi scrisse nel 1873 l’attacco dell’addio ad Alessandro Manzoni, con un candore che tradiva la lunga attesa: «I nostri lettori non saranno tanto sorpresi dalla notizia che Alessandro Manzoni, romanziere e poeta italiano, è alla fine morto all’età di 88 anni, ma nell’apprendere che era ancora vivo». Brunskill sottolinea che questi articoli non sono né un’orazione funebre né una biografia «ma un genere letterario sottovalutato, frutto di giornalisti sinceri e diretti che debbono rischiare giudizi immediati sapendo che potrebbero essere rovesciati da successive rivelazioni».

ESEMPI CELEBRI – Qualche esempio: «Andy Warhol conquistò maggior fama per quello che si astenne dal fare più che per aver fatto quello che ha fatto»; «se la storia dovesse giudicare la grandezza in base al numero di pagine conquistate sui giornali, allora Adolf Hitler era un grandissimo uomo»; «il terzo Lord Moynihan fornì in vita molte munizioni agli oppositori della nobiltà ereditaria: le sue occupazioni principali furono suonatore di bongo, tenutario di bordelli, contrabbandiere di droga e informatore della polizia». Ann Wroe dell’Economist dice: «Io preferisco proprio i ritratti di aristocratici pazzi che si ubriacano alle Barbados; ma i più memorabili sono quelli su persone semplici passate attraverso eventi straordinari, come il soldato di fanteria Ponticelli, l’ultimo combattente francese della Grande Guerra». In gergo italiano l’obituary si chiama coccodrillo, con riferimento alle lacrime del rettile. Secondo Bob Chaundy, per vent’anni responsabile di questa produzione per la Bbc «i migliori obituaries possono farti sorridere, o piangere, o anche ispirare le due reazioni allo stesso tempo». Dietro ci sono sempre un gran lavoro e l’ansia di non essere pronto al momento giusto. Racconta ancora Chaundy: «Ero in vacanza quando morì la principessa Diana. Una vicina bussò al mattino e mi disse “questa non te l’aspettavi, vero?”. No, ma l’avevo preparato e mentre parlavamo andava in onda sulla Bbc». Bisogna fare gli scongiuri? «No, gli obits sono storie di vita, non di morte».

Fonte: corriere.it

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