Centocinquantamila euro come disservizio e danno da immagine chiesti ad operatori sanitari che procacciavano funerali

A dodici anni dai fatti, risalenti al 2006, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti dell’Umbria dovrà decidere sul caso di due addetti all’obitorio dell’ospedale di Perugia, condannati per aver preso soldi per la vestizione dei defunti e per aver favorito alcune imprese funebri.
In primo grado i due dipendenti pubblici furono condannati rispettivamente a un anno e sei mesi e due anni e due mesi, anche per essersi prestati dietro compenso a vestire i defunti. Tutti reati poi estinti quando il caso è approdato in Appello.
A rappresentare l’accusa il nuovo viceprocuratore Elena Di Gisi, che ha parlato di «prestazioni lavorative deviate rispetto al perseguimento del pubblico interesse, risultando qualitativamente e quantitativamente inferiori rispetto a quanto richiesto a un pubblico dipendente non apicale ma con mansioni esecutive».
Di Gisi ha anche sostenuto la sussistenza di una «evidente lesione della dignità, del prestigio e della serietà della struttura ospedaliera». Il tutto in settore «particolarmente delicato anche per il senso di pietas».
Gli avvocati dei due accusati contestano decisamente le motivazioni dell’accusa e sono convinti che la cosa finisca in una bolla di sapone.

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