Tar Emilia Romagna, Sez. I, 17 settembre 2014, n. 897

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Tar Emilia Romagna, Sez. I, 17 settembre 2014, n. 897
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 866 del 2009 proposto da Arco Guidi – Studio di Architettura S.a.s. di Gianfranco Masi & C., in persona del legale rappresentante Gianfranco Masi, difesa e rappresentata dall’avv. Federico Gualandi e dall’avv. Francesca Minotti, e presso gli stessi elettivamente domiciliata in Bologna, Galleria Marconi n. 2;
contro
il Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante p.t., difeso e rappresentato dall’avv. Monica Cattoli e dall’avv. Giulia Carestia, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale comunale in Bologna, p.zza Maggiore n. 6;
per l’annullamento
della deliberazione n. 137/2009, con cui il Consiglio comunale di Bologna ha controdedotto alle osservazioni presentate ed ha approvato, ai sensi dell’art. 33 della legge reg. n. 20 del 2000, il Regolamento Urbanistico Edilizio, limitatamente alla parte in cui – con riferimento agli Ambiti consolidati pianificati specializzati (art. 65) – viene escluso l’insediamento dell’uso abitativo di tipo urbano.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bologna;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 10 luglio 2014 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Proprietaria di alcuni immobili ubicati a Bologna in via della Certosa, con destinazione urbanistica un tempo classificata come “verde sportivo” e poi come “zona di rispetto ambientale”, la società ricorrente si attivava nel 2008 per vedere modificato in uso abitativo l’uso artigianale e commerciale connesso con le attività cimiteriali. La successiva adozione del RUE nel gennaio 2009 evidenziava tuttavia che la disciplina degli usi negli Ambiti consolidati pianificati specializzati – al cui interno era stata inserita l’area di che trattasi – escludeva l’insediarsi degli “usi abitativi di tipo urbano” (art. 65), sicché la società ricorrente presentava un’osservazione finalizzata a conseguire l’uso abitativo ed in tale prospettiva chiedeva la modifica della qualificazione dell’Ambito (da “consolidato pianificato specializzato” a “consolidato di qualificazione diffusa mista”), richiesta poi rigettata dall’Amministrazione comunale nella considerazione che il RUE non può procedere alla variazione degli ambiti perimetrati dal PSC.
Avverso la deliberazione consiliare di controdeduzioni alle osservazioni pervenute e di approvazione del RUE ha proposto impugnativa in parte qua la società ricorrente. Assume erroneamente applicata la disposizione di cui all’art. A-10 della legge reg. n. 20 del 2000, giacché la circostanza che negli «ambiti urbani consolidati» detta norma preveda che la pianificazione urbanistica comunale “…favorisce inoltre la qualificazione funzionale ed edilizia, attraverso interventi di recupero, ampliamento, sopraelevazione e completamento, nonché attraverso il cambio della destinazione d’uso” avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a consentire anche la nuova destinazione abitativa in area che, pur prossima al cimitero comunale, non si presenta di fatto impiegabile per usi diversi; lamenta, inoltre, il contrasto con il PSC, che ugualmente in questi ambiti territoriali consentirebbe l’uso abitativo; denuncia, infine, l’insufficiente ed inadeguata motivazione del rigetto dell’osservazione. Di qui la richiesta di annullamento in parte qua dell’atto impugnato.
Si è costituito in giudizio il Comune di Bologna, resistendo al gravame.
All’udienza del 10 luglio 2014, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato.
Dispone l’art. A-10 della legge reg. n. 20 del 2000, in tema di «ambiti urbani consolidati», che “all’interno del territorio urbanizzato, delimitato dal P.S.C. ai sensi del comma 2 dell’art. 28, per ambiti urbani consolidati si intendono le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate con continuità, che presentano un adeguato livello di qualità urbana e ambientale tale da non richiedere interventi di riqualificazione” (comma 1), che “la pianificazione urbanistica comunale persegue, nei tessuti urbani di cui al comma 1, il mantenimento e la qualificazione degli attuali livelli dei servizi e delle dotazioni territoriali, il miglioramento delle condizioni di salubrità dell’ambiente urbano, la qualificazione funzionale ed edilizia degli edifici esistenti, un’equilibrata integrazione tra la funzione abitativa e le attività economiche e sociali con essa compatibili. Favorisce inoltre la qualificazione funzionale ed edilizia, attraverso interventi di recupero, ampliamento, sopraelevazione e completamento, nonché attraverso il cambio della destinazione d’uso” (comma 2) e che “è compito del PSC individuare il perimetro di tali ambiti, indicarne le caratteristiche urbanistiche e la struttura funzionale e definire le politiche e gli obiettivi da perseguire a norma del comma 2. Le trasformazioni edilizie e funzionali ammissibili sono disciplinate dal RUE ai sensi del comma 2 dell’art. 29” (comma 3). In relazione a tale quadro normativo il PSC del Comune di Bologna ha individuato le parti del territorio da classificare come «ambiti pianificati consolidati» e le ha distinte, a seconda della loro “dominante funzionale”, in «ambiti misti» e «ambiti specializzati», essendo i primi contrassegnati da una “equilibrata compresenza” di residenza e di attività sociali, culturali, commerciali e produttive con essa compatibili, essendo i secondi connotati dall’impiego per attività economiche e commerciali in contesti caratterizzati dalla forte concentrazione produttiva con una solo “limitata compresenza di insediamenti e spazi collettivi residenziali” (così la relazione illustrativa del PSC del 2007). Il RUE, poi, nel regolare all’art. 65 gli «ambiti consolidati pianificati specializzati», ha stabilito – per quel che rileva nella presente controversia – che è vietato l’insediarsi di usi abitativi di tipo urbano, con il risultato di precludere una simile destinazione urbanistica per l’area della società ricorrente, ricompresa nell’ambito consolidato specializzato n. 42 “Stadio comunale”.
Orbene, la previsione della norma regionale circa la “equilibrata integrazione tra la funzione abitativa e le attività economiche e sociali con essa compatibili” e circa l’obiettivo della “qualificazione funzionale ed edilizia … attraverso il cambio della destinazione d’uso” costituisce evidentemente un precetto che rimanda alle Amministrazioni comunali la concreta determinazione dei presupposti e dei criteri di attuazione dello stesso, sulla base non solo delle specifiche caratteristiche locali ma anche di scelte di politica urbanistica che rispecchino gli orientamenti delle singole comunità interessate. In quest’ottica, la bipartizione tra «ambiti misti» e «àmbiti specializzati» rappresenta una legittima opzione sistematica, volta a meglio disciplinare l’uso del territorio in ragione delle sue peculiarità, quale l’effettivo stato dei luoghi evidenzia in un dato momento storico. Se, allora, negli «ambiti specializzati» viene ammessa, con scelta in sé non illogica, una solo “limitata compresenza di insediamenti e spazi collettivi residenziali”, e se i vari «àmbiti specializzati» in concreto individuati dal PSC già recano una quota di uso residenziale valutata in sé adeguata rispetto al parametro generale così stabilito, la previsione del RUE che inibisce nuove destinazioni abitative in simili porzioni del territorio non integra una violazione della disciplina regionale, proprio perché le scelte operate in sede locale restano rimesse a valutazioni discrezionali censurabili solo per irrazionalità o travisamento di fatto.
Va, poi, considerato che, non essendo state impugnate in parte qua le previsioni del PSC, si potrebbe unicamente imputare al RUE di non avere applicato in modo corretto il canone della “limitata compresenza di insediamenti e spazi collettivi residenziali”. In realtà, la società ricorrente si è limitata a denunciare una presunta scarsa appetibilità commerciale della propria area ove destinata ad uso diverso da quello abitativo, ma non ha dimostrato che l’«ambito» territoriale in questione sia del tutto privo di immobili con destinazione residenziale o che comunque, alla luce di una dettagliata disamina della situazione in atto per le varie aree del comparto “Stadio comunale”, il divieto di ulteriori insediamenti residenziali si presenti incoerente con la classificazione che ne ha disposto il PSC, classificazione peraltro non censurata e per questo estranea al sindacato giudiziale.
Quanto, infine, al tenore del rigetto dell’osservazione della società ricorrente (“Non accolta per quanto riguarda la modifica dell’ambito, in quanto non pertinente al RUE ma di competenza del PSC che ha individuato l’ambito in relazione alla continuità con le attrezzature cimiteriali limitrofe”), il Collegio rileva come l’intervenuto richiamo alla competenza del PSC circa la determinazione dell’«ambito» territoriale di appartenenza dell’area dell’interessata muoveva non solo dal tipo di richiesta ivi formulata (mutamento della tipologia di «ambito» per godere del più favorevole regime di quelli c.d. “misti”), ma anche dalla considerazione che il dichiarato obiettivo di conseguire la destinazione residenziale non era altrimenti raggiungibile se non con una diversa classificazione dell’«ambito». In sede di redazione del RUE, in altri termini, il vincolo della “limitata compresenza di insediamenti e spazi collettivi residenziali” rappresentava un ostacolo oggettivo che di per sé evidenziava le ragioni dell’esito negativo della richiesta, senza necessità dunque di ulteriori e più approfondite argomentazioni, tanto più che, come è noto, in sede di formazione degli strumenti urbanistici le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituiscono un mero apporto collaborativo e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno 2014 n. 2973).
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente, e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 2.000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 10 luglio 2014, con l’intervento dei magistrati:
Carlo d’Alessandro, Presidente
Alberto Pasi, Consigliere
Italo Caso, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)