Norme correlate:
Massima
Testo
Norme correlate:
Art 338 Regio Decreto n. 1265 del 1934
Riferimenti: Consiglio di Stato, sez.IV, 27.10.2009 n.6547; Consiglio di Stato, sez.IV, 12.3.2007 n. 1185; TAR Veneto, sez. II, 7.2.2008 n. 325
Massima:
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 5 maggio 2010, n. 1234
La censura di illegittimità dell’ingiunzione a demolire, in quanto rivolta contro l’affittuaria dell’area e non contro i proprietari, è infondata, se non addirittura inammissibile, non riuscendosi a comprendere quale interesse abbia la ricorrente affittuaria a lamentare la mancata notifica del provvedimento ad un soggetto giuridicamente distinto dalla stessa, che dovrebbe semmai essere fatto valere dai proprietari e non dall’esponente, la quale ha in ogni caso realizzato le opere abusive ed è quindi giuridicamente obbligata a demolirle, quale “responsabile del’abuso”, indipendentemente da eventuali irregolarità della notificazione dell’ingiunzione a demolire
Testo completo:
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 5 maggio 2010, n. 1234
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2554 del 2007, proposto da:
Giani Stefania, in proprio e quale titolare dellimpresa individuale Floricoltura il Mio Giardino, rappresentata e difesa dagli avv. Gianni Benzoni e Francesca Guercio, con domicilio eletto presso questultima in Milano, via Borgogna, 9;
contro
Comune di Cassano Magnago, rappresentato e difeso dall’avv. Luca De Nora, con domicilio eletto presso il medesimo in Milano, via Visconti di Modrone, 8/1;
Responsabile dellArea Territorio del Comune Cassano Magnago, Regione Lombardia; entrambi non costituiti in giudizio;
Sul ricorso numero di registro generale 1841 del 2008, proposto da:
Giani Stefania, in proprio e quale titolare della impresa individuale Floricoltura il Mio Giardino, rappresentata e difesa dagli avv. Gianni Benzoni e Francesca Guercio, con domicilio eletto presso questultimo in Milano, via Borgogna, 9;
contro
Comune di Cassano Magnago, rappresentato e difeso dall’avv. Luca De Nora, con domicilio eletto presso questultimo in Milano, via Visconti di Modrone, 8/1;
Responsabile dellArea Territorio del Comune Cassano Magnago, Regione Lombardia; entrambi non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
quanto al ricorso n. 2554 del 2007:
del provvedimento 14.9.2007 prot. n. 21242 che ha respinto listanza presentata dalla sig.ra Giani in data 16.7.2007; di ogni atto e/o provvedimento presupposto, conseguente e/o comunque connesso, fra cui in particolare, la scheda n. 10 del Piano delle Regole a parte del Piano di Governo del Territorio approvato dal Comune con delibera n. 23 del 10.4.2007;
quanto al ricorso n. 1841 del 2008:
dellordinanza 29.5.2008 n. 114 di demolizione di opere edilizie realizzate abusivamente; di ogni atto e/o provvedimento presupposto, conseguente e/o comunque connesso, fra cui in particolare il verbale di sopralluogo 12.4.2007, la successiva nota 19.62008 del Comune di Cassano Magnago.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cassano Magnago;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 aprile 2010 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori Gianni Benzoni per la ricorrente; Luca De Nora per il Comune di Cassano Magnago;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La sig.ra Giani è titolare di unimpresa agricola individuale, svolgente attività di floricoltura.
Nellottobre 2005, previa segnalazione al Comune di Cassano Magnago, provvedeva ad installare in Via Mantova, sui mappali 979-5634, alcune strutture per lesercizio della propria impresa.
LAmministrazione comunale, ritenendo tali strutture abusive, ne ingiungeva la demolizione con ordinanza n. 85 del 17.4.2007.
Contro la suddetta ordinanza era proposto un primo ricorso al TAR Lombardia (RG 1602/2007) ed era presentata altresì istanza di sanatoria ai sensi dellart. 36 del DPR 380/2001.
Questultima era però respinta dal Comune, con provvedimento prot. 21242 del 14.9.2007, contro il quale era proposto il ricorso RG 2554/2007, con istanza di sospensiva, per i motivi che possono così essere sintetizzati:
A) violazione dellart. 338 del RD 27.7.1934 n. 1265 e dellart. 8 del Regolamento Regionale 9.9.2004 n. 6, nonché del cessato PRG e del vigente PGT in punto di fasce di rispetto cimiteriale; travisamento del fatto, illogicità e contraddittorietà; in tale mezzo si contesta, sotto vari profili, laffermazione del provvedimento impugnato, secondo cui le strutture si collocherebbero allintero della fascia di rispetto cimiteriale;
B) violazione degli articoli 59-62 della legge regionale 12/2005 e dellart. 36 del DPR 380/2001, violazione delle norme di Piano e travisamento del fatto; nel quale si contesta lasserzione del Comune secondo cui lintervento edilizio non sarebbe conforme allo strumento urbanistico (PGT) vigente al momento di presentazione dellistanza di accertamento di conformità;
C) violazione dellart. 33 della legge regionale 12/2005, nel quale si sostiene che le strutture collocate dallesponente sarebbero riconducibili alla categoria delle coperture stagionali di cui al citato art. 33 e come tali realizzabili liberamente e senza necessità di titolo edilizio;
D) contraddittorietà ed illogicità manifeste e travisamento del fatto;
E) difetto di motivazione del provvedimento impugnato;
F) travisamento del fatto, disparità di trattamento, violazione dellart. 5 DPR 380/2001;
da ultimo erano richiamati i motivi del precedente ricorso RG 1602/2007.
Dopo aver adottato il diniego di sanatoria, il Comune, con ordinanza n. 114 del 29.5.2008, ingiungeva la demolizione delle opere ritenute abusive.
Contro lordinanza di demolizione era proposto il ricorso RG 1841/2008, con domanda di sospensiva, per i motivi che possono così sintetizzarsi:
A) dapprima sono riproposti tutti i mezzi di gravame di cui al ricorso RG 2554/2007 contro il diniego di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 e di cui al ricorso RG 1602/2007 contro il primo ordine di demolizione del 17.4.2007;
B) sono fatti valere vizi specifici dellordinanza di demolizione, fra cui lomessa estensione della stessa al proprietario dei mappali essendo la sig.ra Giani affittuaria del fondo -, lerronea indicazione dellarea di cui è minacciata lacquisizione e lirrazionalità dellingiunzione di conferimento alla discarica di manufatti smontabili e amovibili.
Si costituiva in giudizio in entrambi i gravami il Comune di Cassano Magnago, concludendo per il loro rigetto.
In esito alludienza in camera di consiglio del 27.8.2008 davanti alla Sezione feriale del TAR Lombardia, alla quale erano chiamati i tre ricorsi di cui sopra, il ricorso RG 1602 del 2007 era dichiarato improcedibile, con sentenza in forma semplificata n. 4011 del 29.8.2008, mentre i ricorsi RG 2554/2007 e RG 1841/2008 erano riuniti e la domanda di sospensiva proposta con i medesimi era accolta con ordinanza n. 1281/2008, atteso il periculum in mora e riservando al merito le questioni attinenti al fumus dei gravami.
Alla pubblica udienza dell8 aprile 2010, entrambe le cause erano trattenute in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, deve disporsi la riunione dei ricorsi in epigrafe, ai sensi dellart. 52 del RD 642/1907, attesa la loro evidente connessione (riunione peraltro già disposta in sede cautelare con lordinanza n. 1281/2008).
2. Nel ricorso RG 2554/2007, ritiene il Collegio di esaminare in via prioritaria il motivo contrassegnato con la lettera C, relativo alla corretta classificazione giuridica delle strutture di cui è causa, che il Comune reputa essere serre, mentre la ricorrente vorrebbe qualificare come coperture stagionali, le quali, ai sensi dellart. 33, comma 2, lett. d), della legge regionale 12/2005, possono essere realizzate senza alcun titolo edilizio.
La corretta qualificazione delle suddette strutture, infatti, assume rilevanza per la decisione di altri motivi di ricorso, fra cui in primo luogo quello contrassegnato con la lettera A, relativo al vincolo cimiteriale.
Ciò premesso, la pretesa della ricorrente di ricondurre alla figura delle coperture stagionali di cui al citato art. 33, le strutture dalla stessa realizzate, appare priva di pregio.
La lettera d) del secondo comma dellart. 33, esclude la necessità di titolo edilizio per le <>.
Prescindendo dalla destinazione dellarea di cui è causa, occorre evidenziare come la legge regionale non detti prescrizioni analitiche circa le dimensioni di tali coperture; tuttavia ragioni di ordine sistematico ed anche in parte letterale, inducono alla conclusione che debba trattarsi di dimensioni tutto sommato contenute, essendo tali opere destinate alla protezione delle colture e dei piccoli animali, quindi con dimensioni compatibili con la sola funzione di protezione e non con altre funzioni, quali ad esempio laccesso delle persone siano esse dipendenti dellimpresa o clienti della stessa o lesercizio nella struttura di attività commerciale di vendita. Del resto, relativamente alla protezione degli animali, la legge regionale ha cura di specificare che si tratta di animali <> ed <>, con ciò stesso escludendo il ricorso alle coperture stagionali per la protezione di bestiame di grossa taglia si pensi ad esempio ad un allevamento bovino in quanto tali coperture finirebbero per assumere dimensioni tali da cagionare un rilevante impatto sul territorio, impatto che sarebbe incompatibile con il regime di totale liberalizzazione dellattività edilizia di cui al comma secondo dellart. 33 citato.
Non si dimentichi poi, sempre con riguardo al dato letterale della norma, che le colture e gli allevamenti da proteggersi attraverso le indicate coperture devono essere <> e tale espressione deve intendersi nel senso, già sopra indicato, che le coperture devono svolgere una funzione di sola protezione e non altre di carattere produttivo o tanto meno commerciale.
Quanto al requisito della stagionalità, lo stesso non può che riferirsi ad un fenomeno relativo ad una sola parte dellanno e quindi, nel caso di una copertura stagionale, questultima deve essere collocata per una parte dellanno solare e rimossa per la parte successiva. Al contrario, la permanenza dellopera per lintero anno, seppure con caratteristiche tecniche differenti al variare delle stagioni, esclude di per sé che possa parlarsi di copertura stagionale.
Orbene, nel caso di specie, avuto riguardo a quanto affermato e documentato dalla stessa parte ricorrente, si deve concludere che le opere approntate dalla signora Giani non possono assolutamente essere considerate coperture stagionali ai sensi del citato art. 33 della legge regionale 12/2005.
Si tratta, infatti, di quattro strutture, aventi ognuna dimensioni di 8 metri x 22,80 metri (cfr. doc. 6 e doc. 11 della ricorrente), quindi una superficie di circa 180 metri quadrati ciascuna per un totale di quasi 800 metri quadrati, destinate alla permanenza continua sul suolo, visto che le coperture sono sostituite semplicemente al cambio delle stagioni, come del resto ammesso nel ricorso (vedesi pag. 47 del medesimo, dove si parla di una <>, per la stagione estiva ed invernale), a nulla rilevando che, in presenza di particolari situazioni climatiche favorevoli, i teli siano eccezionalmente rimossi, per poi però essere nuovamente collocati, per agevolare il migliore sviluppo delle colture.
Del resto, la stessa documentazione fotografica di parte ricorrente (cfr. il suo doc. 25), evidenzia lesistenza di strutture ampie, destinate non solo ad ospitare lazienda florovivaistica, ma anche a consentire laccesso del pubblico per lesercizio dellattività di vendita dei prodotti, visto che la signora Giani è titolare di autorizzazione regionale alla produzione ed al commercio di vegetali (doc. 4 ricorrente).
La documentazione fotografica del Comune (cfr. docc. 4, 5, 7 e 8 di questultimo), mostra poi, con chiarezza, lesistenza di ampie strutture, destinata alla coltivazione ed alla vendita, con accesso di pubblico.
Devono, di conseguenza, escludersi, per le strutture di cui è causa, sia il carattere di semplice copertura sia quello di stagionalità, richiesti invece dallart. 33 della legge regionale 12/2005.
Neppure potrebbe sostenersi, come invece fatto in ricorso, che le quattro strutture sarebbero precarie e facilmente amovibili, per cui difetterebbe in capo alle stesso ogni requisito di stabilità, che presuppone il rilascio di un titolo abilitativo.
Si tratta, infatti, di opere infisse al suolo stabilmente, a nulla rilevando che le fondazioni in calcestruzzo riguardino non lintero perimetro della struttura ma solo la parte in corrispondenza dellingresso, destinate a soddisfare esigenze di carattere continuativo, tanto è vero che le stesse sono presenti in loco ormai da tempo e che al loro interno è svolta senza soluzione di continuità lattività imprenditoriale dellesponente. Trattandosi poi di opere chiuse, salvo i limitatissimi periodi di scopertura per esigenze agricole, le stesse realizzano altresì nuovi volumi.
Pare corretta, di conseguenza, la loro qualificazione come vere e proprie serre e come tali necessitanti di un titolo abilitativo, conformemente al pacifico indirizzo giurisprudenziale, per il quale la costruzione di una serra, anche se in astratto facilmente amovibile, presuppone il rilascio di concessione edilizia (ora, ovviamente, permesso di costruire), allorché la serra soddisfi stabilmente le esigenze di esercizio dellimpresa agricola e sia quindi destinata ad un indeterminata permanenza al suolo, modificando così definitivamente lassetto urbanistico ed edilizio di una zona (TAR Brescia, sez. I, 19.11.2009 n. 2223; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 19.11.2009 n. 2794; Consiglio di Stato, sez. IV, 6.3.2006 n. 1119; sez. V, 23.9.2002 n. 4832; sez. V, 8.6.2000 n. 3247; sez. V, 13.3.2000 n. 1299; Cassazione penale, sez. III, 10.1.2000).
In conclusione, il motivo di cui alla lettera C deve essere respinto.
Si può ora procedere allesame degli altri mezzi, secondo lordine di ricorso, pur trattandosi da ultimo, per le ragioni che si esporranno, il motivo B.
Con il motivo contrassegnato con la lettera A, lesponente contesta, con diffuse argomentazioni, le affermazioni contenute nel diniego di sanatoria, secondo cui gli immobili della sig.ra Giani ricadrebbero nel raggio di 200 metri dal cimitero esistente, per cui risulterebbero violate, dalla ricorrente, le disposizioni dellart. 338 del RD 1265/1934 (Testo Unico delle leggi sanitarie) e dellart. 8 del Regolamento regionale n. 6/2004, che vietano la costruzione di nuovi edifici nellambito della c.d. fascia di rispetto cimiteriale, fissata appunto in 200 metri.
Sul punto, occorre dapprima rilevare come la disciplina del c.d. vincolo cimiteriale sia contenuta nellart. 338 del RD 27.7.1934 n. 1265 (Testo Unico delle leggi sanitarie), in forza del quale (comma 1°, secondo periodo), <<È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dellimpianto cimiteriale>>, pur facendosi salve <>. Tali deroghe devono essere consentite, dopo la riforma dellart. 338 introdotta dalla legge 166/2002, dal consiglio comunale, con le modalità procedurali indicate dallo stesso art. 338, le quali prevedono il parere dellazienda sanitaria locale. Prima dellentrata in vigore della citata legge 166/2002, le deroghe al vincolo cimiteriale erano invece autorizzate dal Prefetto.
Nella Regione Lombardia, lart. 8 del Regolamento regionale 9.11.2004 n. 6 (articolo rubricato Zona di rispetto cimiteriale), richiama espressamente lart. 338 sopra citato e prevede la possibilità di riduzione della fascia di rispetto fino ad un minimo di 50 metri, previo parere favorevole dellASL e dellARPA.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che le disposizioni sulla fascia di rispetto cimiteriale siano dettate da ragioni di ordine pubblico, sia di carattere igienico-sanitario sia di rispetto della sacralità dei luoghi di sepoltura, per cui il vincolo cimiteriale costituisce unipotesi di inedificabilità ex lege, destinata a prevalere su eventuali disposizioni difformi degli strumenti urbanistici generali. Di conseguenza, in caso di opere abusive collocate in fascia cimiteriale, il diniego di sanatoria non deve necessariamente, al fine dellassolvimento dellobbligo di motivazione dellatto amministrativo, effettuare una comparazione fra le opere realizzate ed i valori salvaguardati dal vincolo, essendo sufficiente il richiamo a questultimo (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 27.10.2009 n. 6547, che conferma analoga pronuncia della Sezione II di questo TAR; Consiglio di Stato, sez. IV, 12.3.2007 n. 1185; TAR Veneto, sez. II, 7.2.2008 n. 325; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 17.3.2008 n. 541 e TAR Campania, Napoli, sez. IV, 29.11.2007 n. 15615).
Nel caso di specie, non vi è dubbio, in fatto, che le strutture della sig.ra Giani siano collocate ad una distanza inferiore di 200 metri dal perimetro cimiteriale (lesponente non contesta, anzi conferma tale circostanza), tuttavia, secondo la ricorrente, le opere realizzate sarebbero compatibili con la fascia di rispetto, trattandosi di opere destinate dallagricoltura, non contrastanti con le previsioni di vincolo.
Sotto tale profilo, la censura è però infondata, in quanto le strutture collocate dallesponente non possono essere considerate, come sopra indicato in sede di trattazione del motivo C, come mere coperture, prive di ogni impatto urbanistico, ma devono invece reputarsi opere stabili, destinate in via permanente e continuativa allesercizio sia dellattività agricolo sia di quella connessa di vendita al pubblico, il quale pertanto accede abitualmente alle serre per i propri acquisti.
Trattandosi, quindi, di serre necessitanti di titolo edilizio, per le ragioni già sopra esposte, le stesse devono reputarsi nuove costruzioni, per le quali vale il vincolo assoluto di inedificabilità di cui al citato art. 338.
Nel motivo A, la ricorrente sostiene inoltre che nel Comune di Cassano Magnago la fascia di rispetto cimiteriale prevista dal previgente PRG e confermata dal successivo PGT, sarebbe in realtà inferiore a 200 metri, per cui le serre, pur collocandosi ad una distanza inferiore a 200 metri dal perimetro cimiteriale, sarebbero pur sempre al di fuori della fascia di rispetto, che sarebbe stata ridotta dallAmministrazione attraverso il proprio strumento urbanistico.
Sul punto, la ricorrente produce una serie di planimetrie allegate al PRG, dalle quali risulterebbe lintervenuta riduzione della fascia di rispetto, in particolare si tratta della tavola n. 18 del PRG (doc. 86 ricorrente, mentre il doc. 87 è costituito dalla tavola 19).
In effetti, lanalisi della tavola 18 e soprattutto della tavola 19, potrebbe portare alla conclusione che la via Mantova, dove si trovano le serre della sig.ra Giani, si trovi al di fuori della fascia di rispetto cimiteriale.
Tuttavia, accanto alle cartografie sopra indicate risalenti peraltro al 1988 e recanti la dicitura Osservazioni luglio 1988, per cui non si comprende se si tratti di unosservazione in vista di una modifica del Piano oppure della situazione esistente sono prodotte in giudizio anche tavole grafiche più recenti, che collocano diversamente la fascia di rispetto cimiteriale, attribuendo alla stessa, quanto meno nella zona di via Mantova, una larghezza di 200 metri.
Così, la tavola 4.1 del Piano cimiteriale approvato con delibera consiliare n. 83 del 10.9.2008 (cfr. doc. 68 ricorrente e doc. 9 del Comune), individua la fascia di rispetto esistente allatto dellapprovazione del Piano stesso, per unarea di 200 metri e quindi comprensiva di via Mantova.
Tale tavola è stata inoltre esaminata da un organo esterno al Comune vale a dire lARPA, chiamata al rilascio del parere sul Piano cimiteriale la quale ha confermato che la fascia di rispetto esistente sul lato nord del cimitero, ove sono poste le serre, è di 200 metri (cfr. doc. 11 Comune).
Di fronte a tale quadro certamente non univoco risultante da cartografie succedutesi in un lungo arco temporale, non può che trovare applicazione il sopra ricordato indirizzo giurisprudenziale relativo allart. 338 del Testo Unico, per cui il vincolo di inedificabilità cimiteriale prevale ex lege (secondo un meccanismo giuridico che ricorda listituto dellart. 1339 del codice civile sullinserzione automatica di clausole), sulle difformi previsioni del Piano Regolatore, sicché, in mancanza di una esplicita deroga da parte del Comune assunta nelle forme di legge, la fascia di rispetto è calcolata sempre in 200 metri.
Non si rinviene, infatti, negli atti di causa, alcun provvedimento attraverso il quale il Comune di Cassano Magnago abbia voluto avvalersi della facoltà di deroga di cui allart. 338, per ridurre formalmente la zona di rispetto.
Lunica rituale deroga di cui si abbia notizia, è un provvedimento prefettizio del 21.6.1958, che ridusse la fascia ad 80 metri verso il lato Est, lasciandola inalterata per gli altri lati (cfr. doc. 63 e doc. 64 ricorrente).
Al contrario né gli atti di approvazione del PRG né quelli che approvano il vigente PGT manifestano lesplicita volontà dellAmministrazione di ridurre la fascia cimiteriale, il che conferma il convincimento del Collegio, secondo cui le risultanza di talune cartografie, che sembrano individuare una fascia di rispetto inferiore a 200 metri, rappresentano quasi sicuramente il frutto di un errore materiale, irrilevante però nel caso di specie, vista la nota giurisprudenza circa la prevalenza del vincolo cimiteriale ex lege sulle previsioni difformi degli strumenti urbanistici.
Sotto tale profilo, appare inconferente il richiamo, contenuto nel ricorso, alla sentenza del TAR Sardegna n. 1348/2007, citata dallesponente a pag. 10 della memoria del 26.3.2010.
Premesso, in primo luogo, che pare trattarsi di un precedente isolato, privo di conferme da parte di altri giudici amministrativi di primo grado o del Consiglio di Stato, nel caso deciso dai giudici sardi, il consiglio comunale aveva espressamente stabilito di ridurre la fascia di rispetto cimiteriale, mentre nel caso di specie, mai il Comune resistente ha optato per la riduzione della fascia medesima, anzi i più recenti atti dellAmministrazione, quale la delibera di approvazione del Piano cimiteriale del 2008, confermano lesistenza della fascia di 200 metri.
Neppure può desumersi la presunta riduzione del vincolo da altri documenti e circostanza citati dalla ricorrente.
Così, la sentenza del TAR Lombardia, sez. I, n. 2974/2006 (doc. 88 ricorrente), affronta il differente problema dellesistenza di un vincolo paesaggistico sullarea in questione, senza nulla dire sul vincolo cimiteriale.
Anche la perizia depositata alla Procura di Busto Arsizio e redatta dalling. Gambino (doc. 79 ricorrente), fermo restando che si tratta di una perizia di parte e quindi senza un particolare o peculiare rilievo probatorio, affronta il differente problema dellesistenza sullarea di vincoli ambientali secondo la legge 431/1985.
Quanto agli edifici realizzati, secondo la ricorrente, nellambito della fascia di rispetto di 200 metri (cfr. doc. 29 e docc. 30-41 dellesponente); premesso che per taluni di essi non paiono porsi problemi di compatibilità col vincolo (si pensi ai piccoli chioschi per la vendita dei fiori allingresso del cimitero, che sono ben altro rispetto alle ampie serre della ricorrente), il Tribunale non può sul punto che confermare lindirizzo proprio e della prevalente giurisprudenza, secondo il quale leventuale condotta illecita dellAmministrazione non può essere legittimamente posta a fondamento da parte di un cittadino per ottenere un ulteriore provvedimento contra legem, né può denunciarsi una presunta disparità di trattamento con riguardo ad analoghe fattispecie illecite (cfr. sul punto TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 11.6.2007 n. 4928, con la giurisprudenza ivi richiamata).
In conclusione, il motivo A deve essere respinto.
La declaratoria di infondatezza dei motivi di cui alle lettere A e C determina, di conseguenza, la pronuncia di infondatezza dei motivi contrassegnati con le lettere D ed E, visto che negli stessi sono sostanzialmente riproposte le censure pregresse, riguardanti lesistenza e la rilevanza del vincolo cimiteriale e la qualificazione, come serre o coperture stagionali, delle strutture collocate dalla sig.ra Giani.
Parimenti privo di pregio è il mezzo contrassegnato con la lettera F, che denuncia una presunta disparità di trattamento in realtà insussistente nel caso di specie oltre alla violazione di una norma di legge statale (art. 5 del DPR 380/2001), non applicabile peraltro nella Regione Lombardia, vista lespressa previsione dellart. 103, comma 1, lett. a), della legge regionale 12/2005.
Palesemente privo di pregio è poi il richiamo ai motivi del ricorso RG 1602/2007, contenuto a pag. 58 del ricorso, visto che si tratta di censure analoghe a quelle del presente ricorso RG 2554/2007.
Con riguardo, invece, al motivo di cui alla lettera B, con lo stesso sono contestate le argomentazioni del diniego di sanatoria impugnato relative al presunto contrasto dellintervento edilizio di cui è chiesto laccertamento di conformità di cui allart. 36 del DPR 380/2001, con lo strumento urbanistico vigente al momento della presentazione della domanda (16.7.2007), vale a dire il Piano di Governo del Territorio (PGT) di Cassano Magnago, approvato con delibera del 10.4.2007.
In particolare, secondo lAmministrazione, le opere edilizie sono incompatibili con la destinazione prevista per larea dal Piano delle Regole, scheda n. 10 del medesimo, che viene peraltro anchessa impugnata con il presente gravame.
La parte del provvedimento impugnato che giustifica il diniego di sanatoria con la mancanza della c.d. doppia conformità di cui al menzionato art. 36, configura però una motivazione autonoma e distinta da quella della prima parte del provvedimento, relativa invece allesistenza del vincolo cimiteriale.
È, infatti, evidente che anche in caso di astratta conformità dellintervento agli strumenti urbanistici secondo la previsione dellart. 36 del DPR 380/2001, lesistenza del vincolo cimiteriale, come sopra esposto, costituirebbe in ogni caso un ostacolo alla sanatoria delle opere.
Orbene, vista la legittimità della parte motivazionale concernente il vincolo cimiteriale, leventuale accoglimento delle censure di ricorso riguardanti la doppia conformità (motivo B), non potrebbe in ogni caso determinare lannullamento del diniego di sanatoria ivi gravato, conformemente al pacifico indirizzo giurisprudenziale per il quale, in caso di atto amministrativo fondato su una pluralità di motivi autonomi fra loro, è sufficiente la legittimità di uno solo di questi per impedire lannullamento giurisdizionale dellatto stesso (Consiglio di Stato, sez. V, 29.5.2006 n. 3259; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 10.9.2009 n. 4647 e 13.1.2010 n. 22; sez. IV, 5.7.2006 n. 1705).
In conclusione, il ricorso RG 2554/2007 deve respingersi.
3. Il ricorso Rg 1841/2008 deve rigettarsi con riguardo ai motivi nei quali si denuncia lillegittimità derivata dai precedenti atti amministrativi fra i quali il diniego di sanatoria oppure si ripropongono le censure già svolte nel gravame RG 2554/2007.
Attesa, infatti, linfondatezza di tale ricorso, per le ragioni sopra esposte al punto 2 della presente narrativa in diritto, devono parimenti reputarsi privi di pregio i mezzi di gravame analoghi contenuti nel secondo dei ricorsi in epigrafe.
Peraltro, la ricorrente denuncia lillegittimità dellultimo ordine di demolizione per vizi propri e specifici, contrassegnati nel ricorso con la lettera B (pag. 81 e seguenti dellatto introduttivo).
Al punto B.1.1 si sostiene che il vincolo cimiteriale non implica inedificabilità assoluta. La censura ripropone, però, le pregresse doglianze circa la rilevanza nel caso di specie del vincolo cimiteriale, già affrontate e rigettate nel ricorso RG 2554/2007 al motivo A, per cui deve anchessa essere respinta.
Al punto B.1.2 si afferma che la legislazione vigente ammetterebbe la vendita al dettaglio di prodotti florovivaistici, ma tale asserzione la cui rilevanza non è peraltro ben chiara non sembra neanche assurgere a vero e proprio motivo di ricorso.
Analoga considerazione deve svolgersi per il punto B.1.3, ove si sostiene che la domanda di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 avrebbe avuto solo carattere tuzioristico, in quanto le strutture sarebbero semplici coperture e non vere e proprie serre.
Nel punto B.1.4 si pone in evidenza come nellordinanza impugnata, il riferimento al verbale di sopralluogo del 12.4.2008 sarebbe erroneo, come del resto ammesso dalla stessa Amministrazione con nota del 19.6.2008 (doc. 47 ricorrente).
Si tratta, però, di un mero errore materiale, prontamente rettificato dal Comune, che non inficia la legittimità del provvedimento di demolizione. Daltronde, lerronea indicazione degli estremi del verbale di sopralluogo non muta la circostanza assolutamente pacifica per cui lesponente non ha rimosso le opere oggetto del diniego di sanatoria, per cui sussiste senza dubbio il fondamentale presupposto per ladozione del conseguente ordine di demolizione.
Al punto B.3.1 (non esiste, infatti, un punto B.2 del ricorso, ma dal punto B.1 si passa direttamente al punto B.3), si denuncia lillegittimità dellingiunzione a demolire, in quanto rivolta contro la sig.ra Giani, affittuaria dellarea e non contro i proprietari, individuati dal ricorso nei signori Carlo e Francesco Giani (cfr. pag. 85 dellatto introduttivo).
La censura è infondata, se non addirittura inammissibile, non riuscendosi a comprendere quale interesse abbia la ricorrente a lamentare la mancata notifica del provvedimento ad un soggetto giuridicamente distinto dalla stessa; in altri termini il profilo di illegittimità di cui sopra sempre ammesso che sia sussistente dovrebbe essere semmai fatto valere dai proprietari e non dallesponente, la quale ha in ogni caso realizzato le opere abusive ed è quindi giuridicamente obbligata a demolirle, quale <>, indipendentemente da eventuali irregolarità della notificazione dellingiunzione di demolizione (cfr. art. 31, comma 2°, del DPR 380/2001, si veda sul punto TAR Lazio, sez. II-bis, 5.11.2009 n. 10872).
Quanto sopra esposto non esclude che il Comune, in caso di eventuale inottemperanza dellordine di demolizione, dovrà accertare lavvenuto inadempimento e le sue conseguenze nel rispetto rigoroso delle prescrizioni di legge (art. 31 DPR 380/2001, cfr. sul punto la sentenza di questa Sez. II, 26.1.2010 n. 175), verificando altresì la sussistenza dei presupposti per procedere allacquisizione di diritto nei confronti del proprietario, secondo le indicazione contenute nella nota sentenza della Corte Costituzionale 15.7.1991 n. 345.
Al punto B.4 si denuncia la presunta illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto lo stesso indicherebbe erroneamente un mappale (n. 976) non compreso nel fondo Giani. Il mezzo è privo di pregio, in quanto si tratta di un mero errore materiale, facilmente individuabile, visto anche che il dispositivo dellordinanza indica chiaramente i mappali del fondo di cui è causa (979 e 5634, cfr. doc. 15 ricorrente).
Al punto B.5, linvalidità del provvedimento è rilevata con riguardo alla prescrizione del medesimo di smaltire il materiale di risulta della demolizione presso un impianto autorizzato.
Tale censura è palesemente infondata, in quanto la disposizione dellordinanza appare addirittura ovvia, avendo il Comune segnalato allesponente lobbligo di smaltimento presso impianti autorizzati del materiale di risulta, qualora questultimo debba essere qualificato come rifiuto secondo le norme di legge (D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dellAmbiente).
In conclusione, lintero ricorso RG 1841/2006 deve essere rigettato.
4. La complessità e la parziale novità delle questioni trattate inducono il Tribunale a compensare interamente le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, sez. II, riunisce preliminarmente i ricorsi in epigrafe e definitivamente pronunciando sugli stessi, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2010 con l’intervento dei Signori:
Mario Arosio, Presidente
Giovanni Zucchini, Primo Referendario, Estensore
Silvana Bini, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/05/2010