Consiglio di Stato, Sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6450

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Testo completo:
TAR Sicilia, Sez. III, 13 febbraio 2014, n. 471
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7663 del 2012, proposto dalle società Strabag s.p.a. (gia’ Adanti s.p.a.), Dott. Mario Ticca s.r.l. e Novaco s.r.l., ciascuna in persona del legale rappresentante pro tempore, tutte rappresentate e difese dagli avvocati Benedetto Giovanni Carbone, Luigi Strano e Alessandro Cinti, con domicilio eletto presso il primo in Roma, Via degli Scipioni n. 288;
contro
Comune di Sassari, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Manzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Federico Confalonieri n. 5;
nei confronti di
Costruzioni Sacramati s.p.a., Delta Lavori s.p.a., Sogedico Italia s.r.l. in concordato preventivo, Ices s.r.l., Salvatore Merella s.r.l., Batteta s.r.l., non costituite;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Sardegna – Sezione I – n. 564 del 5 giugno 2012.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sassari ed il contestuale appello incidentale;
Viste le memorie difensive depositate dalle appellanti principali (in data 27 novembre 2014) e dal comune di Sassari (in data 17 e 26 novembre 2014);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Strano e Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla domanda di risarcimento, per equivalente monetario, di tutti i danni patiti dalle imprese raccolte nell’a.t.i. capeggiata a suo tempo dalla società Adanti (ora Strabag s.p.a., mandanti le società Dott. Mario Ticca s.r.l. e Novaco s.r.l., in prosieguo ditta Adanti), a cagione dell’illegittima aggiudicazione – disposta in favore del Consorzio Multicostruzioni (formato in origine dalle imprese Costruzioni Sacramati s.p.a., Delta Lavori s.p.a., Sogedico Italia s.r.l, Ices s.r.l., Salvatore Merella s.r.l., Batteta s.r.l.) e da cui è successivamente receduta la società Sogedico in regime di concordato preventivo – della concessione di progettazione, esecuzione e gestione in ampliamento del cimitero comunale di Sassari realizzata mediante finanza di progetto.
1.1. L’annullamento dell’aggiudicazione è stato disposto dalla sentenza del T.a.r. per la Sardegna, Sezione I, n. 967 del 19 maggio 2008, confermata integralmente dalla decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 2155 del 15 aprile 2010, nel decisivo presupposto della presenza, all’interno del Consorzio Multicostruzioni, di una impresa posta in concordato preventivo e poi estromessa prima dell’aggiudicazione definitiva.
2. L’impugnata sentenza – T.a.r. per la Sardegna – Sezione I – n. 564 del 5 giugno 2012 -:
a) ha respinto l’eccezione sollevata dalla ditta Adanti con cui è stata dedotta l’inammissibilità delle eccezioni e contestazioni formulate dal comune di Sassari nelle memorie difensive e di replica (depositate rispettivamente in data 7 e 19 aprile 2012) in violazione delle preclusioni stabilite dall’art. 167 c.p.c. (pagine 4 – 5);
b) ha riconosciuto la presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito extra contrattuale provvedimentale, precisando, sulla scorta della giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, che il requisito della colpevolezza non doveva essere dimostrato venendo in rilievo una ipotesi di responsabilità oggettiva dell’amministrazione (pagine 6 – 7);
c) ha escluso le voci di danno collegate all’interesse negativo (in particolare le spese sostenute per la partecipazione alla gara, pagine 7 – 8);
d) ripudiata qualsivoglia forma di liquidazione forfettaria del lucro cessante, ha previsto il risarcimento del solo interesse positivo, ragguagliandolo al mancato utile (effettivamente provato) ritraibile dal complessivo investimento finanziario proposto dal danneggiato, individuato in euro 124.962,00 (pagine 9 – 11);
e) su tale ultima somma ha applicato un abbattimento – pari al 20% – non essendo stato dimostrato dalla ditta Adanti di aver tenute non impiegate le maestranze e i macchinari in altre attività lucrative (pagina 11);
f) ha riconosciuto il danno curriculare liquidandolo equitativamente nel 10% del risarcimento da mancato utile (pagine 11 – 12);
g) ha respinto la richiesta di abbattimento ulteriore del risarcimento – formulata dalla difesa del comune di Sassari, ex art. 1227 c.c., nel presupposto che la ditta Adanti non aveva accettato di subentrare nel rapporto in corso – atteso che i lavori erano stati quasi integralmente eseguiti al momento in cui l’amministrazione aveva chiesto il subentro (pagina 12);
h) ha indicato le modalità di calcolo degli accessori in relazione alla sorte capitale (pagina 12; tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);
i) ha condannato il comune alla refusione delle spese di lite ordinando la trasmissione della sentenza alla competente Procura regionale della Corte dei conti (pagina 12).
3. Avverso la su menzionata sentenza hanno interposto appello sia la ditta Adanti (in via principale) che il comune di Sassari (in via incidentale).
4. La causa è stata assunta in decisione all’udienza pubblica del 18 dicembre 2014.
5. Sia l’appello principale che quello incidentale sono infondati e devono essere respinti.
6. Preliminarmente il collegio rileva che:
a) attesa l’infondatezza dell’appello principale, può prescindersi, ai sensi dell’art. 49, co. 2, c.p.a., dall’esame della questione di difettosa integrazione del contraddittorio nei confronti della società Sogedico in regime di concordato preventivo, sollevata dal comune di Sassari nella memoria depositata il 17 novembre 2014 (pagina 2);
b) è ictu oculi infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale per indeterminatezza delle sue conclusioni, sollevata dal comune di Sassari nella memoria di costituzione depositata il 24 dicembre 2012 (pagina 8);
c) è tardivo il deposito della memoria difensiva degli appellanti effettuato in data 27 novembre 2014 in violazione del termine perentorio sancito dall’art. 73, co. 1, c.p.a.; mentre risulta inammissibile il deposito di note di udienza effettuato dalla difesa del comune in data 26 novembre 2014, per carenza del presupposto sancito dal menzionato art. 73, co. 1, c.p.a. (ovvero il deposito di una antecedente memoria conclusionale della controparte, cfr. in termini e da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, n. 5757 del 2014; Sez. V, n. 1058 del 2012).
8. Prima di affrontare analiticamente i mezzi posti a sostegno dei rispettivi gravami, il Collegio illustra brevemente il quadro delle norme e dei principi, rilevanti nel caso di specie, che governano la disciplina del risarcimento del danno da illecito provvedimentale (e, in particolare, da procedure di gara per appalti e concessioni riconosciute illegittime), quali ricostruiti dalla giurisprudenza europea e nazionale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 8 agosto 2014, n. 4248; Sez. V, 28 aprile 2014, n. 2195; Sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5725; Sez. III, 16 settembre 2013, n. 4574; Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3135; Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3035; Cons. giust. amm., 11 marzo 2013, n. 324; Ad. plen., 13 novembre 2013, n. 25, Ad. plen., 25 settembre 2013, n. 21; Ad. plen., 19 aprile 2013, n. 7; Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3; Cass. civ., sez. un., 23 marzo 2011, n. 6594; sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576 e 582; Corte di giustizia UE, Sez. III, 30 settembre 2010, C-314/2009; 10 gennaio 2008, C-70/06; 14 ottobre 2004, C-275/03), cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.):
a) la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra contrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c.; conseguentemente, per accedere alla tutela è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo o il diritto soggettivo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale della situazione soggettiva e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative, dei ritardi procedimentali, o degli interessi contra ius;
b) l’onere di provare la presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale (condotta, evento, nesso di causalità, antigiuridicità, colpevolezza), grava sulla parte danneggiata che abbia visto riconosciuto l’illegittimo esercizio della funzione pubblica;
c) la prova dell’esistenza dell’antigiuridicità del danno deve intervenire all’esito di una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua certezza la quale, a sua volta, presuppone: l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale; l’esistenza di una lesione che è configurabile (oltre ché nell’ovvia evidenza fattuale) anche allorquando vi sia una rilevante probabilità di risultato utile frustrata dall’agire (o dall’inerzia) illegittima della p.a.;
d) al di fuori del settore degli appalti (governato da autonomi principi sviluppati nel tempo dalla Corte di giustizia UE come si vedrà subito appresso), in sede di accertamento della colpevolezza nell’esercizio della funzione pubblica, l’acclarata illegittimità del provvedimento amministrativo, integra, ai sensi degli artt. 2727 e 2729, co. 1, c.c., il fatto costitutivo di una presunzione semplice in ordine alla sussistenza della colpa in capo all’amministrazione;
e) viceversa, in materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto e concessioni, non è necessario provare la colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria; le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consente all’impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell’ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione; a questo approdo esegetico la Corte di giustizia è pervenuta per tappe: in occasione dell’azione promossa dalla commissione europea contro il Portogallo, inadempiente agli obblighi imposti dalla direttiva 89/665/Cee (modificata dalla direttiva 18 giugno 1992 n. 50), la Corte (nel 2004 e nel 2008) aveva già avuto modo di affermare che addossare al soggetto leso l’onere della prova circa il dolo o la colpa dell’amministrazione appaltante, avrebbe frustrato l’effetto utile della direttiva, considerata la difficoltà di una siffatta dimostrazione; successivamente la Corte di giustizia è andata oltre l’affermazione di una presunzione di colpevolezza a carico dell’ente, aprendo le porte ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, legata alla mera illegittimità della procedura di aggiudicazione dell’appalto;
f) ai fini del riscontro del nesso di causalità nell’ambito della responsabilità extra contrattuale da cattivo esercizio della funzione pubblica, si deve muovere dall’applicazione dei principî penalistici, di cui agli art. 40 e 41 c.p., in forza dei quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non); il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 41 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dall’art. 41, co. 2, c.p., in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto; al contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale; in quest’ottica, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano — ad una valutazione ex ante — del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile (ed amministrativa), vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del «più probabile che non», mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”;
g) nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, sul creditore danneggiato grava l’onere di provare il nesso di causalità, mentre sul danneggiante convenuto grava l’onere di provare il caso fortuito (inteso come specifico fattore capace di determinare autonomamente il danno), comprensivo del fatto del terzo (che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno) e di quello del danneggiato (rimanendo a suo carico il fatto ignoto in quanto inidoneo a eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento);
h) Corte giust. 9 dicembre 2010, C-568/08, in relazione ai criteri per accertare e valutare il danno conseguente alla violazione normativa dell’ente aggiudicatore, ha affermato che «in assenza di disposizioni di diritto dell’Unione in tale ambito, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, una volta soddisfatte tali condizioni, stabilire i criteri sulla base dei quali il danno derivante dalla violazione del diritto dell’Unione in materia di aggiudicazione di appalti pubblici deve essere accertato e valutato, purché siano osservati i principî di equivalenza e di effettività»;
i) il danno – inteso sia come danno evento che come danno conseguenza – e la sua quantificazione devono essere oggetto, da parte dell’attore, di un rigoroso onere allegatorio, potendosi ammettere il ricorso alla prova per presunzioni (praesumptio tantum iuris), solo in relazione ai danni non patrimoniali, comunque dovendosi ripudiare le suggestioni derivanti dalla teorica del c.d. diritto all’integrità patrimoniale in favore del più rigoroso e ben conosciuto metodo sotteso alla Differenzhypothese; il giudice amministrativo è chiamato a valutare (ex art. 30, co. 3, c.p.a. e 1227, c.c.), senza necessità di eccezione di parte e acquisendo anche d’ufficio gli elementi di prova all’uopo necessari, se il presumibile esito del ricorso di annullamento dell’atto illegittimo e dell’utilizzazione degli altri strumenti di tutela avrebbe evitato in tutto o in parte il danno, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su una logica probabilistica che apprezzi il comportamento globale del ricorrente;
l) il ricorso alla valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. è ammesso soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno; conseguentemente le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio relativo al quantum debeatur e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente neppure nel caso di consulenza tecnica d’ufficio cosiddetta “percipiente”, che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova;
m) nelle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curriculare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto); trattandosi di voci costitutive di danno-evento ex art. 1223 c.c., conseguenti alla omessa aggiudicazione e stipulazione del contratto, il mancato utile non deve essere calcolato utilizzando il criterio forfettario di una percentuale del 10% del prezzo a base d’asta, ma sulla base dell’utile che effettivamente l’impresa pretermessa avrebbe conseguito ove fosse risultata aggiudicataria; il criterio forfettario, infatti, si risolve in una automatica, inammissibile, applicazione analogica del criterio indennitario del 10% del prezzo a base d’asta ai sensi dell’art. 345 della l. n. 2248 del 1865, All. F; il mancato utile spetta nella misura integrale solo se la concorrente dimostra di non aver potuto altrimenti utilizzare mezzi e maestranze, in quanto tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione; in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, con la conseguente decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum;
n) il danno curriculare, a sua volta, ferma restando la sua puntuale allegazione, può essere equitativamente liquidato in una percentuale del mancato utile effettivamente provato; coerentemente deve escludersi che possano essere liquidate tutte le spese (incluse quelle generali), a qualunque titolo sostenute per la predisposizione dell’offerta e la partecipazione alla gara che la parte avrebbe dovuto sopportare anche se la procedura si fosse svolta legittimamente e che restano logicamente assorbite dalla percezione dell’utile effettivo;
o) spetta all’impresa danneggiata offrire la prova della percentuale di utile che avrebbe conseguito (sulla quale computare il danno curriculare), qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, co. 1 e 3, c.p.a.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni (specie patrimoniali), in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, comma 1, cod. civ.
9. Tanto precisato in diritto, il Collegio esamina l’appello principale proposto dalla ditta Adanti.
9.1. Con il primo mezzo (pagine 5 – 13 del ricorso principale), la ditta Adanti ripropone l’eccezione di tardività ed inammissibilità del deposito di memorie e documenti effettuato nel corso del giudizio di primo grado dalla difesa del comune, nel rispetto dei termini sanciti dall’art. 73, co. 1, c.p.a., ma oltre il termine previsto per la costituzione in giudizio dall’art. 46 c.p.a. (avvenuta per altro tardivamente); si sostiene in sintesi:
a) la violazione degli 64, c.p.a. e 115 c.p.c. e, conseguentemente, che da un lato, di tali atti non si dovrebbe tenere conto e dall’altro, che si dovrebbero dare per ammesse le circostanze poste a base del ricorso introduttivo in quanto non specificamente contestate;
b) la necessità di applicare il regime delle preclusioni stabilito dall’art. 167 c.p.c. ai giudizi amministrativi diversi da quelli impugnatori (come quello risarcitorio oggetto della presente causa);
c) l’obbligo di interpretare le norme processuali in modo da garantire il rispetto del fondamentale principio della parità delle parti fissato dall’art. 2 c.p.a., sicché, dovendo la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 40 c.p.a., effettuare una autentica “vocatio in ius” quanto mai specifica nell’atto introduttivo del giudizio, simmetricamente lo stesso onere deve essere imposto alla parte intimata all’atto della costituzione in giudizio anche ad ammettere la non perentorietà dei termini di costituzione sanciti dall’art. 46, co.1, c.p.a.
9.1.2. Il motivo è infondato sulla scorta degli argomenti e dei principi sviluppati, sui punti controversi, dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Ad. plen., 10 dicembre 2014, n. 33; Ad. plen., 3 aprile 2013, n. 18; Sez. V, 23 febbraio 2012, n. 1058, cui si rinvia a mente degli artt. 88, co. 2, lett. d), e 99, co. 1 e 3, c.p.a.), in forza dei quali:
a) la diretta applicabilità delle disposizioni processuali civili al processo amministrativo è consentita (anzi: imposta) nelle sole ipotesi in cui il primo ordinamento esprima principi generali che non rinvengono nel secondo una sufficiente ed esaustiva declinazione regolatoria come, peraltro, confermato dall’art. 39 del c.p.a. (c.d. autosufficienza dell’ordinamento processuale amministrativo);
b) la disciplina processuale (artt. 40 – 51 c.p.a. raccolti nella Sezione I– Ricorso e costituzione delle parti –del Capo I del Titolo I del Libro secondo del codice) che individua il regime degli oneri e delle preclusioni a carico della parte ricorrente e degli intimati, detta un compendio di regole esaustivo e di carattere generale (valevole cioè per tutti i tipi di giudizio proponibili davanti al giudice amministrativo con le deroghe dettate espressamente per le impugnazioni ed i riti speciali come si evince chiaramente dall’art. 38 c.p.a.);
c) i termini per la costituzione in giudizio delle parti intimate sono ordinatori al punto che la costituzione può avvenire direttamente all’udienza fissata per la discussione (dove si potranno svolgere solo difese orali) e ferma restando l’intervenuta decadenza da determinate facoltà sancita da specifiche norme (si pensi al richiamato art. 73, co. 1, in ordine al deposito di memorie e documenti scritti; all’art. 104, co. 2, che impone, alle parti diverse dall’appellante, di riproporre le domande ed eccezioni non esaminate in prime cure entro il termine decadenziale di costituzione in giudizio);
d) conseguentemente il termine perentorio che la parte intimata deve rispettare per articolare difese e sollevare eccezioni scritte, nonché per depositare documenti, nel giudizio di cognizione, è solo quello sancito dall’art. 73, co. 1, c.p.a. (nel caso di specie pacificamente rispettato).
9.2. Con il secondo mezzo (pagine 13 – 17 del ricorso principale) si lamenta, sotto plurimi profili, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha negato il ristoro delle poste di danno collegate alle spese generali, di presentazione dell’offerta e di progettazione; in particolare si sostiene la tesi che tali spese, in considerazione della particolare natura del rapporto concessorio, andrebbero certamente liquidate in favore del soggetto che avrebbe dovuto essere prescelto quale aggiudicatario.
9.2.1. Il mezzo è infondato alla luce delle considerazioni sviluppate al precedente punto 8; in sintesi, il riconoscimento dell’interesse positivo – l’utile effettivo che avrebbe percepito l’impresa se non fosse stata illegittimamente pretermessa dall’affidamento – esclude la contemporanea attribuzione del c.d. interesse negativo (riconosciuto nella diversa sede della responsabilità precontrattuale), al cui interno è ricompreso il rimborso di tutti i costi sostenuti infruttuosamente per la partecipazione alla gara (incluse le spese generali, di progettazione e quant’altro).
9.3. Con il terzo mezzo (pagine 17 – 23 del ricorso principale), si contesta la determinazione del lucro cessante effettuata dall’impugnata sentenza sotto tre autonomi profili: la mancata applicazione del criterio dell’equità integrativa sancito dall’art. 1226 c.c.; la mancata considerazione dell’utile non conseguito in relazione all’esecuzione dei lavori; l’ingiustificata applicazione del criterio riduttivo dell’aliunde perceptum;
9.3.1. Il mezzo è manifestamente infondato perché la sentenza del T.a.r. ha fatto puntuale applicazione dei principi esposti al precedente punto 8.
In particolare:
a) il criterio equitativo sancito dall’art. 1226 non assolve il creditore danneggiante dall’onere di allegare e provare i fatti costitutivi della domanda; nella specie è stata fornita la prova del solo utile effettivamente percepibile in funzione della gestione delle opere come rilevato dal piano economico finanziario asseverato da primario istituto bancario; tale asseverazione, ancorché basata esclusivamente sulla documentazione fornita dalla ditta Adanti, ha stimato la coerenza generale, fra l’altro, delle indicazioni dei costi, dei ricavi, e della struttura finanziaria proposta da quest’ultima (cfr. asseverazione in data 19 aprile 2005).
b) il presunto utile relativo alla realizzazione dei lavori – difficilmente configurabile in una operazione di finanza di progetto priva di oneri per l’amministrazione – è stato comunque commisurato, in via forfettaria, al 10% del valore complessivo dei lavori; tale operazione, sulla scorta dei consolidati principi sopra illustrati, rende ex se inaccoglibile la relativa richiesta risarcitoria;
c) l’abbattimento equitativo del 20%, operato dal T.a.r. a titolo di aliunde perceptum, è conforme ai principi espressi dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato.
9.4. Miglior sorte non tocca al quarto ed ultimo mezzo (pagine 23 – 24 del ricorso principale), con cui si contesta il criterio liquidatore del danno curriculare; si sostiene che si sarebbe dovuta attribuire, per tale voce di danno, una somma pari ad una percentuale compresa fra l’1 e il 3 per cento del valore complessivo del contratto e non del valore dell’utile effettivamente riconosciuto.
9.4.1. Il motivo è infondato perché contrasta con l’indirizzo giurisprudenziale, che si è andato affermando più di recente sulla questione controversa, esposto al precedente punto 8; in ogni caso, l’aspetto essenziale è che il criterio equitativo prescelto dal giudice non sia abnorme in relazione al contesto fattuale all’interno del quale viene calato (circostanza questa che all’evidenza non ricorre nel caso di specie).
10. Può scendersi all’esame dell’appello incidentale.
10.1. Con il primo mezzo (pagine 9 – 20 del ricorso incidentale), si contesta, sotto plurimi profili, la possibilità di prescindere dall’accertamento, rigoroso e in concreto, dell’elemento soggettivo della fattispecie di responsabilità extra contrattuale e, per l’ipotesi che si ritenga inderogabile il principio della responsabilità oggettiva, si sollecita, da un lato, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Ue perché rimediti il proprio orientamento (specie in presenza della dimostrata incolpevolezza dell’amministrazione procedente), dall’altro, la rimessione alla Corte costituzionale della questione di illegittimità costituzionale degli artt. 2043 c.c. e 124 c.p.a. per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.
10.1.1. Sulla natura oggettiva della responsabilità dell’amministrazione che ha dato corso a illegittime procedure di affidamento di appalti e concessioni, nonché sulla derivazione europea del principio e sulla sua conseguente inesorabile applicazione nell’ordinamento nazionale, è sufficiente rinviare a quanto illustrato al precedente punto 8.
Per completezza si rileva che quand’anche si volesse ritenere presente il “fatto del terzo” (apprezzato nel particolare caso di specie, al più, come fattore concausale nella produzione del danno), ravvisabile nella condotta del consorzio aggiudicatario, a titolo di concorso di responsabilità, l’unicità del fatto dannoso ai sensi dell’art. 2055 c.c., per la legittima predicabilità di una responsabilità solidale tra gli autori dell’illecito, deve essere intesa in senso non assoluto, ma relativo all’esigenza di tutela del danneggiato, sicché, da un lato, tale concorso non impedisce la condanna dell’amministrazione procedente per l’intero, dall’altro, rende inutile qualsivoglia accertamento in concreto delle varie incidenze causali, non essendo stata proposta domanda di rivalsa da parte del comune di Sassari (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 aprile 2014, n. 2159; Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3035; Cass. civ., sez. un., 15 luglio 2009, n. 16503).
10.1.2. Per quanto concerne la richiesta di rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di giustizia UE, il collegio osserva che, nel particolare caso di specie, tale obbligo non è configurabile a carico del giudice di ultima istanza, ex art. 267, co. 3, FUE perché la questione (come illustrato al precedente punto 8.) è identica ad altra già decisa dalla Corte di giustizia in via pregiudiziale; in tal senso è unanime sia la giurisprudenza europea (cfr. fra le tante Corte di giustizia UE, sez. IV, 18 luglio 2013, n. 136/12; 6 novembre 2008, n. 248/07; 11 settembre 2008, n. 428 – 434/06), che quella nazionale (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, n. 1243 del 2014; Sez. V, n. 5131 del 2013).
10.1.3. La questione di legittimità costituzionale della norma che sancisce, nell’ordinamento euro – nazionale, la responsabilità oggettiva della stazione appaltante è manifestamente infondata per le seguenti ragioni:
a) la contestata regula iuris deriva direttamente dal diritto europeo come interpretato in modo vincolante dalla Corte del Lussemburgo;
b) come stabilito univocamente dalla Corte costituzionale (da ultimo con l’approfondita sentenza 23 ottobre 2014, n. 238), solo i principi fondamentali (e i diritti inalienabili della persona che ne sono esplicazione), in quanto elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, costituiscono un limite all’ingresso ed alla presenza, nell’ordinamento giuridico italiano, non solo delle norme internazionali generalmente riconosciute (le consuetudini internazionali), ma anche delle norme pattizie (i trattati internazionali) e di quelle dell’Unione europea;
c) la responsabilità civile oggettiva è ben conosciuta dall’ordinamento nazionale (si pensi alle varie figure di responsabilità oggettiva disciplinate dal codice civile, agli artt. 2051, 2052, 2053) e non hai mai dato adito a rilievi di incostituzionalità; essa, pertanto, non viola l’ordine pubblico costituzionale.
10.2. Con il secondo mezzo (pagine 20 – 22 del ricorso incidentale), si sostiene che assumerebbe una peculiare incidenza causale la serie di pronunce cautelari rese nel giudizio impugnatorio (due del T.a.r. ed una del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5227 del 10 ottobre 2006) che, tutte favorevoli alle tesi dell’amministrazione, sono state contraddette dalle successive sentenze di merito di primo e secondo grado.
10.2.1. Il motivo è infondato sia in fatto che in diritto perché:
a) contrariamente a quanto affermato dalla difesa del comune, il c.d. “giudicato cautelare” ha avuto cura di precisare che il rigetto della domanda cautelare proposta dalla ditta Adanti avveniva allo stato degli atti e non su basi di certezza (cfr. ordinanza Sez. V, n. 5227 del 2006 cit.);
b) non è stato sancito alcun obbligo di stipulare il contratto con il Consorzio aggiudicatario; né tale obbligo discende dalla legge, perché in pendenza di un contenzioso, specie se assai complesso, la stazione appaltante non può mai considerarsi obbligata a stipulare il contratto e dare corso alla sua esecuzione;
c) in diritto è condivisibile il principio secondo cui l’accoglimento o il rigetto di una istanza cautelare da parte del giudice amministrativo non costituisce ex se causa di giustificazione della condotta illegittima della p.a. (successivamente accertata in sede di merito) ai fini del risarcimento del danno, anche se la richiesta di sospensione degli effetti dell’aggiudicazione sia stata respinta sia in primo che in secondo grado (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2008, n. 3806; Cons. giust. amm., 18 aprile 2006, n. 153).
10.3. Con il terzo mezzo (pagine 22 – 37 del ricorso incidentale), il comune lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha fatto applicazione delle norme sancite dagli artt. 1227 c.c. e 124 c.p.a., nella parte in cui impongono al creditore di proporre la domanda di aggiudicazione e di non rifiutare di subentrare nel rapporto contrattuale in corso.
10.3.1. Il motivo è infondato sia in fatto che in diritto perché:
a) quando è stato proposto l’originario ricorso di primo grado avverso l’aggiudicazione successivamente giudicata illegittima, la ditta Adanti si è prodigata per bloccare la procedura di gara (e la stipula del contratto) con l’unico mezzo utile a disposizione ovvero l’esercizio della tutela cautelare (sia in primo che in secondo grado); dopo il c.d. “giudicato cautelare” dell’ottobre 2006, il comune ha stipulato il contratto (in data 4 dicembre 2006 e per una durata di anni 15) e consegnato i lavori (nell’agosto del 2007 come da relativo verbale in atti);
b) ovviamente all’epoca (2006) erano di là da venire le regole forgiate successivamente dalla giurisprudenza (in materia di risarcimento del danno in forma specifica, per equivalente, riparto di giurisdizione e azione di ottemperanza, in particolare cfr. Ad. plen. nn. 9 e 12 del 2008) e cristallizzate dal codice del processo amministrativo (nel settembre del 2010, cui sono seguite le fondamentali affermazioni di principio da parte di Ad. plen. n. 3 del 2011);
c) all’indomani della sentenza del T.a.r. che ha annullato la gara (maggio 2008), l’amministrazione si è ben guardata dal sospendere i lavori che erano stati consegnati nell’agosto del 2007 ma, al contrario, ha proposto istanza per la sospensione degli effetti della sentenza accolta dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 4370 del 29 luglio 2008; è comprensibile che in quella sede la ditta Adanti, in considerazione dello stato di avanzamento dei lavori, abbia lealmente dichiarato che il suo principale interesse fosse indirizzato al risarcimento del danno per equivalente monetario;
d) intervenuto il giudicato cassatorio (nell’aprile 2010), la stazione appaltante ha chiesto alla ditta Adanti di comunicare le proprie determinazioni ponendo come una delle alternative possibili quella di subentrare nel rapporto concessorio in essere anche al fine di stabilire la sorte del contratto vigente (cfr. nota prot. 061065 in data 5 luglio 2010);
e) la nota è stata riscontrata negativamente dalla ditta Adanti (cfr. lettera raccomandata R/R in data 14 luglio 2010, recante in allegato un prospetto dei danni subiti per complessivi euro 6.467.958) nel decisivo presupposto che <>;
f) il comune ha replicato senza contrastare minimamente la tesi dell’impossibilità del subentro ma limitandosi a criticare l’entità del richiesto risarcimento per equivalente (cfr. nota prot. 124991 in data 29 dicembre 2010);
g) il comune è rimasto inerte, senza attivare la procedura per la mora credendi ai sensi degli artt. 1206 ss. e comunque senza diffidare formalmente la ditta Adanti a subentrare nel rapporto;
h) dalla documentazione versata in atti emerge che nel lasso di tempo luglio – dicembre 2010: erano trascorsi quasi quattro anni dalla stipula del contratto e dall’affidamento dei lavori; i lavori erano effettivamente in avanzato stato di esecuzione; talune opere erano state consegnate in anticipo (i loculi posti nel piano superiore del corpo colombari e quelli del piano terra antistanti il vano ascensore, cfr. nota del comune in data 29 dicembre 2009); migliaia di loculi erano stati già concessi all’utenza (cfr. la nota della direzione Cimitero del comune di Sassari in data 13 settembre 2010);
i) da tutto quanto sopra esposto deve ritenersi che, nel particolare caso di specie, da un lato, il comune non abbia mai effettivamente voluto interrompere i rapporti con il Consorzio Multicostruzioni, dall’altro, che la ditta Adanti non abbia posto in essere una condotta colpevole apprezzabile ai sensi dell’art. 1227 c.c.
10.4. Con il quarto mezzo (pagine 38 – 41 del ricorso incidentale), il comune sostiene che il T.a.r. ha erroneamente applicato i criteri elaborati dalla giurisprudenza per il risarcimento del danno in materia di appalti ad una fattispecie radicalmente diversa (la concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche in finanza di progetto), sotto il duplice profilo che non è stato considerato che l’intera operazione è stata effettuata dall’amministrazione a costo zero, e che in sede di liquidazione dell’entità del risarcimento si sarebbe dovuta operare una decurtazione in considerazione dell’alea della gestione futura, che costituisce il proprium quid della concessione (e che secondo l’id quod plerumque accidit non consente di ritenere attendibili le prospettive favorevoli indicate nel piano finanziario);
10.4.1. Il motivo è infondato perché:
a) anche nell’ipotesi di mancata illegittima aggiudicazione di una gara per l’affidamento di una concessione di costruzione e gestione di opera pubblica, si pone una questione di risarcimento dello specifico utile effettivamente non percepito da chi sarebbe dovuto risultare concessionario e non lo è stato per fatto dell’amministrazione;
b) una volta assodato in modo rigoroso, sulla base del piano economico e finanziario, l’utile effettivo che avrebbe conseguito l’avente titolo alla concessione ingiustamente pretermesso, tale somma non deve subire alcun ridimensionamento a cagione dell’alea dei risultati della gestione futura atteso che, a contrario, si potrebbe ragionevolmente ritenere sottostimato l’utile indicato dall’impresa e dunque suscettibile di essere maggiorato proprio in previsione delle performance della gestione futura o di altri fattori non prevedibili al momento della presentazione dell’offerta.
10.5. Con il quinto mezzo (pagine 41 – 42 del ricorso incidentale), si deduce che l’impugnata sentenza non avrebbe vagliato con il dovuto rigore le prove offerte dalla controparte; sotto tale angolazione non si doveva dare valore alle risultanze del piano finanziario e dalla correlata asseverazione rilasciata dalla banca incaricata.
10.5. Il motivo è infondato sia per la sua genericità sia per le considerazioni sviluppate ai precedenti punti 8 e 9.
10.6. Per le stesse ragioni è infondato il sesto mezzo (pagine 42 – 43 del ricorso incidentale), con cui si lamenta l’esiguità della decurtazione (pari al 20% sull’utile riconosciuto) operata a titolo di aliunde perceptum, trattandosi di una riduzione equitativa non abnorme che il T.a.r. ha commisurato alle risultanze del caso concreto.
10.7. Con il settimo mezzo (pagine 43 – 45 del ricorso incidentale), si deduce che la sentenza avrebbe riconosciuto il danno curriculare ultra petita, in quanto la domanda risarcitoria non lo aveva allegato e comunque era stato limitato al solo profilo del mancato accrescimento delle qualificazioni possedute; sotto tale angolazione si evidenzia che, al tempo della gara, l’impresa Adanti era già in possesso della massima qualificazione nella categoria OG1, mentre le due imprese mandanti (Ticca e Novaco) la avevano acquisita successivamente e indipendentemente dall’aver eseguito i lavori in questione.
10.7.1. Il motivo è infondato perché dall’esame del ricorso introduttivo:
a) risulta che è stato espressamente richiesto il danno curriculare;
b) non emerge che il riferimento al mancato accrescimento delle qualificazioni sia stato effettuato avuto riguardo alla categoria OG1 (o a qualsivoglia altra categoria), sicché deve intendersi riferibile, in senso ampio, al mancato arricchimento dell’esperienza professionale in genere (conformemente, del resto, all’essenza del danno curriculare individuata dalla giurisprudenza riportata al precedente punto 8).
10.8. Con l’ultimo mezzo (pagine 45 – 46 del ricorso incidentale), si sostiene che il risarcimento andava decurtato dell’indennizzo che il concessionario avrebbe dovuto pagare, a titolo di refusione delle spese per la progettazione preliminare (ai sensi dell’art. 18 del disciplinare di gara), al promotore non aggiudicatario (ovvero, in ipotesi, al Consorzio Multicostruzioni).
10.8.1. La censura è infondata perché si fonda su una mera congettura; essa non tiene conto del fatto che la ditta Adanti, in concreto, non è mai risultata aggiudicataria e non è mai subentrata nel rapporto concessorio: solo in tale ultimo caso si sarebbero verificati i presupposti per l’applicazione della norma sancita dall’art. 18 cit.
11. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere sia l’appello principale che quello incidentale.
Sulla reciproca soccombenza delle parti il Collegio fonda, a mente del combinato disposto degli articoli 92, co. 2, c.p.c. e 26, co. 1, c.p.a., la compensazione integrale fra le stesse delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
a) respinge l’appello principale;
b) respinge l’appello incidentale;
c) conferma l’impugnata sentenza;
d) dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Vito Poli, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)